John Milius, classe 1944, appartiene a quella banda di scalmanati che riplasmò Hollywood tra gli anni ’60 e ’70, a differenza dei suoi colleghi è uno che non si è mai ammansito, mantenendo la sua insofferenza per le regole e la sua scarsa attitudine al politicamente corretto e alle buone maniera Hollywoodiane.
Non pretendo di spiegarvi chi è John Milius, il suo CV lo precede, è purtroppo anche la sua fama, si tratta di un autore con cui può risultare difficile entrare in sintonia, ma è innegabile la sua onestà intellettuale, e la continuità artistica con cui ha portato avanti il suo cinema.
Ho deciso di ripercorrere la sua filmografia, partendo dai film fatti come sceneggiatore, è lungo il percorso non stupitevi di trovar titoli fondamentali, quelli che io ho amichevolmente soprannominato I CLASSIDY. Si inizia la rumba proprio con uno di questi, allacciatevi le cinture, ogni viaggio comincia con un primo passo, e le maratone si affrontano… Un Milius alla volta. Buona lettura!
Ci sono i capolavori della storia del Cinema, ci sono film che cambiano le regole della settima arte, che creano miti e archetipi, incarnando un momento storico, non sono tanti, giusto una manciata, uno di quelli, si intitola “Dirty Harry”. Signore e Signori, allacciatevi le cinture. Qui si parla di storia del Cinema!
1971, la Warner Brothers ha per le mani lo script dei Fink, Harry Julian e Rita, pare che da qualche parte del suo girovagare, la sceneggiatura sia passata anche per le mani di Terrence Malick, alla luce del risultato finale sembra improbabile, ma tra gli sceneggiatori non accreditati, compare anche lui…
La Warner ancora non è convinta, manca un po’di pepe a questa sceneggiatura, quindi vanno da John Milius, che tanto non aveva niente da fare in quel momento (no no), stava solo sceneggiando il nuovo film di uno dei suoi miti cinematografici, John Huston, con tutta l’ansia che la cosa può generare. Per la nuda cronaca: a lavoro terminato il film sarebbe stato “L’Uomo dai sette capestri”, non propriamente pizza e fichi.
I tipi della Warner gli dicono, senti John, ci hanno detto che sai il fatto tuo quando si tratta di scrivere, dai un’occhiata a questo script? Perché sai tra poche settimane avremmo un appuntamento con Frank Sinatra per una parte, ma questa sceneggiatura non ci sembra tanto buona, riesci mica a dargli un po’di brio? Qui ci sono 2000 biglietti verdi con sopra alcuni ex presidenti morti per te.
Sembra una richiesta impossibile, Milius risponde: “Ok prendo i soldi, ma voglio anche un’altra cosa: una pistola che ho visto e che mi piace un sacco”.
La Warner Bros gli fa recapitare a casa una 44 Magnum (Storia Vera) lui la studia per un po’, revisiona lo script con tutte le modifiche che ritiene opportune e consegna la sceneggiatura per tempo. Per la nuda cronaca, nel 1971 John Milius aveva 25 anni.
Frank Sinatra legge la sceneggiatura e dice: “Io vado al bar con Dean Martin”. A quel punto la Warner propone il film a chiunque, ci prova prima con John Wayne e poi con Robert Mitchum, il secondo paragona lo script a quella roba che viene portata via dai netturbini il martedì sera.
Il primo dei tanti pregi di “Dirty Harry” è stato quello di essere un film che inquadrava perfettamente la situazione politica e sociale Americana di quel periodo e di farlo meglio di mille documentari. L’ambientazione è la città di San Francisco, provate ad immaginare la distanza che c’è tra che so, ”Bullit” e questo film. Lì Steve McQueen è un Fonzie figo e algido, San Francisco è un set da cartolina ottimo per gli (spettacolari) inseguimenti, Harry Callahan (Callaghan nella versione Italiana… Tenete l’icona aperta che poi ne parliamo) è anti-cool, è vestito come vostro Zio, ha la giacca di Tweet con le toppe sulle maniche, il golfino, non proprio il look del vostro duro da manuale, ma nella mia vita non ho mai sentito nessuno dire che Eastwood sembra uno sfigato in questo film.
