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Joker (2019): ah ah Ah Ah AH AHAHAHAH

La principale caratteristica del principe pagliaccio del crimine è quella di usare le sue azioni per creare reazioni nel suo pubblico, verrebbe quasi da dire che è in grado di veicolare esperienze emotive e psicologiche ad altri esseri umani (occhiolino-occhiolino). Ogni sua sortita fuori dalle pagine dei fumetti (da cui fugge più spesso che dall’Arkham Asylum) non passano inosservate e rendono tutti un po’ più pazzi e agitati, è successo nel 2008, sta accadendo ancora.

Basta aggiungere il “fattore J” e sembra che tutto cambi, sembra che solo ora il mondo si sia davvero accorto del talento di Joaquin Phoenix, in You Were Never Really Here ha messo su chili per una complicata parte da sociopatico, ma niente trucco e capelli verdi, quindi il film, per quanto molto impegnato, lo abbiamo visto in pochi.

«Ciaaaaao, hai voglia di guardare The Master con me?», «Ehm no guarda, vado un po’ di fretta oggi» (Grazie Sergio)

Ricordate quando Gioacchino Fenice nel 2009, bolso e barbuto annunciava al mondo al David Letterman Show la sua nuova (improvabile) carriera di cantate Rap? Hanno riso tutti. Hanno riso un po’ meno guardando il documentario “I’m Still Here” (2010) diretto da Casey Affleck, la cronaca della devastazione fisica e artistica di Gioacchino, nessuno ha mosso un dito, tanti hanno pensato: “Eccone un altro a cui la fama ha fatto male”. Uno scherzo crudele, visto che nel fondo della testa di qualcuno, il pensiero andava al fratello di Joaquin, River e alla sua triste fine. Uno scherzo talmente riuscito che nessuno lo ha capito per davvero, Casey Affleck ha dovuto dichiarare che il suo film era una mockumentary, per un anno intero Joaquin Phoenix ha interpretato la parte di Joaquin Phoenix, attore bollito e partito di cervello (storia vera). Gioacchino era già il Joker prima di indossare il trucco, uno dei cinque migliori talenti al mondo in questo momento, era necessario solo capire se sarebbero stati in grado di costruirgli attorno un film.

A questo ci ha pensato Todd Phillips, ve lo ricordate quando tutti ridevano ad ogni nuova foto di Phoenix truccato pubblicata su Twitter? No? Perché tanto ormai è intervenuto il “fattore J”, quindi è tutto dimenticato, anche il fatto che Todd Phillips sia lo stesso dei tre “Una notte da leoni” e di un altro film che abbiamo visto in dodici, “Trafficanti”, dove metteva in chiaro che da grande avrebbe voluto tanto tanto essere Martin Scorsese, anche se era parecchio in ritardo sulla tabella di marcia.

«La prossima scena, la facciamo come farebbe Scorsese ok?», «Perché, quella prima come l’abbiamo fatta?»

Phillips ha fatto leggere la sua sceneggiatura a zio Martino che, malgrado quanto tanti stanno scrivendo in rete non è produttore del film, ma ha anche dichiarato che il suo personaggio poteva essere un tizio qualunque, l’idea di chiamarlo Joker fa parte della nuova strategia della Warner. Un piano di conquista mondiale che ha pagato i suoi dividendi, perché il principe pagliaccio del crimine tira sempre, forse anche più della sua nemesi con le orecchie a punta e il mantellino.

Dopo il premio a Venezia e una quasi totale unanimità di cori positivi nei confronti del film, il “fattore J” è intervenuto davvero, aizzato anche dalle affermazioni di zio Martino, un po’ frettolose nella scelta di parole (a mio modesto parere), ma condivisibili, a patto di conoscere come intenda il cinema un cultore della settima arte come lui che, per altro nel 1999 aveva detto qualcosa di molto simile riguardo a “The Blair Witch Project” (storia vera), ma anche questo ora nessuno pare ricordarlo più visto che siamo nel mezzo della tempesta Joker.

