Vi devo ringraziare perché avete dimostrato di aver
apprezzato davvero molto la rubrica dedicata al Maestro Bruce Lee, tanto che mi dispiaceva abbandonare questo
filone del tutto.
Anche se il problema è piuttosto chiaro, a meno di mettersi
a commentare tutti i film interpretati da Bruce Lee durante la sua infanzia
(no, grazie), non ci sono altri titoli con il Maestro, almeno ad ovest dei milioni
di titoli della Brucexploitation, film con
il nome Bruce Lee nel titolo ma con uno dei suoi tanti sosia ad interpretarlo,
quindi mi sono ricordato di Lucius,
che (parecchio) tempo fa mi aveva parlato di questo film di cui avevo sempre
sentito parlare e non avevo mai visto.
“Kickboxer – Vendetta personale” è davvero il titolo giusto
per aggiungere un capitolo ad una (non)rubrica, perché già di suo più che un
vero film, sembra uno specchietto per le allodole, il regista, coreografo e
sceneggiatore Corey Yuen (che ha lavorato parecchio con Jet Li, ma verrà
ricordato solo per “DOA: Dead or Alive” del 2006) dopo aver visto Karate Kid, ha pensato: «Carino, peccato
che i combattimenti facciano schifo». Ok, non sono state proprio le sue esatte
parole, ma in ogni caso… Storia vera.
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Well, we made a promise we swore we’d always remember, No retreat, baby, no surrender (cit.) |
“No Retreat, No Surrender”, titolo originale quasi Springsteeniano,
è un pastrocchio che mescola senza soluzione di continuità Karate e Kung Fu
anche se poi il titolo italiano strizza l’occhio alla Kickboxing, un trucchetto
spudorato per sottolineare la presenza nel cast di Jean-Claude Van Damme,
infatti questo film fa parte della corsa al ripescaggio dei primi film interpretati dal
Belga, dopo l’enorme successo di Kickboxer- Il nuovo guerriero, ma andiamo per gradi.
La storia è quella di Jason Stillwell (Kurt McKinney) un
ragazzo cresciuto nel mito di Bruce Lee, che studia Karate nel dojo del padre (Timothy
D. Baker), una palestra che per motivi non ben specificati fa molto gola alla
Mafia del menare, che per convincere il sensei a vendere, manda il suo uomo
migliore, Ivan Kraschinsky, anche se nei titoli di coda è accreditato con il
nome di Karl Brezdin, un temibile sgherro russo interpretato dal leggendario Jean-Claude
Van Damme. Ma per fare chiarezza sul nome del personaggio, da qui in poi ci riferiremo
a lui chiamandolo solo Ivan Damme, sono in vena di semplificazioni oggi.
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Jean-Claude vestito come il capo del Graal (o come il sicario Frank Nitti) |
Il papà ne esce con una gamba spezzata e dopo un momento di
recitazione impossibile da distinguere da una colica renale, contrito vende
alla Mafia del menare, trasferendosi con il figlio in una nuova città, per la
precisione Seattle, che oltre ad essere la patria della musica Grunge, di Jimi
Hendrix, di Starbucks della Boeing e della Microsoft è anche il luogo dove è
sepolto il Maestro Bruce Lee. Lo so che sto facendo un giro lunghissimo ma vi
avevo promesso del Bruce Lee no? Abbiate fede.
Nella nuova casa Jason si allena prendendo a pugni l’uomo di
legno che non manca mai nei film sul Kung Fu, mette a dura prova le mensole del
garage facendo trazioni e stringe amicizia con RJ Madison (J.W. Fails),
perfetto imitatore di Michael Jackson – in un film in cui i sosia hanno un
ruolo chiave – che copre il ruolo di spalla comica, amico del protagonista e
rappresentante di una minoranza entica, una roba per cui oggi questo film si
beccherebbe accuse di razzismo in rete come ridere, per fortuna nel 1986 nessuno
aveva ancora inventato l’Internet.
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“Vuoi fare due tiri a basket?”, “Ehi amico questo mi suona un po’ razzista!” |
I bulli in questo film sono rappresentato da una sorta di
Ciccio Bastardo piuttosto invadente, che prende subito di mira Daniel-San
Jason, ma il ragazzo senza farsi intimorire prova a portare avanti la sua passione
per il Karate anche nella nuova città, provando ad iscriversi nella versione
locale (e pezzente) del Cobra Kai, ma
proprio qui trova ancora una volta il suo paffuto persecutore pronto a mettere
in giro voci per cui il nuovo arrivato sostiene che il Karate di Seattle è
meglio di quello di Los Angeles, nemmeno stessimo parlando della diatriba tra
Kung Fu cinese e Karate di Okinawa. I ragazzi del Cobra Kai pezzente (da qui in
poi per amore di semplificazione, lo chiameremo “Cobra CHI?”) non la prendono benissimo e
decidono di far combattere Jason contro il più forte di loro, un ragazzo nero di
nome Frank (in pratica è Franco Nero? Vabbè andiamo avanti) che ovviamente lo
fa nero, ma non nel senso politicamente corretto del termine.
