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Johnny il bello (1989): Il destino lo porta scritto sulla faccia

Puoi togliere un uomo dalla strada, ma la strada rimarrà
sempre dentro di lui. Questa frase è stata attribuita a tutti, da Tupac Shakur
a qualche calciatore particolarmente tamarro, oggi la utilizzo anche io perché
è al centro del film protagonista del nuovo capitolo della rubrica… King of the
hill!

Visto che il tema del giorno sono le citazioni, me ne gioco
subito un’altra, questa volta dalla paternità facile, pescando a caso da un dizionario online, la definizione di
Noir è la seguente: «Si dice di genere letterario o cinematografico incentrato
su vicende cruente e caratterizzato da atmosfere cupe e violente».

Anche alleandosi con Schwarzenegger, Danko incassa abbastanza bene, ma senza permettere a Walter Hill di poter
dormire sonni tranquilli, mentre la sua attività di regista gira a vuoto alla
ricerca di un nuovo soggetto, quella di produttore prosegue, oltre a fare da
padrino alla saga di Alien, Gualtiero contribuisce alla serie tv “I racconti
della cripta” che magari potrebbe anche entrare a far parte di questa rubrica,
vediamo da che parte tira il vento.
Il periodo nero – anzi noir – della carriera di Gualtiero
continua, ma nel frattempo l’unica costante di questo periodo è quasi
esclusivamente una: continuare a rifiutare di dirigere l’adattamento
cinematografico del romanzo “I tre mondi di Johnny bello” di John Godey, già
adattato in una sceneggiatura da Ken Friedman.

Non ho letto il libro, quindi se avete domande chiedete a Lucius.

Walter Hill non è convinto, non tanto per la bontà del
lavoro di Godey, autore di romanzi “neri” americani, ammettiamolo, molto nelle
corde del nostro Gualtiero, più che altro è convinto che la trovata del
criminale che cambia faccia grazie alla chirurgia estetica sia un trucchetto,
qualcosa che il pubblico non si berrebbe mai, non senza l’attore giusto, almeno,
qualcuno davvero capace di mettersi al servizio della storia.

“I tre mondi di Johnny bello” continua a passare di mano
fino a finire in quelle di Al Pacino e del regista Harold Becker, i nomi che a
lungo sembravano destinati a portare il libro di Godey sul grande schermo,
almeno fino al momento in cui Pacino non ha deciso che tutta la vicenda per lui
era davvero troppo da B-Movie, preferendo “Seduzione pericolosa” (1989), guarda
caso, diretto proprio da Becker con nel cast la bellissima Ellen Barkin, occhio
che più avanti la bionda torna buona.

Anche in versione “nei panni di una bionda mora” sempre bellissima (se volete le foto su Mickey Rourke scorrete sotto)

Intervistato dal Philadelphia Inquirer, Walter Hill dichiara di aver rifiutato la regia qualcosa come
quattro volte (storia vera), nessun produttore crede alla trama, nessun attore
vuole nascondersi la faccia dietro al pesante trucco ed è a questo punto della
storia che entra in scena la mitica Carolco ma soprattutto, Mickey Rourke.

Pochi hanno sventolato la bandiere del “bello e dannato”
come ha fatto Rourke in vita sua, il divo sexy di “9 settimane e ½”
(1986) e “Orchidea selvaggia” (1989) con la passione per il pugilato, la “vita
loca” e ogni genere di eccesso. In quel periodo era tenuto così in
considerazione da potersi permettere anche di trovare produttori per un film
sulla sua passione per la boxe, scritto ed interpretato come “Homeboy”, insomma
Mickey, chiedi e ti verrà dato, anzi ti verrà dato e basta.

Vi ricordate la pubblicità dell’uomo che non deve chiedere mai? Ecco, lui!

“Johnny il bello” diventa una realtà quando l’attore s’interessa alla sceneggiatura, la Carolco per lui mette insieme venti milioni di
fogli verdi, con sopra la faccia di altrettanti presidenti defunti che non sono
pochi – e alla luce del film finito sembrano anche tanti – ma l’ultimo passo lo
fa Walter Hill. Il divo preferito di tutte le signore del pianeta e il regista
che parla solo il mercoledì (e nemmeno tutti) si annusano, si piacciono, Hill
capisce che Rourke è quello giusto per dare un volto a “Johnny Handsome” e
stranamente Mickey non fa troppo il pazzo sul set, o almeno, se lo ha fatto
Hill non se ne lamenta, non come ha fatto Alan Parker ai tempi di “Angel Heart”
(1987). Mi piace pensare che Hill con il suo approccio da pistolero del West
sia andato da Rourke dicendogli: «Farai il bravo ragazzo, vero?» e da li tutto
pesche e crema.

