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Justice League (2017): l’abbiamo già fatto

Ci tengo a precisarlo: io non voglio male a Zack Snyder. Nei confronti del regista più a rallentatore del mondo esiste un livore come solo il meglio di Internet può tirare fuori dalla persone, il mio grosso problema con lui è che lo ritengo un grande talento nel creare belle immagini, ma un narratore non altrettanto capace. Sono certo che se mai lo incontrassi al bar sotto casa potremmo passare la serata a berci numerose birrette parlando di fumetti. Sapete a chi voglio benissimo, invece? A Joss Whedon!

Joss Whedon per me è un genietto, ha la capacità di rendere realistici i personaggi grazie ad ottimi dialoghi, gli voglio bene per “Firefly” (per me il suo vero capolavoro terminato troppo presto). Non riesco ad immaginare a due registi più simili e comunque più diversi tra loro, entrambi fanatici di fumetti, tanto che Whedon ne ha anche scritti parecchi (sto pensando al suo ciclo sulle pagine degli Uomini-Pareggio, ad esempio), insomma, al bar insieme verrebbe fuori una serata molto nerd, ma averli tutti al lavoro sullo stesso film, mamma mia che brutto affare.
Snyder è uno che si prende tremendamente sul serio, sempre alla ricerca di quel tono epico e grandioso che per gli eroi della Distinta Concorrenza sulla carta è perfetto, mentre Whedon è quello capace di mostrarti il lato umano degli eroi che sia Occhio di Falco, l’umano tra i super, oppure Buffy, Joss sulla carta è perfetto per il mantra “Supereroi con super problemi” della Marvel.

«Baffleck scendi giù, abbracci la bonazza qui e le dici Stretta a me! Però tutto a rallentatore ok?»

I due sono uniti anche dalla capacità di incendiare la cloaca dei Social-Così, la collaborazione tra Whedon e la Marvel è terminata dopo le (assurde, ma davvero assurde) polemiche di sessismo per Avengers Age of Ultron, mentre Snyder che ha dovuto passare il testimone di questo film al suo compare, dopo il tragico suicidio di sua figlia sedicenne Autumn, è stato accolto in rete con il lancio di mortaretti e le lingue di menelik, come se uno si meritasse una tragedia familiare di tale portata solo per non aver adattato i vostri (e i miei) fumetti preferiti come avreste fatto voi nerd. Questi sono i social-cosi bellezza e tu non ci puoi fare niente.

“Justice League” scritto da Snyder e Chris Terrio, gli stessi che ci hanno già ammorbato con Batman v Superman: Dawn of Justice, è stato rivisto in fase di sceneggiatura e completato alla regia da Joss Whedon. Sulla carta avrebbe dovuto essere tutto perfetto, ma come per le grandi squadre, non basta accumulare grandi nomi per vincere il campionato, infatti il film è un discreto casino.
Anzi, lasciatemi spiegare meglio, il film è un discreto pasticcio in fase come messa in scena, il montaggio in moltissime scene è pasticciato, sembra che manchino proprio delle scene di congiunzione importanti e certi tagli mi sono sembrati davvero brutali, persino gli effetti speciali sono davvero poca cosa, nel trailer mi erano sembrati provvisori, ritrovarli uguali sul grande schermo mi ha fatto pensare a quanto sia stata raffazzonata e frettolosa la produzione, capisco che cambiare regista in corsa senza cambiare la data di uscita non sia un affare semplice, ma il risultato è un film con il fiato corto. Che poi non è nemmeno questo il grosso problema della Lega della giustizia, che per fortuna non è l’alleanza tra Salvini, Borghezio e Maroni.

«Si va bene, però magari tutta questa roba che si muove a rallentatore la togliamo ok?»

Quando si tratta di fumetti di supereroi non ho dubbi, ho sempre preferito i personaggi in fondo umani della Marvel ai semi Dei della Distinta Concorrenza, non lo dico per fare quello gongola, ma i personaggi Marvel li conosco molto bene, quelli della DC Comics in maniera meno dettagliata, quindi dal loro adattamento cinematografico mi aspetto sempre che la storia riesca a coinvolgermi, a farmi affezionare a questi personaggi a cui non do del tu, cosa che sistematicamente non accade quasi mai.

