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Intervista col vampiro (1994): trent’anni non sono molti per un vampiro

Una delle mie sequenze preferite di “Intervista col vampiro” di Neil Jordan è un momento ironico, quasi ridicolo all’interno di un film che passa da un dramma all’altro, mi riferisco a quando la giovane (si fa per dire…) vampirella Claudia (Kirsten Dunst) e il suo mentore Louis de Pointe du Lac (Brad Pitt) arrivano al Théatre des Vampires di Parigi, per assistere ad uno spettacolo in cui stando alle parole del sospirante personaggio di Pitt: «Vampiri che fingono di essere uomini che fingono di essere vampiri, è pazzesco». La risposta della bionda Shirley Temple dall’oltre tomba è micidiale: «Molto avant-garde.»

Una non-morta, eternamente bambina, con una mente da donna adulta, un paradosso che in un “crossover” ideale, al massimo si potrebbe fidanzare con l’Homer di Il buio si avvicina, che per assurdo dopo trent’anni è l’unica che per lo meno è cambiata, visto che in questo spettacolo molto avant-garde di vampiri che fingono di essere uomini che fingono di essere vampiri, Padre Tempo ha quasi congelato Pitt e Cruise, ma a lei ha concesso almeno di crescere.

«Rassegnati, questa premessa di Cassidy sarà infinita anche per noi immortali»

Da sempre la figura del Vampiro attrae, con i suoi “baci” sul collo si porta dietro una sessualità e una sensualità che altre creature dell’immaginario non hanno, se vuoi far colpo su una ragazza, devi portarla a vedere Dracula diceva Bela (anzi, un bravissimo attore che lo impersonava, altra avant-garde), ed è anche il motivo per cui il romanzo di Bram Stoker andava a ruba presso le ragazzine bene vittoriano, nel 1992 Coppola ha regalato al mondo il Dracula di Bram Stoker che tradiva Bram Stoker ma diventava quello definitivo nel cuore del pubblico, due anni dopo toccava a Neil Jordan portare avanti una tradizione iniziata prima, da Anne Rice nel 1977 con il suo “Intervista col vampiro” ovviamente, ma anche nel 1983 da Tony, lo Scott giusto.

Il primo al cinema a capire che i vampiri potevano essere fighi, stimolosi, sexy, sessualmente fluidi e a portarli fuori dai loro castelli polverosi e pieni di ragnatele. La questione “ormonale” è poi continuata nel 1987 con Ragazzi perduti, l’altro anno chiave è stato proprio il 1994, dopo il quale tutti conoscevano il nome di Anne Rice anche chi non aveva mai letto nessuno dei suoi lavori.

I vampiri di questo film sono dandy come il Gary Oldman di Coppola ma non sono conservatori, diluiti e di fondo bacchettoni come quelli di Stephenie Meyer, un’altra che con il suo “Twilight” non ha fatto altro che inverdire la moda delle ragazzine bene che si facevano comprare una copia di quel romanzo di Stoker, ufficialmente per i brividi horror, ufficiosamente per la parte erotica, corsi e ricorsi storici ok, oppure potremmo dire che i vampiri alla fine, non moriranno mai per davvero.

Per favore, non mordermi sul collo! (più o meno)

Non è difficile capire perché l’irlandese (pensa un po’ come Stoker!) Neil Jordan fosse interessato ad adattare il racconto di Anne Rice per il grande schermo, è sempre stato un cinema mutante quello di Jordan, in grado di modificare i generi di appartenenza, come la favola travestita da horror in realtà racconto al femminile de In compagnia dei lupi, passando per la sorpresa-non-sorpresa de “La moglie del soldato” (1992), ma gli esempi pescati dalla sua filmografia potrebbero continuare.

Rice teneva così tanto al suo Lestat da scrivere di suo pugno la sceneggiatura del film, salvo poi fare gli sguardi scuri durante la selezione degli attori, perché andiamo, chiunque abbia letto i suoi libri non avrebbe mai pensato a Tom Cruise per il ruolo, eppure fu la stessa Rice a convincersi della buona scelta una volta visto in azione Tommaso Missile, in un ruolo dove corre, in questo caso contro il tempo e dove può sfoggiare tutta quella sua voglia di arrivare ed essere il numero uno che ha sempre caratterizzato la sua carriera. Una “fame” da eterno vampiro che non gli ha permesso di portarsi a casa un Oscar (solo una nomination e un inspiegabile Razzie di coppia con Pitt, vabbè) per un ruolo diventato iconico.

Per vendicarsi ha passato il resto della carriera a dimostrare che non potrà mai morire.

Ma cosa ha attirato Neil Jordan? Facile, l’idea del cambiamento, uno spostamento che va da Europa a Stati Uniti, come un flusso migratorio vampiresco. Nel libro una corposa fetta è dedicata ai vampiri originali della Transilvania, ritratti come creature ormai bestiali, ma si nota anche nel film, i vampiri “Yankee” sono tormentati dalla loro coscienza, mentre i loro mentori europei sono ormai assuefatti, ben adattati alla loro condizione di non-morti assassini.

Ecco perché [Cassidy inspira forte] “Interview with the Vampire: The Vampire Chronicles” [Cassidy espira forte] inizia dalla fine, con una confessione, nella San Francisco del 1993, Louis de Pointe du Lac racconta al giornalista Daniel Molloy di come nella New Orleans (la Parigi americana oltre a quella in Texas, tanto per stare in tema) del 1791, lui, proprietario terriero è stato trasformato in vampiro da Lestat de Lioncourt e di tutta il loro rapporto, spesso fortemente erotico se non proprio omoerotico, alimentato dall’arrivo di Claudia, donna eternamente bambina, un po’ figlia un po’ elemento femminile del tutto privato della femminilità, visto che congelata nel tempo, non potrà mai diventare una donna adulta.