La San Francisco del film incarna tutte le ansie e le paure di un Paese, incastrato in una guerra infinita in Vietnam, sconvolto da scontri razziali, pesantemente diviso tra bianchi da una parte e tutti gli altri dall’altra. In più ‘Frisco, città nota per la grande comunità omosessuale, è tenuta in scacco da un pazzo come “Zodiac” (lo so che avete visto il film di Fincher, lo so…). L’America degli anni ‘70 stava andando avanti, persa la purezza e la semplicità degli anni ‘50, l’uomo medio Yankee era spaventato, voglioso di far tornare le cose “come prima” più semplici, questo film risponde a tutti questi stimoli, nel modo spiccio e diretto tipico di Milius.
Harry Callahan non è cattivo, anzi è mosso da un fortissimo senso di giustizia, è costantemente ostacolato dallo burocrazia e da interessi politici che non hanno a che fare con la sua quotidianità. E’cinico, disilluso, non ama fare squadra, sta sulle palle a tutti, ma tutti sanno che è uno che porta sempre a casa il risultato, in un Paese immobile e spaventato, lui senza scomporsi agisce, per tutto il film l’Ispettore Callahan non fa altro che prendere decisioni, anche sbagliando, ma sempre guidato dalla voglia di fare bene, questo fa di lui un personaggio decisionista. La sua insofferenza per le mezze misure e l’interventismo, richiama alla mente i metodi tipici del Fascismo. Il fatto che il protagonista sia un poliziotto e lo sceneggiatore sia Milius, non aiuta, anche perché l’orientamento destrorso di John non è certo un segreto di Stato.
Ancora oggi la frase: «He doesn’t play any favorites. Harry hates everybody» è una delle mie preferite di sempre. |
La tag line del film suona più o meno così: “In questo film ci sono due Killer. Quello con il distintivo è Harry Callahan”. Il personaggio si muove in una metropoli contemporanea, ma mosso da un sentimento di giustizia che lo rende fuori dal tempo (vogliamo speculare su quanto sia distante Callahan dal Giudice Roy Bean dell’altra sceneggiatura di Milius? Non tanto vero?). Un poliziotto che se crede che la causa sia giusta, è pronto a tutto pur di raggiungere il risultato, questo fa di lui un personaggio sfaccettato in bilico tra varie sfumature di grigio. Il suo antagonista, invece, ha chiaramente abbracciato il lato estremo dello spettro dei colori: il nero.
Scorpio come detto è ricalcato su Zodiac, porta su schermo una cosa che il vero Serial Killer aveva solo minacciato: prendere di mira uno Scuolabus pieno di bambini. Per tutto il film il “simpatico” Scorpio uccide, rapisce, ricatta, si prende gioco dell’autorità, molto spesso si nasconde tra le pieghe della burocrazia, la stesse che Callahan odia. E’impossibile provare empatia per lui: non ha virtù, gli manca anche la mistica del criminale solo contro tutti, insomma fa schifo e basta. Ogni cazzotto che si prende, se lo chiama, proprio, il male che può essere estirpato solo con una cura, difficile da mandare giù, ma sicuramente efficace… Uno da invitare a cena insomma!
Ancora oggi, gente come Shane Black, dichiara che “Dirty Harry” è il film a cui si ispira per tutte le sue “Shaneggiatura” (CIT.), allora è chiaro che Callahan è un archetipo, lo sbirro che si sporca le mani. Si parte da qui e si passa al Gene Hackman de “Il braccio violento della Legge”, al Charles Bronson de “Il giustiziere della Notte”, arrivando a praticamente tutto il “polizziottesco” italiano, una marea di titoli e film, un fiume in piena nato proprio dalla rottura della diga chiamata “Dirty Harry”.
Callahan è inesorabile, il duro di cui i duri hanno il poster in camera, è talmente carismatico e carico di “cazzimma” che nemmeno il golfino e la giacchetta lo scalfiscono. Vera e propria ossessione, la sua pistola (proprio come per Milius), oggetto di battute dei colleghi e rimproveri dei superiori, è talmente un’ossessione, che lui stesso la descrive ai “Punk” contro cui la punta, in un monologo che potreste aver sentito citato giusto qualche volta nella vostra vita.