Guardando “Justice League” ho avuto un sensazione forte, quella del dejà vù, mi è sembrato di assistere alla noiosa replica di qualcosa che qualcuno aveva già fatto prima e, per altro, pure molto meglio. Trama e andiamo nel dettaglio.
Superman è ancora morto dal precedente film, Batman è ancora vecchio, infatti Ben Affleck per essere sicuro di farci arrivare la stanchezza di un personaggio che lotta da una vita, recita senza alcuna voglia di vivere, se in Batman v Superman: Dawn of Justice “Baffleck” mi aveva convinto qui mi è sembrato il più scazzato di tutti.
Sulla Terra arriva Steppenwolf, un cattivo generico in CGI, che ha il vocione di Ciarán Hinds (il capo dei bruti di Giocotrono) le corna giusto per farci capire quanto è diabolico e un nome che ogni volta che viene pronunciato in modo solenne durante il film provoca sempre la stessa reazione «Steppenwolf distruggerà il mondo» e qualcuno in sala canta BOOOOOORN to be WIIIIIIILD!

«Odio quella canzone! Sono così cattivo che vi costringerò ad ascoltare solo Ed Sheeran»

Pensate che in molti negozi di strumenti musicali d’America, capita di trovar cartelli scritti dai commessi con la lista dei riff di chitarra da NON suonare per provare le chitarre, tra questa “Born to be wild” degli Steppenwolf, sta al secondo posto dopo “Smoke on the water” e siccome la Marvel ha un cattivone viola (Thanos) penso che la Distinta Concorrenza abbia scartato il nome “Deep Purple” per gettarsi su Steppenwolf.

Il nostro cattivo dal nome Rock, vuole recuperare le tre Scatole madri, che riunite insieme doneranno al cornutaccio poteri infiniti e la possibilità di trasformare il mondo a suo piacimento. Se, per caso, tutto questo vi sa di già visto, è solo perché le tre Scatole madri sono la versione da discount della Gemme dell’Infinito della Marvel.
Ad aiutare il senso di già visto, tutto questo ci viene spiegato mostrandoci una battaglia, un’alleanza tra amazzoni, abitanti di Atlantide e umani che ha già sconfitto Steppenwolf in passato. Anche qui, se state pensando alla prima scena de “Il signore degli anelli” (2001) di Peter Jackson non vi sbagliate, perché è identica, manca davvero solo veder spuntare Gollum e poi il plagio sarebbe completo.

«Me la fate uguale al Signore degli anelli ok? Veloci però che ho male al braccio, indico roba a caso da tre ore»

Per sconfiggere Steppenwolf, quindi, ci vuole una nuova allenza di eroi che possano sconfiggerlo, un gruppo che chiameremo… AVENGERS! Ah, no, scusate, non lo chiameremo in nessuno modo, perché, come sapete, la moda dei film della Distinta Concorrenza impone che nessuno pronunci il proprio nome, in “Man of Steel” nessuno chiamava Superman così, per non risultare stupidi, avete presente no l’aria seriosa con cui la Warner affronta questi tizi in calzamaglia? Ecco, iniziate a dimenticarla, perché “Justice League” manda a donnine di facilissimi costumi anche questa loro consolidata abitudine.

«Ragà! Facciamo vedere anche noi che siamo i più simpa della cumpa!»

Sì, perché Leo Ortolani ha riassunto il tutto con l’ormai celebre gag in cui i “Tristoni” della Distinta Concorrenza fanno penitenza, mentre i tipi della Marvel fanno il trenino (A-E-I-O-U-IPSILON!), in questa storia in cui un mostro strapotente sta per distruggere il mondo e l’unico che potrebbe opporsi al suo potere (ovvero Superman) è morto, ci sarebbe stato davvero bisogno di un tono cupo, cinereo, senza alcuna speranza, invece proprio in questo film la Warner cosa decide di fare? Di aprire ufficialmente all’umorismo spiccio. Cioè: siete andati in giro con il cilicio ai maroni fino ad ora e proprio adesso vi siete riscoperti mattatori della festa? Che poi, diciamolo chiaramente: non trovo niente di più triste di qualcuno storicamente negativo che cerca di far ridere a tutti i costi.

Una foto a cado di Gal Gadot per consolarci.

“Justice League” procede e finisce senza guizzi, a tener alto l’interesse sono le trovate talmente sceme da renderlo un film perfetto per una parodia, una delle tre Scatole madri affidata ad una povera famiglia russa, però con fucile e pick-up (saranno dei Russi Texani?), Superman riportato in vita con l’aromaterapia (o una roba del genere) che si risveglia cattivo e senza memoria (come me quando suona la sveglia presto), che ritrova la memoria solo perché vede arrivare Amy Adams che ormai è l’umana adibita ad accogliere gli alieni appena arrivati sulla Terra.

