Continua il mio percorso di ripasso della saga di “Karate Kid” e se, come scrivevo, quasi non conservavo alcun ricordo del secondo capitolo, il terzo, invece, me lo ricordavo. Me lo ricordavo un pochino migliore di come l’ho ritrovato, porca miseria!
La leggenda vuole che dopo il successo del primo film, i possibili soggetti da esplorare per un seguito fossero due: una pellicola che esplorasse il passato del Maestro Miyagi, oppure la vendetta del Cobra Kai. Facendo una scelta abbastanza suicida, Karate Kid II ha optato per la prima soluzione, quindi per la vendetta del Cobra Kai abbiamo dovuto attendere tre anni, durante i quali parecchie cose sono cambiate, a partire dal grande John G. Avildsen che, mi spiace dirlo, aveva perso un po’ il sacro fuoco che lo alimentava ai tempi del primo film, infatti l’anno successivo avrebbe tentato di recuperare un po’ gli “occhi della tigre” con la regia di Rocky V… Sapete com’è andata a finire.
A distanza di anni, intervistato, Avildsen ha dichiarato che la trama di questo terzo capitolo era poco più che una brutta copia del primo film, scritto sempre dallo stesso Robert Mark Kamen, anche un po’ a tirar via (storia vera), rivedendolo è abbastanza chiaro che il regista avesse ragione. Non solo, la struttura è quasi la stessa del primo capitolo, solo molto meno frizzante e appesantita da alcuni cattivi che esasperano all’eccesso il loro atteggiamento da bulli, anzi, a dirla proprio tutta tutta, se il primo film sembrava un Rocky per ragazzi, questo sembra un Rocky III per ragazzi: il protagonista che si monta la testa, l’avversario molto più forte di lui che non vede l’ora di spezzargli le ossa batterlo, anche la redenzione e il ritorno alle origini finale, identico al film di Stallone, solo tutto molto meno esaltante e con molti più Bonsai al posto delle corse sulla spiaggia. Insomma: una specie di “Rocky III” con il pollice verde, ecco.
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«Un ciliegio grande e bello disse a un piccolo alberello: Sì, sei bravo, hai messo i fiori coi lor petali a colori…» (cit.) |
Tutto inizia con John Kreese (Martin Kove) che si aggira come un cane bastonato per la città, dopo la sconfitta nel torneo (primo film) e l’umiliazione subita da Miyagi (primi minuti del secondo), Kreese è uno straccio almeno fino al giorno in cui non incontra il suo vecchio commilitone Terry Silver (Thomas Ian Griffith): «Ma tu sei il grande John Kreese! Ma tu mi hai salvato la vita nel Viet”Fottuto”Nam! Ci penso io a vendicarti, tieni, prendi un po’ di soldi, vai a rilassarti a Tahiti, una corona di fiori un bel massaggio, due cocktail con gli ombrellini ed io intanto resterò qui a spendere una barcata di soldi esagerata, per vendicarmi di due perfetti sconosciuti che non ho mai nemmeno sentito nominare in vita mia, ma che già mi stanno sulle balle perché hanno ridotto così il grande John Kreese!»
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«Here come Johnny Kreese!» (il ritorno del Cobra Kai riassunto) |
… Capite da soli che con una trama così, il fatto che il cattivo sembri Fiorello ai tempi del Karaoke, è la parte più credibile della storia.
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Hai un amico in me, un grande (psicopatico) amico in me! (Quasi-cit.) |
Quindi, mentre John Kreese parte per Tahiti, dallo stesso aeroporto tornano Daniel LaRusso (Ralph Macchio) e il Maestro Miyagi (Pat Morita) di ritorno dal loro viaggio ad Okinawa. Così nella stessa scena gestiamo tutti i personaggi principali che come logistica sarà molto comodo, ma a livello cinematografico non è proprio la più brillante delle trovate.
Ci sarebbe sempre la solita questione dell’altra metà del cielo da sbrigare, seguendo l’esempio del film precedente, Kumiko viene fatta fuori con una riga di dialogo, spedita in esilio con una compagnia di danza a Tokyo o qualche altra diavoleria del genere chissenefrega. Mentre anche questa volta ci liberiamo della pressantissima signora LaRusso, questa volta con una telefonata, c’è uno zio malato a cui badare nel New Jersey, che John G. Avildsen pensa bene di mostrarci come se fosse una delle gag comiche di un episodio dei Griffin: lo zio Louis con l’enfisema che tossice come se dovesse sputare un polmone sullo sfondo, mentre Daniel strappa al telefono la promessa che sarà il signor Miyagi a badare a lui. In due minuti abbiamo eliminato dallo scenario due personaggi femminili, ora possiamo pensare a cose importanti… Ora possiamo pensare ai Bonsai!