Un revolver che in pratica è “Un cazzo di cannone a mano” (Cit. Pulp Fiction), una sei colpi come gli sceriffi del passato, che fa di lui un personaggio Western calato nella modernità, infatti la faccia giusta per interpretarlo è proprio quella di uno che viene dai Western, che trasuda carisma, che idolatrano anche i tuoi miti: Clint Eastwood. Per tornare a bomba sul monologo che di fatto apre e chiude il film, il celebre “You’ve got to ask yourself one question: ‘Do I feel lucky?’ Well, do ya, punk?”
«Lo so che sapete le parole a memoria, ma è sempre bello risentirle» |
Risulta geniale per mille ragioni: la prima, perché è fighissimo (e fino qui non ci piove). Inoltre, ti dà tutta la dimensione del personaggio, la sua attitudine e la sua propensione ad abbracciare quel male (necessario? Minore? Fate voi) che lo accompagnerà per tutto il film. Non a caso il monologo ritorna anche a fine film, un po’come se fosse il mantra del personaggio, o anche solo per godere di un gran momento di Cinema, due volte nello stesso film.
La capacità di “Dirty Harry” di creare iconografia e di rappresentare così bene le ansie di un determinato periodo storico, lo hanno trasformato in un enorme successo al botteghino e le polemiche che hanno seguito la sua uscita nella sale, sono state anche più grandi degli incassi. Ha vinto l’etichetta di film fascista, cosa che ci potrebbe anche stare, ma guardandolo, non vedi schieramenti politici, non c’è propaganda di partito, quello che vedi sullo schermo e solo “Male” contro “Male assoluto”.
«Quando un uomo con la 44 Magnum incontra uno Scorpio, quello con la faccia da maniaco omicida è un uomo morto» |
Oh! Poi io sto qui a fare filosofia, però di fatto “Dirty Harry” è un film dialogato alla grande, interpretato da Dio e diretto impeccabilmente da uno dei registi più solidi del tempo, quel Don Siegel che strinse con Eastwood un gran sodalizio artistico.
La regia parla da sola: le scene sui tetti quando Scorpio prende di mira la ragazza in piscina è diretta alla grande (ed è solo la prima scena del film!), così come l’inseguimento col bus, la scena allo stadio… La scena allo stadio! Cosa vi devo dire io della scena allo stadio? Quando Scorpio striscia sul campo da gioco e Callahan lo insegue, inesorabile e inevitabile.
Protagonista invisibile, ma che occupa il suo bello spazio nel film, sono le musiche di Lalo Schifrin, che ti buttano subito dentro l’ambientazione anni ‘70. La scena del pestaggio di Scorpio? Con le sue urla che si mescolano con la musica Jazz? Ecco, saranno piccole cose, ma dicono molto della grandezza e della cura di questo film.
A proposito di dialoghi: sono quasi tutti dei Cult istantanei. Quando Callahan ci dice che lui odia tutti (specialmente i Messicani), oppure quando spiega al suo socio perché tutti lo chiamano Dirty Harry, negli anni, al lavoro, mi sono trovato a citarlo a memoria a mia volta.
Nella versione italiana, oltre alla “G” random nel cognome del protagonista, alcuni momenti vanno un po’persi, il “Do you feel lucky, punk?” si trasforma in un “Ti conviene rischiare?” decisamente meno incisivo. Lo stesso soprannome del protagonista passa da ‘Dirty Harry’ a ‘Harry la carogna’ che sembra più un soprannome di un camorrista in Gomorra.
Il problema è che la traduzione, azzera completamente una delle poche concessioni che la trama fa all’ironia. Quando il socio Messicano di Eastwood, lo salva dal pestaggio nel vicolo, da parte di una folla che lo accusava di stare spiando la battona dalla finestra, l’ironia di fondo della frase “Adesso ho capito perché ti chiamano Dirty Harry” va un po’a farsi benedire, perché il doppio senso in italiano semplicemente non funziona.
Tra quei relativamente pochi titoli che fanno parte dell’empireo cinematografico, “Dirty Harry” è una sicurezza proprio come il suo protagonista. Ho perso il conto delle volte in cui ho rivisto questo film, spesso ci torno, proprio come il disco che ti piace tanto e di cui non ti stanchi mai. Ogni volta che pensate ad un poliziesco cazzuto, sappiate che è iniziato tutto da qui, ve l’ho detto che oggi si parlava di storia del Cinema!