Walter il bellissimo. Nessuno è figo come lui quando dirige.

Non giriamoci attorno: la storia di John Sedley,
ironicamente battezzato “il bello” per via del suo volto deforme dalla nascita
è puro noir, Walter Hill lo dirige proprio in questo modo, utilizzando la
fotografia curata dal fidato Matthew F. Leonetti, passando per le musiche,
ovviamente curate dal sodale Ry Cooder che qui fa cantare alle corde della sua
chitarra un blues malinconico intervallato solo da qualche momento “Cajun”,
complice anche l’ambientazione del film, la città di New Orleans.

Nessuno ha mai creduto a Johnny, con quella faccia da
“Elephant Man” è stato il bersaglio di tutti, ma “dentro il core suo brucia il
fomento” (oggi va così, sono in vena di citazioni),
la scena chiave per capire Johnny è quella in cui confessa il ricordo
d’infanzia, del ragazzino che lo prendeva per il culo perché ad Halloween con
quella faccia, lui non aveva bisogno della maschera, la risposta di Johnny alla
provocazione dice tutto di lui: «Gli ho fatto uscire la merda dagli occhi», giusto per usare la quota minima di parolacce tipiche dei film di Hill.

No, non è il post su “Dietro la maschera” (1985) è ancora la rubrica su Walter Hill.

Sì, perché “Johnny Handsome” ha tutte le caratteristiche dal
noir, a partire dal protagonista dannato e con il destino inevitabilmente
segnato, ma la storia ha dentro di sé molto più di questo, Walter Hill risale
la corrente su fino a classici come il già citato “Elephant Man” (1980) o
ancora meglio, “Operazione diabolica” (1966) e soprattutto “Occhi senza
volto” (1960), ma se il film di Lynch era un dramma, quello di John
Frankenheimer si giocava satira e fantascienza e quello di Georges Franju
svoltava deciso verso l’horror, Walter Hill mantiene il noir come sua stella
polare da seguire.

I cinque minuti iniziali di un film sono fondamentali perché
ne determinano tutto l’andamento, vi dirò di più, per “Johnny il bello” sono i
primi quindici ad esserlo, roba da antologia. In un attimo e un paio di flashback
in bianco e nero velocissimi, Walter Hill tratteggia tutto il mondo del suo
protagonista, un basista, uno bravissimo a creare piani criminali per gli
altri, che nessuno rispetta perché è nato con una faccia da film dell’orrore,
l’unico che lo ha trattato con rispetto è il suo amico Mike (Scott Wilson) che,
però, rischia di perdere il suo locale per qualche vecchio trascorso e troppi
debiti, bastano frasi come: «L’unica garanzia che ho portato in banca è stata
una Smith & Wesson» per farvi venire voglia di vedere come continua la
storia.

Come si dirigono le rapine in paradiso, ringraziate Gualtiero per lo spettacolo.

Non abbiamo nemmeno iniziato ed entrano in scena due miti Lance
Henriksen ed Ellen Barkin (ve lo avevo detto che sarebbe tornata) nei panni di
Rafe e Sunny, lui magro come un chiodo e duro allo stesso modo come solo Henriksen
sa essere, lei cattiva come il veleno, due stronzi di prima categoria perfetti
per il lavoro, due “Cani da rapina” (questa ve la spiego più avanti…) per
alleggerire un negozio di numismatica di tutte le sue monete antiche.

