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Io, Dio e Bin Laden (2018): La crociata di Nicolas Cage

Questo commento era già stato presentato sulle pagine di The Macguffin (passate a trovarli!), ma siccome la nostra distribuzione lo ha inserito tra i recuperi estivi, modificando il titolo da “Army of One” a “Io, Dio e Bin Laden” (eh!?), mi sembra giusto parlarne. Buona lettura!

Il mondo si divide in due: quelli che non si perdono un film di Nicolas Cage nemmeno per errore (come il sottoscritto) e quelli che magari impiegano il loro tempo facendo cose più utili, tipo riordinando il cassetto dei calzini. Prima di correre verso la vostra cassettiera però, prendetevi il tempo per vedere “Army of One”, i calzini per oggi possono aspettare.

Certo, guardare i film di Nicolas Cage è quasi un impegno a tempo pieno visto che non rifiuta un soggetto dal 1986 e che, grossomodo, sforna un film ogni due o tre mesi, cose che succedono quando sei un personaggio un filino (ma appena appena, eh?) eccentrico, convinto di poter recitare qualunque cosa e che, soprattutto, deve pagarsi i suoi dispendiosi passatempi.

Sì, perché se ti compri un cranio di dinosauro da piazzare in salotto (storia vera), o ti presenti al ComiCon di San Diego, vestito, vabbè lasciamo perdere e inizi a comprare fumetti a quattro palmenti, pescandoli dalle varie bancarelle come se avessi le ventose sotto le dita, o le proprietà adesive di Spider-Man sui palmi, può anche essere che ogni tanto la banca ti mandi a casa qualcuno per spezzarti le ginocchia.

Queste sono le principali ragioni per cui, il nipote preferito di Francis Ford Coppola (preferito? Bah…) non gode proprio di ottima fama verso il grande pubblico, c’è Nicolas Cage nel film? Sarà sicuramente una minchiata, oh! Tante volte è veramente così, ma proprio tante tante! Eppure, io sono convinto che Nicola Coppola detto Gabbia per gli amici, sia un’arma, un’arma che funziona come l’amplificatore degli Spinal Tap, va sempre e soltanto a undici, ma nelle mani giuste, o applicato al giusto soggetto, a volte anche un’arma di esagerazione di massa come lui può tornare utile, sicuramente per un film che s’intitola “Army of One”, ovvero “L’Esercito di un uomo solo”, il nostro Nicolas risulta davvero indicato.

Salto in avanti: chi è Gary Brooks Faulkner? Non correte su Wikipedia, state qua, ve lo dico io. Soprannominato dai giornalisti “Il Rambo delle Montagne Rocciose”, Faulkner è un falegname di Denver, sulla cinquantina che dal 2002 si è auto finanziato nei modi più disparati (tipo vendere i suoi attrezzi da lavoro) svariati viaggi in Pakistan, tutti con un solo obbiettivo: catturare Osama Bin Laden.

“Devo fare un reclamo, nel reparto caccia non ho trovato le pallottole anti Al Qaeda”.

Dalla sua parte, solo una testa durissima e la profonda convinzione di avere Dio dalla sua parte, siamo stati tutti scossi dagli attentati terroristici dell’11 settembre 2001 e dalle millecinquecento guerre iniziate dagli americani che sono seguite, ma solo Faulkner si è presentato all’aeroporto di Denver con visore notturno, Bibbia, alcuni grammi di hashish e una katana (storia vera!) convinto di poter scovare e catturare l’uomo più ricercato del mondo.

Spesso i suoi viaggi sono terminati come ospite della polizia pakistana, cose che capitano se giri per il Paese brandendo una spada e chiedendo ai passanti se sanno dove trovare Bin Laden, eppure Faulkner corna per terra, ha portato avanti la sua crociata malgrado l’insufficienza renale, che lo ha sempre costretto a sottoporsi a lunghi e regolari cicli di dialisi, per uno di quei casi buffi che solo la vita può generare, la stessa malattia di cui soffriva l’oggetto della sua crociata. Ancora oggi i suoi parenti sono convinti che se non fosse stato rallentato dalla malattia, avrebbe portato a termine la sua missione.

“…And when i arrive at my destination i am gonna kill Bin” (Quasi-Cit.)

Mi sembra chiaro, a questo punto, che alcune volte la vita reale sembra già pronta per il cinema ed è la settima arte che deve correre ai ripari trovando i giusti interpreti. Uno di questi è sicuramente Larry Charles, uno che a stramberia potrebbe quasi giocarsela con Faulkner ed è sempre interessato a provocazioni umoristiche in grado di farti riflettere su come sia messo il nostro strambo mondo. Non a caso è il regista di parecchi film con quel matto di Sacha Baron Cohen, come Borat, Brüno e Il dittatore, ma anche del satirico “Religiolus – Vedere per credere”.

Ora, visto che ormai sapete quasi tutto quello che c’è da sapere su Gary Brooks Faulkner, se doveste scegliere un attore per interpretarlo, voi a chi telefonereste? Ed è proprio qui che Nicolas Cage mette il turbo e trasforma Army of One in una di quelle volte in cui avere il nipote della Adriana di Rocky (Talia Shire) torna davvero buono.

Nicolas Cage risponde presente condendo il film con tutti i tratti caratteristici della sua recitazione, indica, strabuzza gli occhi, s’inventa una parlata sghemba e urlata, esagerando come una trama e un personaggio del genere richiede. Il buon Nicola è semplicemente perfetto nei suoi duetti al bar dove discute con Dio (che ha le sembianze di Russell Brand, conservatori cattolici consideratevi avvisati, vi voglio pronti a farvi il segno della croce) della sua sacra missione.

“Ti ho dato una missione e stai la bar? Devo forse chiamare Mel Gibson al posto tuo!?”.

Eppure in “Army of One” riesce anche ad essere a suo modo tenero, specialmente con la protagonista Wendi McLendon-Covey e sua figlia. Persino cavalli di razza bravissimi a bucare lo schermo come Rainn Wilson e Denis O’Hare nei panni degli agenti della CIA, non fanno altro che fare le spalle comiche di un Nicolas Cage in grande spolvero.

In “Army of One” si ride, si ride anche forte, quando il protagonista viene paragonato all’American Ninja, Michael Dudikoff, oppure quando da spettatori assistiamo ai tragicomici tentativi di Faulkner di ammarare prima e atterrare poi in Pakistan e poi, quando non te lo aspetti, sbam! Nicolas Cage ti piazza la stoccata drammatica ma credibile, e ti rendi conto che nella dimensione rimpicciolita e circoscritta nel tempo di questo film ti ritrovi a pensare come i parenti di Faulkner: ah se solo avesse avuto più tempo!

Non è mica facile sospendere l’incredulità dello spettatore, facendoti dimenticare per un po’ come sono andati davvero i fatti nella realtà o, per lo meno, come li hanno raccontati gli americani (ricordate, la storia viene sempre scritta dai vincitori), eppure “Army of One” ottiene proprio questo risultato, trasformandosi in una moderna e comica versione del Don Chisciotte, sì ma con katana e gilet multitasche.

“Hai capito il mio piano Ronzinante? Come no? Ma sei proprio un asino!”.

Ora, io non sono la persona giusta per criticare gli acquisti spericolati di fumetti di qualcun altro, però se soltanto Nicolas Cage non dico scegliesse i soggetti, ma se non altro ne lasciasse indietro qualcuno, forse la sua percezione presso il grande pubblico sarebbe differente o, in alternativa, se mai si convincesse di aprire in maniera definitiva alle commedie… naaa quelle ormai sono territorio di caccia di Robert De Niro (sob!).

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