Voi leggerete questo post in un’altra data, ma nel momento in cui lo sto scrivendo oggi è il 30 luglio, compleanno di uno degli eroi della Bara, ovvero Arnold Schwarzenegger, quindi non potevo perdere l’occasione per il doppio compleanno, i primi trent’anni del titolo più chiacchierato della carriera della Quercia Austriaca, oggi tocca a “Junior”.
Conoscete i precedenti, in quel suo cervellone, Arnold aveva già aperto alle commedie con notevole successo, come ogni cosa nella sua vita mi verrebbe da dire, mi riferisco all’enorme successo de “I gemelli” (1988), seguito a stretto giro da “Un poliziotto alle elementari” (1990) seconda collaborazione con il regista Ivan Reitman che di colpo, nel 1994, si è ritrovato a capo del terzo ideale capitolo della sua trilogia, che potremmo definire la “Trilogia Arnold” oppure riconoscere nel suo DNA un certo filo rosso legato all’infanzia e ai bambini, se vogliamo dare spessore e spazio alla scena d’apertura nell’incubatrice del primo tassello, quello del 1988.
Anche se i fatti si sono svolti in maniera un pochino diversa, a proporre la sceneggiatura ad Arnold ci ha pensato la casa di produzione, ma la Quercia ha posto il veto. Me lo immagino con il suo accentone austriaco dire: «Chi cazzo è Brian Levant? Non lo voglio, o Ivan o niente!», infatti è andata proprio così, ma mettetevi nei panni di Arnold, siamo nel 1994, l’andazzo per gli eroi d’azione è cambiato, si stagliano all’orizzonte nuove tipologie di personaggi, tanto che nello stesso anno anche la Quercia e il fidato Jimmy Cameron, sfornano un titolo che riusciva in parti uguali a risultare testosteronico, pur parlato di una coppia in crisi e fondamentalmente di una storia d’amore, con più terroristi ammazzati e bombe atomiche però.
Se tutta la prima parte della filmografia di Schwarzenegger andrebbe studiata come esempio di sole scelte azzeccate, il nostro era riuscito nell’impresa di capire prima di tutti che il suo personaggio poteva funzionare quando Schwarzeneggiava al 100%, ma anche quando in teoria, come ne “I gemelli” risultava perfetto proprio perché del tutto fuori luogo, una formula esattamente replicata nel vederlo poliziotto all’asilo. Normale che per un soggetto, che partiva dalla premessa di vedere Schwarzenegger fare qualcosa assolutamente non alla Schwarzenegger (come partorire), il nostro volesse almeno tutelarsi, portandosi dietro un regista di cui aveva piena fiducia come Ivan Reitman.
Ma visto che parliamo di pretoriani, dai due capitoli precedenti dell’ideale trilogia arrivano altri nomi collaudati, il primo è ovviamente Danny DeVito, la seconda è Pamela Reed, a cui viene concesso il palcoscenico di essere l’altra in dolce attesa nel film, oltre ad Arnold ovviamente.
“Junior” alla sua uscita incassò più che decentemente ma non spaccò i botteghini come “I gemelli”, in generale alla sua uscita riuscì ad irritare più persone del necessario o per lo meno, ad irritare tutte quelle stupide – che comunque sono sempre più del necessario – beccandosi addirittura dei visti censura in diversi Paesi del mondo, primo tra tutti i puritani Stati Uniti d’America, che comunque negli ultimi trent’anni sono solo peggiorati anche da questo punto di vista. La colpa di “Junior”? La sua premessa, avere uno Schwarzenegger che non spara a nessuno e in generale, parlare di questioni di cui i maschietti non vogliono sentir parlare, argomenti che di norma non si tirano fuori quando vi invitano la prima volta a cena, ecco.
A lungo “Junior” è stato considerato una macchia nella filmografia di un po’ tutti, Ivan Reitman che a materia grigia è sempre stato messo meglio di tanti altri, ha candidamente ammesso che sì, forse non è il mio film più riuscito ma è uno dei miei preferiti (storia vera). A trent’anni dalla sua uscita, un po’ provocatoriamente ma nemmeno tanto, non sarebbe ora di rivalutarlo o per lo meno, di guardarlo per quello che è? Un film più avanti del suo tempo.
Il prologo iniziale con l’incubo pieno di neonati è molto condivisibile da parte di molti maschietti, dopodiché si passa ad introdurre i personaggi, i due ginecologi Alexander Hesse (Arnold) e il suo compare il Dr. Larry Arbogast (DeVito) due che hanno sviluppato un farmaco rivoluzionario per evitare l’aborto spontaneo, l’Expectane è così efficace che gli esperimenti sulle SIMMIE procedono benissimo e voi ben conoscete le mie teorie, da Scimmiologo DOC quando compare un primate in un film, quello in automatico guadagna già dei punti.