La regia di Hill è micidiale, se non lo avete mai fatto,
dovreste vedervi “Johnny Handsome” anche solo per la rapina iniziale. Gualtiero
dirige la scena dall’interno dell’auto, con i rapinatori in attesa prima del
colpo una scelta d’inquadrature che verrà replicata identica da Tarantino per
il suo film d’esordio “Le Iene” (1992, titolo originale “Reservoir Dogs”… cani
da rapina, ecco la spiegazione), così abbiamo anche spiegato perché Chris Penn
in quel film era soprannominato ironicamente “Il bello”.
Walter Hill dirige l’azione in maniera serrata, l’uso delle
maschere di carnevale durante la rapina è l’ennesima occasione per Gualtiero di
omaggiare Jean-Pierre Melville, visto
che è lo stesso espediente usato in “Tutte le ore feriscono… l’ultima uccide”
(1966). Ma il bello – non Johnny – è come Hill faccia largo uso di primissimi
piani sulle maschere. Può sembrare strano vedere delle inquadrature così
ristrette durante una scena d’azione, ma oltre ad aumentare la tensione e il
coinvolgimento, è chiaro che Hill voglia tenere la nostra attenzione sulle
“facce” dei protagonisti, senza ombra di dubbio “Johnny Handsome” è il film con
maggior numero di primi piani della filmografia di Hill, una lezione su come si
comunica per immagini.

Forest “Lui è bello dentro, lui è sensibile, piu’ dolce di uno sfacciottino di papa’ Barzotti” Whitaker.

La rapina, ovviamente, va in merda, l’unico ad essere beccato
è Johnny e la sua faccia lo aiuta a beccarsi i lavori forzati nei campi di
cotone prima e dopo un po’ di coltellate, gentile omaggio di Rafe e Sunny per
tentar di tappargli la bocca per sempre. Sono passati quindici minuti di film
ed è successo già di tutto, compreso il fatto che Johnny viene scelto per un
programma rivoluzionario di medicina applicata al recupero dei criminali,
sponsorizzato dal dottor Steven Fisher (Forest Whitaker).

Il processo di trasformazione è lento, Johnny deve imparare
nuovamente a fare tutto, anche parlare, piano piano Mickey Rourke può togliersi
le parti in gomma del trucco prostetico per simulare la deformità del suo volto
e tornare ad essere il “Bell’uomo” che spingeva le signore a correre al cinema
solo per vederlo.

Ed è qui che nel 1989, partivano le urla femminili e il lancio della mutande verso lo schermo.

Il chirurgo crede fortemente in lui, sa che l’operazione
cambierà per sempre la vita a Johnny («Io sarò sempre Johnny il bello», «Io ti
darò un nuovo nome, una nuova faccia») il perfetto contro altare del
personaggio positivo, interpretato da Forest Whitaker, è un altro attore nero,
Morgan Freeman, sotto il cappellaccio da Cowboy del tenente A.Z. Drones, l’uomo
che da tutta la vita sta sul fiato sul collo a Johnny. Visto che Walter Hill
con i suoi film ha sempre dimostrato una grande predilezione per la storia antica, potrebbe dire che lo
sbirro è una specie di coro greco, il personaggio che ricorda costantemente a
Johnny che lui viene dalla strada, che non cambierà mai nemmeno se oggi è
davvero “Handsome”, come lo chiama ancora salutandolo, con fare canzonatorio.
Ogni tanto, quando mi riguardo il film, penso che per come lo vediamo nella
prima parte della pellicola, il personaggio di Morgan Freeman poteva essere
solo una voce nella testa del protagonista, teoria che salta quando inizia ad
interagire con gli altri, ma questo non cambia il suo ruolo: un memento mori
con cappello a tesa larga.

Morgan si esibisce nella posa tipica dei personaggi di Walter Hill.

Johnny riga dritto, inizia a fare un lavoro onesto e
incontra anche una brava ragazza come Donna (Elizabeth McGovern), diventa un
eroe Springsteeniano sì, se non fosse per i lampi del vecchio se stesso che
torna a grattare la porta, come quando l’ex fidanzato di Donna le rompe un po’
troppo le palle, o le ovaie fate voi. Ma come dicevamo, puoi togliere un uomo
dalla strada, dargli una faccia nuova, ma la strada rimarrà sempre dentro di
lui e infatti Johnny torna alle vecchie abitudini e organizza un colpo solo
per avere nuovamente a bordo Rafe e Sunny, il tutto per vendicare il vecchio
amico Mike.

“Ciao. Sono il nuovo ragazzo di Shellie Donna e sono fuori di testa” (quasi-cit.)