Con reazioni degne del peggior tifo calcistico la discussione è impazzita, i “parchi a tema” della Marvel vengono additati come IL MALE perché lo ha detto Scorsese (ma anche Jennifer Aniston, che facciamo, rivalutiamo “Due cuori e una provetta”?), in compenso, dall’altra tanti lettori di fumetti che erano rimasti intrappolati nelle fogne come i poliziotti di Gotham, sono tornati a rialzare la testa sventolando il film di Todd Phillips come la giustifica del medico per saltare l’ora di ginnastica. Avete detto che sono uno sfigato quattrocchi perché leggevo fumetti! Invece non era vero avete visto? Cattivi!

«Basta parlare di film di zio Martino e di fumetti come se li conoscete davvero! Basta! Baaaastaaaaa!»

Insomma: la follia più pura. Un tipo di follia che mi trova già pronto, visto che ancora oggi due cose mi disegnano un sorriso da tempia a tempia sul volto: leggere fumetti e guardare film di Martin Scorsese. Quindi, mi fa sorridere che i difensori del cinema veVo quello d’autoVe ora siano tutti in sollucchero per una cosa che si chiama JOKER, mentre i lettori timidi ora credono che per quindici minuti verranno presi sul serio.

Un pagliaccio pestato in un vicolo: la fine che qualcuno sogna per me (Ah-Ah! Rido di voi!)

 “Joker” è un film costruito a tavolino per piacere a tutti, non serve un occhio particolarmente attento per capire che si tratta di un’operazione quasi paragonabile ai famigerati “parchi a tema”, dentro ci trovate tantissimo cinema di Scorsese a partire da “Re per una notte” (1983) e un po’ di “Taxi Driver” (1976) (qui entrambi rappresentati da un Robert De Niro che compie l’ideale passaggio del testimone da Jerry Lewis a Gioacchino), ma a ben guardare ci ho trovato dentro anche un po’ di “Bringing Out the Dead” (1999) il film di Scorsese che nessuno cita mai. Aggiungerei anche “Quinto potere” (1976), anche se lo ha diretto Sidney Lumet.

Però ci trovate dentro la più classica delle “storie di origini” di non uno, ma di due personaggi fumettistici, uno è quello che dà il titolo al film, l’altro potete facilmente immaginarlo. “Joker” prende la struttura tipica di un cinecomics e la sporca, mescolandola con il cinema della New Hollywood, in cui la Gotham City di fine anni ’70 primi anni ’80, è sporca, lurida, decadente e divisa in classi sociali distinte e separate, proprio come la New York che Travis Bickle sperava di veder spazzata via dalla pioggia.

«Grazie al cielo è venuta la pioggia, è servita a ripulire un po’ le strade dall’immondizia che si era ammonticchiata» (Cit.)

Forse a molti cultori del VeVo Cinema d’autoVe, non farà piacere leggerlo, ma “Joker” pesca dai fumetti, dalla struttura dei cinecomics e dall’iconografia della nemesi di Batman, solo che al logo della Distinta Concorrezza all’inizio del film, preferisce quello vintage della Warner. Il cinecomics per chi odia i cinecomics, posso dirvi la mia? Era anche ora e chi legge fumetti (senza vergognarsi) dovrebbe sapere benissimo che questa operazione tra le pagine è la normalità.

I fumetti di supereroi sono fatti di storie di origini, di infinite nuove avventure per i nostri eroi e anche di Maxi-Saghe che li fanno incontrare e scontrare, un canone piuttosto rigido fatto di serialità che molti lettori non amano vedere turbata. Ma ogni lettore di fumetti con la testa sulle spalle vi dirà che quando qualcuno arriva a dare una scossa a quella struttura, chiamiamola da “parco a tema” è allora che arrivano le storie per cui vale davvero la pena leggere i fumetti.