Colpo di scena finale che mi ha fatto cadere dalla poltrona dal ridere: Superman che rivede sua madre Martha. Ho sperato fortissimo di vederlo portare la donna in volo a Gotham City per presentarla al suo amico Batman, con il pipistrello che con il suo vocione da cantante Death Metal dice: «Tu sei Martha, Clark mi ha tanto parlato di te» per poi scoppiare tutti insieme a piangere, magari con una bella comparsata finale di Raffaella Carrà.

«Grrrrarthaaarrrr!!» , «Ma non ti viene la bat-raucedine a parlare sempre così?»

Insomma, questo film mi è sembrato tanto un tentativo arrivato colpevolmente in ritardo, di riproporre lo stesso identico schema di “Avengers” (2012), ma senza verve, senza brio, senza colpi di scena, sarebbe un giochetto fin troppo facile dare la colpa di tutte le scene “cupe” (la palette cromatica tetra e monocorde è tremendamente stantia e fuori luogo in troppi momenti) a Zack Snyder e quelle allegre e sceme con le battutine a Joss Whedon, ma anche in questo la Distinta Concorrenza arriva tardi, la Marvel aveva già sfidato il pubblico a fare “Indovina chi?” con uno dei suoi film.

Trovo assurdo che tutti i personaggi che prima erano sempre e comunque tremendamente seriosi, qui inizino a fare le battutine, persino Superman si lancia in un tentativo di “Frase maschia” quando dice «Io credo nella verità. Ma sono anche un grande fan della giustizia» e, per assurdo, anche la durata di 120 minuti (comprese due scenette di poco sconto dopo i titoli di coda, altra idea scippata alla Marvel) risulta troppo breve. Uno dei problemi di “Man of Steel” e di Batman v Superman era proprio l’eccessiva lunghezza, invece, anche su questo, “Justice League” decide di cambiare abitudine proprio ora che avrebbe bisogno di minuti per presentare i nuovi arrivati che, infatti, sono giusto abbozzati.

Una foto a caso di Momoa per le lettrici (tutte e quattro)

Acquaman a parte la gag del “Parlare con i pesci” e quando si siete sul laccio della verità di Wonder Woman ha il compito di portare in sala le signore. Di fatto, è un tamarro con un giubbotto da scafista, che si atteggia a duro, mostra i pettorali ad ogni occasione utile, però a conti fatti, vince il premio “Gianluca Grignani” per il personaggio del finto duro, il guappo di cartone che, in realtà, è solo un truzzo con la giacca di pelle. Puoi fare il ribelle quanto vuoi caro il mio Jason Momoa, ma sei comunque costretto ad andare in giro con le lenti a contatto azzurre posticce e i colpi di sole tra i capelli.

«Di a Cassidy che si chiamano SHATUSH! Una roba da veri duri, era scritto su Cosmopolitan»

Inoltre, nulla mi toglie dalla testa che Jason Momoa sia stato scelto perché somigli fisicamente molto di più a Namor, il re di Atlantide della Marvel e i tipi della Warner si siano sbrigati a metterlo sotto contratto solo per toglierlo alla concorrenza. L’illustre sconosciuto Ray Fisher ha il personaggio più ingrato di tutti, di fatto, è il figlio di un “Mad doctor” che si è ritrovato incastrato in un corpo robotico e con dei generici poteri non ben spiegati, pare che possa svolazzare un po’ e collegarsi ad Internet da dove vuole. In pratica il super potere che qualunque quindicenne in perenne ricerca di un wi-fi vorrebbe avere.

«Scherza pure, intanto sto cancellando la Bara Volante dai server di blogger, scemo»

Un personaggio così originale che fin dal nome è chiaro quanto si siano sbattuti a scriverlo, si chiama “Cyborg” che è un po’ come se gli altri suoi compagni di squadra si chiamassero: Pipistrello, Bonazza, Nerd, Tamarro e tizio a cui hanno cancellato i baffi in CGI (storia vera). Per assurdo, sarebbe stato meglio completare il gruppo prendendo i personaggi della serie tv della Distinta Concorrenza: Flash, Arrow e Supergirl del piccolo schermo almeno sarebbero stati già caratterizzati.