Quali sono i difetti di “Johnny il bello”? Essenzialmente il
bisogno smodato della storia, di vivere e morire sulla sospensione
dell’incredulità del pubblico. Non tanto per quanto riguarda la chirurgia che
fa riemergere Mickey Rourke dal trucco, quanto proprio per il fatto che nessuno
dei suoi vecchi compari sospetti di lui, o almeno non così presto, nemmeno
quando lui si presenta spavaldo come se li conoscesse, nemmeno quando si
“orizzontalizza” Sunny per entrare nelle sue grazie… Ok, potevo fare una scelta
di parole più accorta, me ne rendo conto.

“Johnny Handsome” è uno di quei film in cui le cose
accadono e per apprezzarlo non devi troppo stare a pensare al perché, di fatto
Walter Hill ripeterà la stessa struttura del film con Nemesi (The assignment) che, però, risulta ancora più sfilacciato nello sviluppo al
limite del (volutamente) fumettistico, anche se supportato proprio come “Johnny
il bello” da grandi interpretazioni da parte del cast.

“Johnny tu sarai anche bello, ma non sarai mai Lance”

Lance Henriksen regala carisma come al solito, Morgan
Freeman e Forest Whitaker sono i poli opposti, quasi l’angioletto e il
diavoletto sulle spalle del protagonista, ma una menzione speciale la merita Ellen
Barkin, che ha dichiarato che sì, “Seduzione pericolosa” avrà anche incassato
tanto permettendole di lavorare con un “mostro” come Al Pacino, ma lei si è
divertita molto di più ad interpretare quel “mostro” di Sunny. Walter Hill ha
sempre riempito il suo cinema di tipe toste, spesso non trattate proprio con i
guanti bianchi degli uomini delle sue pellicole, giusto per usare un largo giro
di parole, ecco Sunny è una dei pochi personaggi femminili cattivi e felici di
esserlo, una manipolatrice che usa il sesso per raggiungere i suoi obbiettivi,
oggi un personaggio così sarebbe una macchietta, grazie ad Ellen Barkin, invece,
funziona alla grande.

Ma a caricarsi il film sulle spalle è proprio Mickey Rourke,
una prova dolente la sua, aveva ragione Walter Hill tanto per cambiare, questa
storia aveva bisogno di un attore in grado di “venderla” al pubblico dando spessore
e tragedia a Johnny, infatti tutte le parti del film poco credibili, non sono
mai imputabili a Rourke che con il linguaggio del corpo sembra uno sconfitto
nato, ma allo stesso tempo una tigre pronta a colpire.

Bello bello in modo assurdo (Zoolander levati, ma levati proprio).

In trent’anni, per essere un film minore, ha tenuto la
prova del tempo piuttosto bene, mentre lo rivedevo per questa rubrica mi sono trovato a pensare alle parole di un’altra opera fortemente influenzata dal
noir, ovvero quando Dwight in “Sin City: Un’abbuffata di morte” di Frank Miller
diceva: «Sono un killer con una faccia nuova». Con la differenza che Dwight
provava a cambiare vita, mentre Johnny non ha mai dimenticato la strada dentro
di lui, quella da cui provengono tutti i guerrieri del cinema di Walter Hill.

Forse alla fine aveva ragione il beffardo tenente Morgan Freeman,
Johnny “Il bello” non sarebbe cambiato mai e, a proposito di beffe del destino,
chi è che interpretava Marv nel film di “Sin City” (2005)? Ma tu pensa, Mickey
Rourke.

“Dieci a uno che Cassidy fra un po’ vi propina la filastrocca sull’arte che imita la vita, quanto ci facciamo?”

 Se non fosse per una parte centrale dove il ritmo cala vistosamente,
“Johnny il bello” è ancora un solidissimo film, Hill riesce a tenere il
pubblico sul filo durante lo scontro finale tra Rafe e Johnny, proprio perché
in 94 minuti ormai ci siamo affezionati a questo perdente maledetto fin dalla
nascita e anche questa volta, in un modo beffardo e tragico come solo il
destino può essere, Walter Hill era riuscito a vedere più lontano di tutti gli
altri. Trent’anni dopo la faccia di Mickey Rourke è ancora oggetto di
chiacchiere, la vita che imita l’arte.

“Cosa vi avevo detto? Poi ditemi che non eravate stati avvisati”

Per oggi è tutto gente, ci vediamo ANCORA qui tra sette
giorni, anzi fatemi fare il conto, si ok… ANCORA 168 ore ci separano dal
prossimo appuntamento! Intanto non perdetevi la locandina d’epoca di questo film dalle pagine di IPMP!

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