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Infinity Pool (2023): quello che succede a La Tolqa, resta a La Tolqa

Mi sono fatto tutto un film mentale mio quando ho scoperto che il nuovo lavoro di Brandon Cronenberg si sarebbe intitolato “Infinity Pool”. Ho pensato prima di tutto al pool genetico immaginando che avremmo visto fior fiori di mutazioni, d’altra parte con papà ci siamo abituati da anni no?

Questo è quello che succede quando hai (quasi del tutto) smesso di fare uso di trailer, anche perché quando ho realizzato che le “Infinity Pool” sono quelle piscine a strapiombo, parcheggiate sull’attico di palazzi e alberghi di lusso, mi si è aperto un mondo. Anche perché proprio una di queste piscine viene citata nei dialoghi di un film che diventa l’occasione per Brandon Cronenberg per punzecchiare ancora un po’ il ventre molle della società ricca, come aveva già fatto nel suo esordio del 2008, “Antiviral”, film che a questo punto dovrei decidermi a portare su questa Bara, mi turba avere un “buco” nella filmografia di uno che di cognome fa Cronenberg. Sono cresciuto con i film del suo papà, che di sicuro non hanno aiutato la mia naturale propensione all’ossessività.

Brandon e la ragguardevole banda di bellocci che ha messo su per il suo film.

Brandon può dirsi fortunato, io mi ero fatto dei film in testa solo sulla base del titolo “Infinity Pool”, mentre altri, critici titolati e stipendiati, devono essersene fatti anche di più, perché dopo essere stato presentato all’ultimo Sundance Film Festival, “Infinity Pool” ha spiazzato qualche recensore, che forse si aspettava qualcosa di più… Vogliamo dire criptico? Ombelicale? Insomma forse volevano un Possessor 2.0, anche se va detto che il nuovo lavoro di Brandon Cronenberg ha segni di continuità con una filmografia in divenire (e in crescendo) ma questa volta, il regista ha scelto una strada più lineare.

Forse Possessor ha colpito di più perché permetteva ai critici da Sundance (al caramello) di allisciarsi la barba corrucciando la fronte, oltre ad essere un film dannatamente buono. “Infinity Pool” si portava dietro delle aspettative? Sicuramente, forse anche per via dei nomi coinvolti e del fatto che lo stesso Brandon, stia diventando a sua volta un nome da tenere d’occhio, doppiamente visto che ha un cognome non da poco.

Sta di fatto che non guardare i trailer o non ammazzarsi ad accumulare informazione su un film PRIMA di averlo visto, per me funziona, infatti “Infinity Pool” me lo sono goduto a scatola chiusa, conoscevo solo il titolo e il nome del regista e tanto mi è bastato. Il risultato finale è un altro titolo molto buono della filmografia del mio terzo canadese preferito? Secondo canadese di seconda generazione? Oh insomma di Brandon Cronenberg.

«Quando potremmo fare il bagno in piscina?», «Quando finalmente la premessa di Cassidy sarà terminata, quindi credo mai»

James Foster è uno scrittore che in carriera ha scritto solo “La guaina variabile” e da sei anni attende l’ispirazione per un altro romanzo, forse perché non è riuscito ancora a trovare un titolo altrettanto brutto e poco invitate per il suo secondo lavoro, il più difficile nella carriera di un artista come cantava Caparezza.

Però Foster essendo fatto a forma di Alexander Skarsgård non ha avuto problemi a sposarsi bene, con la ricca ereditiera dell’industria dell’editoria Em Foster (le labbra di Cleopatra Coleman, l’australiana di The last man on earth). I due hanno scelto banalmente di soggiornare in un resort per ricconi sull’immaginaria isola di La Tolqa, impersonata dalla Croazia, dove il film è stato girato. Qui la coppia già abbastanza in crisi fa la conoscenza dei coniugi Bauer, il marito Alban (Jalil Lespert) e la moglie Romin Gabi (Mia Goth, ho fatto un salto di un metro a ritrovarla anche qui, sempre un piacere Mia. La donna, sedicente appassionata di “La guaina variabile”, copie vendute due probabilmente, senza che questo abbia minimamente scalfito le ambizioni e le mire da grande scrittore di James Foster, che comunque le attenzioni di una lettrice, specialmente fatta a forma di Mia Goth, tutto sommato, proprio schifo non gli fanno.