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Da qualche parte nel mondo, il piccolo Seth MacFarlane prendeva appunti. |
Sì, perché sulla note di Summer in the City, il massimo interesse di Daniel LaRusso è trovare un negozio in cui Miyagi possa iniziare la sua attività di vendita di Bonsai, una roba che ha la priorità su tutto, anche sul fatto che il film s’intitolerebbe “Karate Kid” non “Bonsai Kid”, perché tutta la parte dedicata alla arti marziali passa palesemente in secondo piano.
Per essere proprio sicuro che il Karate in questo film sia ridotto ai minimi termini, la nuova regola del torneo, prevede che il campione vada dritto in finale saltando tutte quelle preliminari, giusto perché Daniel LaRusso ha bisogno di un altro po’ di tempo libero per gongolare della sua vittoria… No no, non è nemmeno un po’ odioso. Mettiamoci anche che davanti al nuovo negozio di Bonsai, lavora una rossina carina che subito mette gli occhi su Daniel ed io posso credere a tutto, al fatto che si possa imparare il karate mettendo la cera sulle auto, oppure coltivando alberi nani, ma a questa cosa del “Sesso a pile” di LaRusso proprio no!
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Bah, sarà che il tipo sportivo piace alla ragazze, vai a capire. |
La bella di turno questa volta è Jessica, interpretata dai capelli rossi di Robyn Lively (sorella di Blake) uno che è arrivata a tanto così dall’interpretare Mary Jane nello Spider-Man mai girato da James Cameron e che, invece, ricorderemo mentre fa gli occhi dolci ad uno che pare un dodicenne rachitico, anche se durante le riprese di questo film Ralph Macchio aveva 27 anni ed era sposato, motivo per cui tra Daniel e Jessica c’è solo amore platonico, per non ingelosire la nuova signora Macchio (storia vera).
Ma se vi sembra strano questo, aspettate di sentire il resto: il cattivissimo Fiorello interpretato da Thomas Ian Griffith è un anno più giovane di Macchio, anche se a vederlo così è perfettamente credibile (coda di cavallo a parte) nel ruolo del coscritto di Martin Kove. Vi sembra strano? La risposta è che Thomas Ian Griffith, in realtà, è un vampiro, per questo invecchia in maniera così strana, quel drittone di John Carpenter lo ha capito prima di tutti.
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Maniacal laugh… Maniacal laugh! |
Gli sforzi di Fiorello per distruggere la vita di un ragazzetto rachitico e di un vecchio maestro di Karate di Okinawa sono sovraumani, capisco che a giudicare dalla villona in cui vive, il personaggio di Griffith deve disporre del portafoglio del corvo Rockfeller, però per prima cosa compra palestre come se volesse organizzare una truffa edilizia solo per riaprire ovunque un dojo del Cobra Kai, dopodiché senza pensarci, fa venire in città quello che il giornale etichetta come il “Bad Boys” del Karate, Mike Barnes (un Sean Kanan talmente odioso da far quasi sembrare simpatico LaRusso), solo per sfidare il campione e grazie a continue vessazioni, convincerlo a partecipare al torneo di Karate.
Su questo principio il simpatico Fiorello Ian Griffith, dev’essere uno che se per caso una mosca lo disturba durante la sua lettura serale quando è comodo in poltrona, come minimo acquista tutti i palazzi del circondario e poi fa bombardare il quartiere con il Napalm per liberarsi dell’insetto.
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Hey io già lo so, che matto diventerò / Se mai mi cercherai, per dirmi che tu mi vuoi / Si o no, si o no. |
Sta di fatto che la SOTTILISSIMA tecnica di Fiorello risulta più urticante e logorante dell’ascolto a rotazione della classica “Sì o no” (Hey io già lo so / che matto diventerò / se mai mi cercherai / per dirmi che tu mi vuoi / Si o no), la coppia composta da LaRusso e Miyagi scoppia, perché Daniel si scagazza allegramente sotto dalla paura quando Mike lo maltratta, mentre il Maestro, molto più saggio, lo rimprovera con uno dei suoi moniti: «Daniel-San, se Karate è usato per difendere l’onore e difendere la vita, allora Karate significa qualcosa. Ma se Karate viene usato per difendere un trofeo di ferro e plastica allora Karate non significa niente».