Vampirismo o la magia del cinema, entrambi possono congelare per sempre gli effetti del tempo che passa.

In tutto questo si incastra un altro vampiro “a sangue caldo” come Armand e poi chiedetevi perché il film è stato un successo, per il pubblico che per comodità (anzi, proprio per pigrizia mia) identificherò come quello femminile, questo film poteva giocarsi tutti insieme Tommaso Missile, Brad Pitt e Antonio Banderas con trent’anni in meno sul groppone, normale che al netto dei suoi sessanta milioni di fogli verdi con sopra facce di ex presidenti defunti, il film ne abbia portati a casa duecentotrenta diventato un titolo di culto, un classico della filmografia vampiresca al cinema e in generale, un Classido! Un po’ di logo rosso sangue è in tema con questo post.

Decadente, crepuscolare, dandy, “Intervista col vampiro” ogni volta mi spiazza perché penso: «Ecco questa volta lo guarderò e mi piacerà tantissimo» poi sistematicamente mi affascina senza conquistarmi, l’unica spiegazione (ir)razionale che sono riuscito a darmi è che in fondo io sono Cassidy, quindi più pane e salame, ed ogni volta che affronto questi vampiri, mi sento come il mio omonimo sulle pagine di Preacher quando nella sua trasferta a New Orleans, finiva a sfottere la versione locale degli imitatori di Lestat, visto il periodo, un racconto che era proprio la risposta (ovviamente satirica) di Garth Ennis al successo degli efebi vampiri di Anne Rice e del film di Neil Jordan. Non è un caso nemmeno se l’episodio dedicato al passato del suo vampiro Cassidy in “Preacher” si intitolasse proprio “Intervista col bastardo”.

Eroe non è affatto la parola giusta, ma è la prima che mi viene in mente (quasi-cit.)

Detto questo, [Cassidy inspira forte] “Interview with the Vampire: The Vampire Chronicles” [Cassidy espira forte] è il classico film che mi attira per il suo elemento sovrannaturale e che poi, mi fa restare per tutto il resto, le prove del cast sono impeccabili, se Tom Cruise svetta, non per l’altezza ma nel ruolo di un agente del caos, un vero tentatore («Sii quel che sei, segui l’istinto»), Brad Pitt incarna alla perfezione un personaggio che vorrebbe essere etero ma è tentato dall’altro la… Ehm no scusate, vorrebbe essere umano ma è… vabbè tanto funziona in entrambe le chiavi di lettura, quindi va bene così la frase.

Menzione speciale per Christian Slater generosissimo in un ruolo infame, alza l’assist per la voce narrante e serve a dare spazio e Brad Pitt, inoltre trova un suo (infame) senso come personaggio solo nel finale che anche qui, serve più che altro come beffardo grande ritorno di Lestat. Nel film poi, ci è finito per caso, sostituzione al volo del compianto River Phoenix trapassato da poco e a cui il film è dedicato nei titoli di coda, Slater per altro, ha devoluto tutto il suo compenso ad associazioni vicine a Phoenix, quindi qui lavora letteralmente per la famigerata “visibilità”, tanto di cappello al buon Christian.

Christian Slater padre nobile del pagamento in visibilità.

Un elemento che hanno in comune i due film vampiri, quello di Coppola del 1992 e questo consiste nel loro trattare molto bene la similitudine tra la figura dei vampiri e il cinema, per entrambe le pellicole si tratta fondamentalmente di una sequenza a testa, ma per Jordan diventa una delle tante chiavi di lettura di un film che ti attira per il suo elemento sovrannaturale e poi ti convince a restare per tutto il resto.

Una chiave di lettura Horror, su elementi come la solitudine che la diversità si porta dietro, raccontata facendo propri vari concetti, come le regole di una comunità chiusa che non tollera chi uccide i propri simili, ma poi per punirli li uccide esponendoli alla luce solare o murandoli vive dentro a delle bare (non volanti). Ma perché no, anche una serie di altre fascinazioni tutte molto anni ’90, dalla mania per i Serial Killer fino all’incubo dell’AIDS, Neil Jordan ci chiede di provare compassione per il diavolo e non è un caso che il finale si consumi proprio sulle note di “Simpathy tor the Devil” pezzo storicamente diabolico degli Stones, qui nella versione di chi? Solo di uno dei gruppi più famosi degli anni ’90 – per stare in tema – come i Guns’n’Roses.

«Vuoi sentire ancora qualcosa o posso strangolare anche Cassidy e zittirlo per sempre?»

A trent’anni dalla sua uscita “Intervista col vampiro” è considerato giustamente un classico, per cui è legittimo sospettare che la sua coppia di protagonisti, refrattari all’invecchiamento, fossero davvero vampiri intenti a recitare la parte dei vampiri, tutto questo sarà anche molto avant-garde, però il film è uno di quelli che ha riportato in auge il mito dei vampiri, come è accaduto e come accadrà sempre puntualmente anche in futuro, era giusto festeggiare questo compleanno qui alla Bara, anche se il vostro amichevole Cassidy di quartiere è sempre stato un tipo di vampiro ben più ruspante.

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