Warren Ellis che ci regala uno stratificato discorso sulla follia usando un vigilante meno noto di casa Marvel, Tom King che mette su una storia di ricerca di umana normalità (qualunque essa sia) usando come protagonista un Androide. Per non parlare della toccante storia degli anni ’90, in cui Peter David spiegava ad una generazione di lettori, che l’AIDS è così potente da poter mettere in crisi anche l’incredibile Hulk.

Sono cresciuto con Walter Hill e sono convinto che ogni film che merita, dovrebbe avere una scena in metropolitana.

Se fosse un fumetto “Joker” sarebbe una graphic novel (altra definizione che fa discutere i lettori di fumetti), magari in bianco e nero con qualche tocco di rosso (o di verde), rigorosamente fuori dalla continuity, destinata al circuito delle librerie e ad un pubblico più adulto, questo spiega i rimandi a The Killing Joke che si trovano nel film, quella sì più che il film di Todd Phillips, una storia quasi definitiva sulle origini di un personaggio che tra le sue caratteristiche chiave ha quelle di non avere un’origine chiara e definita.

Se fosse un fumetto “Joker” sarebbe la normalità (restare su queste Bare, a breve arriverà un ottimo esempio in tal senso), al cinema, invece, per ora era stato anticipato solo da Logan, guarda caso un film reso possibile da un “parco a tema” come il primo Deadpool. Per questo le chiacchiere su quale sia il miglior Joker di tutti i tempi per me stanno a zero, affrontiamo l’argomento? Ma sì, dài!

Il fatto che Joker non abbia delle origini chiare e definite, lo rende un personaggio ancora più affascinante, quest’ansia di dover incasellare tutto la trovo fuori luogo quando si tratta di storie immaginarie. Perché uno non può godersi il gioco di Kobe, LeBron o Steph, senza dover fare per forza paragoni con MJ, Magic e Larry? Allo stesso modo Cesar, Mark, Jack, BIP e Jared (anche lui… Ma meno) erano perfetti all’interno della storia che avevano da raccontare. Poi, come nel basket dove la mia preferenza va ad MJ, ovviamente ho il mio Joker del cuore, ma questo non mi impedisce di apprezzare quello pensato da P&P, Phoenix e Phillips. E no, non sono improvvisamente diventato della DC (la Distinta Concorrenza?), ma è proprio quello che penso. Ed ora, visto che (finalmente!) inizierò a parlare del film, vi avviso… SPOILER! Così stiamo tutti tranquilli.

Non voglio facce tristi dopo, consideratevi avvisati.

Todd Phillips dimostra di aver capito anche meglio di un paio di film di Nolan che Gotham dev’essere resa visivamente in modo riuscito per far funzionare le gesta dei personaggi che la popolano, nella sua versione della città i ricchi sono tutti stronzi senz’appello, mentre i poveri sono gli ultimi degli ultimi, quando non si ammazzano tra di loro in una guerra tra poveri.

“Joker” è un film fortemente paraculo, perché arrivi alla fine (abbastanza gasato) ritrovandoti a pensare che potrebbe essere perfetto per lanciare una nuova serie di film sull’Uomo Pipistrello, ma allo stesso tempo anche un titolo che intercetta molti temi sociali caldi, da queste e dall’altra parte della grande pozzanghera chiamata Atlantico. Impossibile non pensare alla diffusione delle armi, oppure alle disparità sociali, ma questo film è come il suo protagonista che afferma: «Ti sembro il tipo di clown che crea un movimento?».

La divisione manichea, al limite del populismo tra i ricchi – che nel film sono TUTTI stronzi – e i poveri che se va bene sono gli ultimi degli ultimi, quando non si ammazzano tra di loro, è talmente generica da poter risultare applicabile ovunque, anche in uno strambo Paese a forma di scarpa (comici che sfruttano il malcontento per generare un movimento? Un riccone che “scende in campo” malgrado il visibile disprezzo per buona parte della popolazione? Dove ho già visto tutto questo?), con la mossa paracula finale di giocarsi un’ultima scena che sì, urla a pieni polmoni «RE PER UNA NOTTE!», ma sembra anche volersi giocare la carte: “Ehi! Alla fine è il punto di vista del protagonista che, come avete visto, ha un po’ perso il boccino”.