Fiorello Ian Griffith si propone come nuovo maestro al ragazzo, cercando di convincerlo che con lui imparerebbe nuove mosse, tipo come si fa a spazzare. Momento che crea una gag tutta da ridere dove per illustrare come si fa a spazzare, Miyagi mette mano ad una scopa di saggina, non vi dico… Grasse risate. Ma la frattura tra allievo e maestro ci viene raccontata in modo DELICATISSIMO da John G. Avildsen con la metafora del prezioso Bonsai spezzato, talmente raro che va coltivato su un pendio che si trova accanto ad una cascata, una roba che sta a metà tra gli allenamenti sotto l’acqua di Sirio il Dragone e la pubblicità dell’amaro Montenegro (sapore vero).
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L’universo mi ha offerto un’altra occasione per condividere questo capolavoro. |
LaRusso cede al lato oscuro del Karate e finisce per farsi allenare da Fiorello che… Pensa un po’? È una specie di pazzoide sadico che insegna un Karate sanguinario da neonazisti per fortuna Miyagi mosso da pietà viene a salvare il suo allievo (e noi spettatori) da questo tedio, menando tutti. Oh, con il suo tempo, perché comunque Pat Morita andava già per i sessanta, quindi sì, li stende tutti, però con calma perché la sciatica è una brutta bestia.
Siccome ancora non avevamo scopiazzato proprio tutti tutto da “Rocky”, John G. Avildsen questa volta si prende anche il “training montage” dove l’arte del Bonsai si unisce alla tradizione del Kata, il tutto sulle note di Bill Conti e dopo un tempo infinitamente lungo arriviamo al torneo finale, ancora una volta arbitrato da Pat E. Johnson, anche lui ripescato direttamente dal primo film e, possiamo tranquillamente dirlo, grazie ai suoi trascorsi con Chuck Norris, anche l’unico che conosce per davvero il Karate sul set di questo seguito.
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«Molto semplice: Voi vi menate bene, se non vi menate bene, vi meno io. Male però» |
Mi rendo conto che dopo mille visioni infantili dei primi tre film di questa saga, l’unico che ricordavo davvero bene era il primo capitolo – ancora il migliore – mentre degli altri ho tutto sommato salvato in testa le parti più caratteristiche, di questo terzo capitolo l’unica parte memorabile resta il finale, l’ultimo combattimento contro Mike Barnes è una versione vitaminizzata dell’ultima scena del primo film, una variante dell’ormai famigerata regola aurea dei seguiti (uguale, ma di più!) con molta più emotività caricata sui personaggi al netto di una mossa finale molto meno incisiva, perché, ammettiamolo, il calcio della gru è tipo cento volte più spettacolare, almeno dal punto di vista cinematografico.
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Quanti cagnacci così avete conosciuto nella vostra vita? Ora vi dico cosa si fa in questi casi… |
Il finale di “Karate Kid III – La sfida finale” non salva il film, ma almeno vince sul piano emotivo, quello stronzetto di Mike Barnes che carica di infamia LaRusso dicendogliene di ogni (tra le più gentili «Sei un fallito, sei un bidone» notevole anche «Il tuo Karate è merda» che alle cene di gala fa sempre la sua figura) è il cagnaccio che abbaia più forte, che fa paura perché è un bullo a tutti gli effetti e come tale va affrontato senza paura e con la massima freddezza, infatti la parte migliore resta quando Miyagi dice a quel rompicoglioni di LaRusso di stare zitto e gli sgancia addosso la massima di vita: «Puoi anche perdere contro l’avversario, ma non perdere contro la paura». Dopo questa il finale è una cavalcata.
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…Gli si mette la museruola e li si rimanda a cuccia. Vieni cagnaccio, vieni. |
Non vorrei esagerare dando un valore educativo ad un terzo capitolo che ricicla a mani basse, non vorrei nemmeno spingermi a dire che in un’epoca in cui il bullismo ha guadagnato nuove forme, un film che viene ormai da un’altra epoca abbia delle cose da dire, perché, parliamoci chiaro, molti di quelli cresciuti guardando questo film ora sono i peggiori bulli in circolazione, ma non perdere contro la paura è un messaggio che resta valido e travalica anche l’effettiva qualità di questo film.
Detto questo, ora tocca a me non perdere contro la paura di dover affrontare il prossimo capitolo di questo ripasso dedicato alla saga di Karate Kid, vado a potare due rami a qualche Bonsai, mentre cerco l’equilibrio interiore in vista del prossimo capitolo.