Purtroppo la commissione non concede i fondi per il discusso medicinale, il capo dell’università che ospita i due uomini di scienza, Noah Banes (Frank Langella), gongola e Alexander minaccia di tornare in patria, quando Larry lo convince: l’ovulo pescato dal congelatore etichettato come “Junior” può essere impiantato in chiunque, anche in un uomo. Il resto del film si scrive da solo.
Nota di continuità interna prima di fare anche solo un altro passo in questo post: “Junior” detiene il primato (oltre che il primate) di essere uno dei pochi titoli della sua filmografia in cui Arnold non ha fatto nulla per mascherare il suo accento, non che lo abbia mai fatto per davvero, solo che qui interpreta un austriaco e se il nostro non ha avuto remore a recitare nausee mattutine, scariche di ormoni, con il pancione e la parrucca spacciandosi per atleta della Germania dell’Est, su una cosa il suo ego ha avuto la meglio, solo una: nelle scene con Frank Langella (1,93 centimetri) sembra Arnold (1,88 centimetri) ad essere quello più alto tra i due, almeno, per il modo in cui il sodale Reitman lo inquadra. Fateci caso e pensate al torcicollo di DeVito a recitare con quei due.
A mediare tra le parti, abbiamo anche la brava Emma Thompson nei panni dell’imbranata Dr. Diana Reddin, un po’ spalla comica, un po’ interesse amoroso, un po’ responsabile di dare valore alle donne in un film che tratta un argomento che è sempre stato a loro appannaggio, anche se le traiettorie dei personaggi sono tutte piuttosto chiare, a partire da quella di Pamela Reed e la sua sottotrame legata in qualche modo agli Aerosmith, “Junior” si gioca tutti i momenti giusti, con un calo di ritmo forse solo nella parte centrale, ma tutto sommato nemmeno così percepibile da giustificare la brutta fama del film.
A suo modo “Junior” è ben più posato e discreto di quello che avrebbe potuto essere se affidato in mani differenti, quante altre battute facili e sconce su un uomo che partorisce si sarebbe giocato chiunque altro? Fateci caso, anche tutta la questione della “coppia di fatto” con il “marito” DeVito che si rassegna all’idea in nome della scienza (e del profitto, ricordiamolo) deve stare al gioco e accettare l’idea di avere una “moglie” teutonica da piazzare in clinica, tutta roba ad un passo dallo scivolare nel pecoreccio spinto, ma senza che Reitman lo permetta mai per davvero. Quindi arriviamo alle vere “colpe” di questo film: vuoi vedere che era più intelligente nel gestire il tema di come il pubblico avrebbe voluto?
Anche se la colpa principale di “Junior” sarà sempre quella di aver demascolinizzato uno impossibile da demascolinizzare come Arnold, troppo tosto, troppo ironico e intelligente (che poi sono sinonimi) perché altri lo possano davvero prendere in giro più di quanto la sua auto ironia conceda, trovatelo un altro con quel pedigree, che nel 1994 poteva pilotare un Harrier a decollo verticale oppure lanciarsi in un “training montage” da puerpera con parrucca bionda in testa, no dico, trovatelo.
Per anni la colpa di “Junior” è stata questa, ma considerato il garbo con cui tratta l’argomento (pur non tirando mai via la mano sulle gag), forse la vera colpa del film di Reitman è stata quella di essere troppo avanti per il 1994, pensateci: maschietti più sensibili riguardo al punto di vista femminile, tanto da ritrovarsi nei loro panni – per ragioni strettamente comiche – un tipo di umorismo in cui quel tipo di mascolinità che oggi, usando un aggettivo odioso e alla moda, verrebbe definita “tossica”, risulta totalmente bandita e ultima, ma non meno importante, persino la classica “frase maschia” che non è mai mancata nei film di Arnold, anche qui si prende il palcoscenico.
Nel mondo in cui Alexander fa l’ultimo deciso passo per proteggere Junior, Ivan Reitman dedica un intenso primo piano ad Arnold che invece dalla solita «Stick around!» o «get to the choppa!», il nostro si gioca quella che è una presa di posizione ideologica, femminile al cento per cento e proprio per questo doppiamente efficace se pronunciata da un generatore di “punchline” come il nostro Arnold: «Il corpo è mio decido io!». Qualcuno oggi potrebbe parlare di “Mansplaining”, io preferisco considerarla un buon uso della satira, anche perché quell’anglicismo viene usato spesso a caso.
Se uscisse oggi “Junior” verrebbe percepito ed accettato dal pubblico con molta più facilità, perché la pancia – non è una battuta, giuro! – degli spettatori è molto diversa rispetto al 1994, l’unica certezza che ho è che oggi, 2024, non esistono nomi come Reitman, Schwarzenegger DeVito o Thompson per sfornare un altro titolo in grado di risultare divertente senza mai cadere nello stupido, nemmeno nei temi trattati… Auguri Junior!
Creato con orrore 💀 da contentI Marketing