«Preferisco essere definito eccentrico»

Le differenza sostanziale tra un Todd Phillips ispirato come quello di questo film, è un Martin Scorsese appena sceso dal letto è che il secondo ha sempre la capacità di andare molto più in profondità scavando nei personaggi. Phillips non ci prova nemmeno, dare un’origine a Joker era una mossa rischiosa e risolvere tutto con una madre che è pazza, non è pazza, sì, forse è pazza e ad una costante ricerca di una figura paterna. Una scelta un po’ troppo canonica per un personaggio così. Anche il tema sugli abusi infantili è appena accennato per essere un film che punta ad essere davvero rivolto ad un pubblico adulto. Potrei anche criticare il fatto che Arthur Fleck possa girare indisturbato, mettere le mani su documenti riservati e di certo non è uno che è diventato pazzo per via di “una sola brutta giornata” (anche se uno dei dialoghi cerca di farcelo credere), nella versione di P&P Arthur Fleck è pazzo fin dal primo minuto, lo sappiamo dal bigliettino che consegna alle persone per giustificare le sue risate isteriche, da come si comporta, eppure è impossibile non prendere le sue parti, perché prima o poi nella vita ci siamo sentiti tutti dei pagliacci fuori posto.

«Gengive tutto bene, nessuna carie. Può tornare l’anno prossimo per il solito controllo»

Phillips omaggia le iconografie da cui pesca a piene mani in maniera diligente, come detto, si trova tanto Martin Scorsese in questo film, ma anche tutto l’immaginario del Joker (con piccoli riferimenti a tutti le sue precedenti incarnazioni) e della sua nemesi, in quella che è una storia di origini travestita da film d’autore il regista non può non avere un cinema che trasmette un film di Zorro (ovviamente in versione comica “Zorro the gay blade” del 1981) e le famigerate perle della signora Wayne. Proprio come aveva fatto il suo attore con “I’m Still Here”, Phillips frega tutti e proponendoci un Joker completamente diverso rispetto a quello del fumetto, ne incarna alla perfezione lo spirito.

Todd Phillips si conferma l’uomo giusto per questa operazione perché proprio come il principe pagliaccio del crimine, è un narratore volutamente inaffidabile, che sparge temi e situazioni per provocare reazioni nel suo pubblico e siccome il Joker cartaceo non ha un nome e un’origine, lui ne fornisce una che potrebbe essere immaginaria, il parto di una mente disturbata, in un continuo gioco di specchi curatissimo fino al dettaglio.

Il locale dove si esibisce Arthur Fleck, si chiama “Pogo’s” come il nome d’arte del famigerato clown serial killer John Wayne Gacy e i parallelismi che strizzano l’occhio al cinema della New Hollywood abbondando. Fleck depresso e triste contro il vetro dell’autobus ad inizio film e gioioso nell’auto della polizia alla fine, così come le scale da fare in salita un gradino alla volta, con le spalle curve come sotto il peso del mondo ad inizio film e da scendere ballando, nel momento in cui il personaggio si realizza diventando il vero se stesso, per altro sulle note di un culto di casa Cassidy, “Rock & Roll Part II” della Gary Glitter Band, un pezzo che galvanizza, ma non cambia il fatto che Gary Glitter avesse avuto un piccolissimo problema di conclamate accuse di pedofilia, non proprio come John Wayne Gacy, ma comunque niente di buono (storia vera).

A casa Cassidy con la Gary Glitter Band ballano anche i cani (Rock & Roll, Rock & Roll… YEAH!)

Il Joker di questo film è l’involontario iniziatore di un movimento che cavalca la rabbia popolare, una vittima (nella bellissima scena della metropolitana, forse il momento migliore del film) che al contrario della sua futura nemesi non vuole essere il simbolo di nulla, ma che malgrado tutto viene eletto a simbolo del malcontento contro regnanti e politici che vedono tutti come pagliacci. Un populismo che può diventare molto pericoloso che il Joker non vuole comandare e Todd Phillips si guarda bene dall’approfondire, perché, in fondo, regista e personaggio hanno gli stessi intenti: raccontare la storia di Joker provocando reazioni.