I Foster decidono di accettare l’invito a cena prima e poi la gita fuori dal resort ricevuta dai Bauer, anche se La Tolqa ha il tasso di criminalità di Detroit, Torino e Gotham City messe insieme, ma pagando il giusto e con un po’ di attenzione, che può succedere di male? Dopo una giornata di sole, cibo e sbevazzamenti vari, Mia Goth porta avanti la sua tradizione, ormai questa attrice, consacrata dalla fenomenale doppietta composta da X e Pearl, si è costruita una carriera basata su personaggi ad un passo se non oltre l’essere sessualmente espliciti (qui si aspetta la fine della trilogia con “MaXXXine” a braccia aperte), allergici all’utilizzo del reggiseno e matte col botto. Finché riuscirà a trovarli e a recitarli così bene come fa anche qui, non ci saranno mai problemi, o per lo meno al momento non ne vedo nemmeno l’ombra.

La campagna promozionale del film, quella che tira.

Il ritorno a casa alticcio, dopo la gita di coppia con risvolto torbido si rivela un casino: James alla guida cilindra un tipo, la scelta è quella di fingere che non sia successo nulla e di tornare al resort. Quello che succede a La Tolqa resta a La Tolqa, con un piccolo problema, le regole locali sono inflessibili, con una variazione per non terrorizzare i turisti.

Di base La Tolqa è tipo il sogno bagnato di un ultra conservatore, quei giustizialisti che su “Infernet” invocano la morte per chiunque, anche per chi attraversa fuori dalle strisce pedonali, infatti uso di droga, comportamenti considerati sessualmente inadatti, ogni genere di crimine viene punito con un’esecuzione, spesso applicata per mano dei parenti della vittima, per riabilitare l’onore della famiglia. Qui l’elemento fanta-politico ci dà dentro con la “fanta”, perché ai turisti viene riservato un trattamento speciale: non uccideremo te, ma il tuo doppio.

Quando anche l’inquadratura crolla, vuole dire che le cose stanno per mettersi male.

Con una proceduta a metà tra un video di Marilyn Manson e la psichedelica del cortometraggio dello stesso Brandon Cronenberg intitolato Please speak continuously and describe your experiences as they come to you, che di corto non aveva di certo il titolo, James si vive il suo momento in stile “Stati di allucinazione” (1980) e una volta clonato, sempre secondo le leggi di La Tolqa deve assistere in prima fila all’esecuzione di beh, James Foster.

Ora, io che sono cresciuto con i film di Cronenberg, inteso come papà David, su quella scena ho cambiato posizione sulla poltrona e mi sono posto una semplice domanda, che molto probabilmente è la stessa che vi state facendo anche voi dopo aver letto la sinossi del film. Di sicuro l’esperienza fa scattare qualcosa dentro lo scrittore, la frattura con la moglie si allarga e Cleopatra Coleman prende comodamente posto sulla panchina del film, lasciando ovviamente campo libero a Mia Goth.

La “Fedele lettrice” che tutti gli scrittori vorrebbero (forse, o forse no!)

Assistere in prima fila alla propria morte, essere passati attraverso una tecnologica procedura di rinascita, scatena in James qualcosa, accentuato dalla sua condizione di privilegiato, in un attimo l’uomo passa da scrittore in crisi a drogato di emozioni forti. Gabi Bauer poi, lo introduce ad un piccolo gruppetto di riccastri come lui, composto da dottori, pezzi grossi del cinema che sanno che La Tolqa può essere il loro campo da gioco, qualcuno che finalmente capisce le sue aspirazioni “alte” da artista, molto più di quella palla della moglie. Avere bisogno di un passaporto per sostituire quello confiscato, diventa la scusa per farlo ancora, e poi ancora e ancora. Ma se vi siete fatti la stessa domanda che mi sono fatto io guardando il film, capirete che di sicuro anche Brandon Cronenberg (autore anche della sceneggiatura), è giunto alla stessa conclusione.

Difetti? Con il passare dei minuti gli unici personaggi davvero caratterizzati del film sono quelli interpretati da nomi famosi, Alexander Skarsgård è perfetto per impersonare un personaggio che simpatico non è, con cui Cronenberg coglie l’occasione per tirare anche due sani schiaffoni a tanti aspiranti artisti, utilizzando la categoria degli scrittori come esempio. Ma più in generale l’attore svedese è molto bravo ad interpretare un personaggio che era già dentro una crisi più profonda di un semplice “blocco dello scrittore”, a ben guardare, anche libero dai vincoli della legge e del suo stesso corpo, pur essendo un privilegiato, resta un personaggio che non è in grado di pensare a se stesso in un modo diverso da come amava fare, solleticandosi l’ego da solo.

«Posso spiegare, sono uno scrittore», «Questo non depone a tuo favore»

A voler essere maligni, ci sarebbe tutta un’altra lettura di secondo livello basata sull’artista privilegiato chiamato ad una nuova opera di valore almeno pari alla precedente, in cui forse Brandon Cronenberg qualcosa di personale dentro, potrebbe anche avercelo messo, ma non voglio fare il Sigmund Freud da supermercato, piuttosto trovo interessante che un personaggio in crisi come lui, venga condotto per mano in questo Paese, non tanto delle meraviglie, da Gabi Bauer che è l’occasione per Mia Goth per mandare in scena un’altra ottima prova.