È un aereo? È un uccello? No, ha i baffi e vola è Super Mario!

L’unica cosa che caratterizza Cyborg per davvero è il fatto che vada in giro in tuta, un tutone alla Rocky con cappuccio e tutto il resto… Hai un corpo robotico, perché cacchio ti devi mettere una tuta sopra? Cos’è patisci il freddo? Devi portare a spasso il cane? Ma il vero colpo di genio lo fa il casting, il padre del ragazzo, quello che lo ha trasformato in una macchina interconnessa in rete e potenzialmente onnisciente è interpretato da Joe Morton, il Miles Dyson di Terminator 2… A questo punto, avrebbero almeno potuto chiamare il personaggio Skynet che cacchio! Sicuramente meglio di Cyborg, no?

“Non so… per quanto tempo ancora… lo posso reggere” (Cit.)

Capolavoro finale: Flash, non si perde nemmeno tempo ad introdurlo perché tanto più o meno grazie alle serie tv dedicate al personaggio (vecchie e nuove che siano) tutti lo conoscono. Quindi, il compito di Ezra Miller è quello di fare battutine a caso durante tutto il corso del film, le frasi simbolo del personaggio, tutte piazzate in momenti chiave sono trovate come “Pet sematary”, oppure “Dostojewski” al grido di: “Facce ride!”.

Poi il feticista del rallenty Zack Snyder, aveva giusto bisogno di un personaggio come Flash, in modo da poter passare dal dirigere tutte le scene al rallenty alla super moviola che rallenta ancora di più le scene! Ma anche qui il senso di già visto colpisce forte, dato che Brian Singer ha fatto di più e meglio con Quicksilver… Due volte! in due diversi film! 
L’unica soddisfazione che mi ha regalato Flash sta nel fatto che ad ogni primo piano mi ricordava un po’ Evit di Doppiaggi Italioti e considerando che questo film potrebbe essere demolito scena per scena, ho sperato fortissimo di vedere comparire anche Petar, di sicuro mi sarei divertito molto di più durante la visione! Ora posso solo sperare che i due facciano su uno dei loro video dedicati a questo film… Occhiolino, occhiolino.

Ed ora che è dotato di supervelocità, potrà stroncare il doppiaggio in metà tempo.

Nell’anonimato totale anche della colonna sonora di un Danny Elfman mai così poco personale (infatti si limita a rimaneggiare i temi principali dei singoli eroi, senza farne emergere davvero mai nessuno), per la prima volta in vita mia ho capito cosa prova tutta quella porzione di pubblico che non ha mai letto fumetti di supereroi e si trova davanti a questi tizi in calzamaglia. Un’esperienza brutta, ma formativa per me, perché con il passare dei minuti e privato di ogni forma di stupore, non facevo altro che guardare il montaggio barbaro, i dialoghi finto drammatici, tutti diretti con la scollatura di Gal Gadot / Pettorali di Henry Cavill (scegliete voi in base ai vostri gusti) sempre in bella vista per far contento il pubblico, ma soprattutto i costumi.

Sotto sotto il mar (niente più nemici, solo crostacei amici).

Batman mi è sembrato uno sfigato che ogni si deve togliere la maschera per non dover usare la sua voce “Growl” ed evitare la raucedine, Jason Momoa con una tutina di plastica tristissima che nessuno utilizzerebbe mai per scendere in piazza a picchiarsi, al massimo conciato così puoi giusto essere preso di mira da qualche bullo, ma anche Amber Heard che la guardi e ti viene da dire: “Ma perché è vestita come la sirenetta?”. Per non parlare di Jeremy Irons e J.K. Simmons del tutto sprecati, insomma: se riuscite ad annoiare persino un appassionato di fumetti, il problema inizia ad essere grave, molto grave.

Si potrebbe riassumere tutto questo film con quella scena dei Simpson, quando Homer e il suo quartetto vocale, i Re acuti, salgono sul tetto del bar di Boe a cantare il loro pezzo più celebre, chiara citazione al video di “Get back” dei Beatles. Se avete visto l’episodio ricorderete che la scena finisce con George Harrison che dalla sua limousine li vede dice «L’abbiamo già fatto» alza il finestrino e se ne va. Ecco, questo film è la stessa cosa, ma con la Justice League sul tetto e Kevin Feige insieme a tutta la Marvel dentro la limousine.

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