Se un film così che, a ben guardarlo, è meno violento di quello che le richieste di messa al bando lascerebbero intendere, ha sconvolto tanti (specialmente negli Stati Uniti) dovremmo riflettere su quanto il cinema sia diventato più edulcorato dai tempi della vera New Hollywood di Scorsese ed oggi, per provocare reazioni (come dovrebbe fare sempre l’arte e il veVo cinema d’autoVe) bisogna usare i personaggi dei “Cinecomics” per un film che prende il meglio dai due mondi, senza vergognarsi, a differenza di troppa parte di pubblico.

Don’t it make you smile? / When the sun don’t shine (Cit.)

Di davvero proveniente dal cinema del passato, è la prova magnifica di Joaquin Phoenix che usa ogni parte del suo corpo (se mai vincerà l’Oscar, quello come miglior attore non protagonista va alle sue scapole), calandosi nel personaggio come fa ogni volta che recita, solo questa volta con visibilità tripla per via del citato “fattore J”. Una prova che fa da sola tutto il film e spesso ne nobilita le lacune sparse qua e là, oltre che agli svarioni della narrazione di Phillips, l’ultima prova così capace di monopolizzare l’intero schermo era Daniele Giorno-Luigi in “Il petroliere” (2007) che ogni tanto condivideva la scena con qualcuno qui, invece, Gioacchino oscura la vallata a tutti, De Niro si mette zitto e buono, Zazie Beetz sembra una voce nella sua testa e anche due di talento come Shea Whigham e la bravissima Frances Conroy sembrano facce anonime nella folla.

Ogni muscolo, chilo perso o cicatrice del labbro leporino vengono usati da Gioacchino per raccontarci il personaggio, se ne avete la possibilità, godetevi la prova di Joaquin Phoenix (anche se con il doppiaggio hanno fatto un buon lavoro) il modo in cui cambia voce e aumenta i decibel della sua risata, fino al livello unghie sulla lavagna è quello di uno dei migliori al mondo, lo era già prima, spero che ora se ne accorgano tutti, mi fa molto ridere il fatto che abbia avuto bisogno di farsi i capelli come Nick Cave e dipingersi la faccia per farsi notare da tutti.

«Già lo so, a Lucca saranno tutti conciati come me»

Ringrazio di averlo visto oggi questo film, se mi fosse capitato di conoscere Arthur Fleck da ragazzino la sua vicenda mi sarebbe andata ancora più sotto pelle, eppure nella storia – frutto del delirio? Chi lo sa con Joker di mezzo non si può mai sapere – di un ragazzo che voleva solo fare ridere la gente, ogni risata ha un peso. Quelle fatte per mascherare un momento in cui vorresti solo sprofondare e invece cosa fai? Ridi impacciato per non risultare scortese (non Martin). Quelle di quando nella giornata va tutto storto e tu eh eh ridi, perché tanto non ci puoi fare altro. La risata che fai per risultare simpatico, ma invece ti viene fuori sinistra, buahahah, oppure troppo rumorosa AH-AH! Quasi da maniaco eh eh eh. Le risate che fai, quando un presunto appassionato di fumetti cerca in un film l’approvazione per non risultare troppo strambo ehehahah! Oppure le grasse risate che mi vengono fuori quando realizzi che senza i “parchi a tema”, AHAHAH! Nel 2019 un film così bello non lo avremmo visto mai e ancora qualcuno si ostina ehehe a voler dare etichette ahaha! Fare classifiche eheheh dire che la violenza è colpa dei film AHAHAHAH! Quando, invece, questo è un parco a tema bastardo, un vile cabaret e il resto è vaudeville, o al massimo ottimo cinema… ah ah ah AH AH AH AH AH AH AH!

Fattela una risata, che magari domani ti svegli in una Bara Volante.
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