In linea con i suoi personaggi precedenti, “Infinity Pool” risulta essere il film perfetto per chi aspetta di ritrovarla in “MaXXXine”, però cosa vuoi dire ad una che riesce ad essere infantile e sensuale in parti uguali, tenere e matta come un Kamikaze strafatto si sakè, tanto che le basta cacciare fuori gli occhi per sembrare matta col botto? Io personalmente nulla, mentre la guardavo qui, pensavo che siamo fortunati che il cinema horror, le offra la possibilità di scatenarsi in questo modo, il cinema “per tutti” anno di grazia 2023, al massimo potrebbe offrirle un ruolo da Harley Quinn, quando invece lei sembra già quella pensata da Paul Dini e Bruce Timm nel 1992, senza nemmeno le limitazioni dovute al rivolgersi ad un pubblico di minori, insomma finché dura, una Mia Goth così, che buca lo schermo anche in questo film, ma la godo proprio.

Harley Quinn esiste e si chiama Mia Goth, regina incontrastata dell’urlo di questi anni.

Forse il difetto più grande di “Infinity Pool” è l’essere ben più lineare di Possessor, anche se i due film sfoggiano quella continuità tematica che Brandon, deve avere nel DNA, visto che di là avevamo un’assassina che passava da un corpo all’altro, per poi ritrovarsi ad uccidere anche le sue vecchie incarnazioni, mentre qui la critica alla fascia di popolazione benestante, si traduce in James che uccide più volte se stesso, prima come variante ancora più estrema di chessò, il bungee jumping, poi sempre di più trascinato nel gorgo del suo ego fuori controllo.

Ad un certo punto forse Cronenberg non riesce a scavare nel suo stesso METAFORONE come avrebbe potuto, soffermandosi ad una messa in scena che risulta per forza di cose più estetica che sostanza, visti i tanti momenti psichedelici e il pretesto con cui i personaggi violano la legge, pur di farsi un altro giro con la macchina che genera loro doppi perfetti. Per certi versi “Infinity Pool” è un film un po’ più accessibile (non voglio dir per tutti) rispetto a “Possessor”, quindi per qualcuno potrebbe anche essere un passo indietro. Personalmente non faccio classificazioni tipo “livello del Super Sayan”, non sono tra quei cinefili per cui un regista ogni volta debba superarsi e fare meglio, altrimenti il suo nuovo lavoro è in automatico un fallimento, preferisco la coerenza nei temi e qui ne ho trovata tanta, anche se di sicuro come narratore e come esploratore delle sue stesse metafore (anche un po’ satiriche in questo caso), Brandon Cronemberg ha spazio per migliorare ancora.

Brivido. Terrore. Raccapriccio (cit.)

Benvenga aggiungo, perché già così ha dimostrato di avere talento e idee, inoltre devo dirlo, “Infinity Pool” è un po’ il “White Lotus” ma in stile Bara Volante, ho un post in rampa di lancio su quella tanto blasonata serie (che non mi è piaciuta quasi per niente), quindi sono ben felice che qualcuno sia davvero riuscito a dire qualcosa di satirico, intelligente e pungente sul tema ricconi in un resort. Grazie Brandon, a buon rendere!

Anche perché il finale, che non vi voglio raccontare (se siamo fortunati il film dovrebbe arrivare anche da noi, dita incrociate) sembra spingere a tavoletta sulla vecchia massima per cui partire, è un po’ morire. L’impossibilità di un personaggio che non riesce a non ripensare alla sua vita, fuori da quegli schemi del tutto egoistici (e falsi) in cui si sentiva al sicuro, nemmeno uccidendo il proprio vecchio io (letteralmente!) il protagonista trova un senso, in quella che è una riuscita satira ai ricconi della società, a cui tutto è concesso, anche un bel po’ di paura & delirio a La Tolqa, ma anche ad abissi di solitudine e disperazione per il personaggio principale, che preferisce continuare ad annullarsi piuttosto che affrontare per davvero la sua condizione.

Il film mette una tacca anche alla voce “Maschere inquietanti”, bene!

Mi piace il modo in cui Brandon Cronenberg riesca a portare avanti la tradizione di famiglia, non solo dell’horror ma anche dello scavare all’interno dei personaggi, per portarli in posti non per forza gradevoli da esplorare. Francamente spero di avere l’occasione di vederlo anche in sala questo film, mi piace molto l’idea che in giro ci siano non uno ma due generazioni di Cronenberg impegnati a scavare dentro le budella del pubblico.

Sepolto in precedenza lunedì 6 febbraio 2023

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