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“Karate di Seattle? Pensavo che da Seattle arrivassero solo chitarristi capelloni in camicia di flanella” |
Ma il “Cobra CHI?” non si limita a questo, il più tamarro
dei suoi componenti decide che Jason-San non può parlare con la sua ragazza Kelly
Reilly (Kathie Sileno), anche se Jason la conosce da tantissimi anni (e allora
perché non è andato subito da lei una volta arrivato in città? Vabbè), sta di
fatto che i soprusi continuano e nella zona delle operazioni, non manca mai
Ciccio Bastardo, il più lipidico dei persecutori che ad ogni nuova angheria
subìta da Jason-San, ridacchia nemmeno fosse Muttley.
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Anche se probabilmente lui Muttley se lo è mangiato. |
Quando papà scopre che suo figlio ha fatto a botte, perde le
staffe (ma non le stampelle, altrimenti non potrebbe più muoversi con la gamba
ridotta così) quindi lo punisce, litigano e il poster del Maestro Bruce Lee
finisce strappato. Il dramma è palpabile almeno quanto la recitazione da
telenovela Piemontese, ma qui “No Retreat, No Surrender” anche noto come “Kickboxer
– Vendetta personale” (per il poster strappato) mena il suo colpo più duro
calando la maschera.
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“Anleva i to fieui da pover s’ì-t-i veuli rich e cuntent”, “Le legi d’ Turin a dúru da la seira a la matin” |
Sulla tomba del Maestro Bruce Lee, Jason maledice il cielo e
le sue sciagure, ma tenendo fede al motto ripetuto in continuazione con l’amico
RJ, nessuna ritirata, nessuna resa. Diventa chiaro che questo film è lo Space Jam degli appassionati di Bruce
Lee (e perché no, anche un po’ Van Damme), perché di fatto lavora di fantasia
partendo da elementi reali (la tomba del Maestro Lee), regalando una storia per
ragazzi, scalcagnata quanto volete ma con il cuore dal lato giusto, anche nel
suo celebrare i miti e la loro iconografia.
Si perché “No Retreat, No Surrender” (il titolo originale mi
piace di più) invece di far entrare in scena il maestro Miyagi di turno, con le
sue bacchette per catturare le mosche e la cera da mettere e togliere, punta al
bersaglio grosso e porta in scena IL Maestro. Jesse Custer aveva lo spirito guida di John Wayne, Woody Allen
quello di Humphrey Bogart mentre il nostro Jason riceve la vista del fantasma
del menare passato, il Maestro Bruce Lee. Ve lo avevo detto che ci saremmo
arrivati, la vostra pazienza è stata premiata.
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“Be Diet Coca my friend, be Diet Coca” |
Ad interpretarlo è nuovamente Tai Chung Kim, che era proprio
uno dei sosia che aveva impersonato Lee in L’ultimo
combattimento di Chen, anche se messo accanto al poster con la foto del
vero Lee, i due non si somigliano più di quanto io non potrei essere
scambiato per Bruce Willis, anche se le movenze fisiche sono un ottimo omaggio
alla fisicità irripetibile del Maestro, e per certi versi anche alcuni dei
dialoghi dello spirito guida, che sembrano tutto sommato, se non proprio per
una somma del pensiero di filosofia applicata alle arti marziali di Bruce Lee,
almeno una sua riuscita versione per ragazzi.
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“ |
Cosa non può mancare a questo punto ad un film così?
Bravissimi, un bel “training montage”, una soluzione del tutto normale nei film
di arti marziali orientali, che qui da noi in occidente è stata resa celebre da
Rocky, infatti per chiudere il cerchio, Corey Yuen omaggia tutti, chiedendo a Kurt
McKinney di esibirsi in una serie di allenamenti del tutto inutili, basati
fondamentalmente sul piano di aumentare la potenza dei colpi di Jason, che con
tanto di fascia rossa in testa, diventa un Karate-Rocky-Kid perfetto, impegnato
a farsi prendere a pugni mentre fa gli addominali, a correre con i pesi oppure
a picchiare tre sacchi da boxe in contemporanea (perché si sa che i sacchi da boxe sono vigliacchi e attaccano in gruppo), il tutto sulle note di “Hold
on to the vision” di Kevin Chalfant, pezzo perfetto per alimentare la mia già
galoppante passione per le canzoni pescate dai film di arti marziali.
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Prima si allenano le gambe… |
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… Poi un po’ di addominali. |
Kurt McKinney non è chiaramente un attore, ma un atleta sì, quindi se quando è costretto a recitare la gioia, lo vediamo esultare come
qualcuno che cerca di scacciare la tarantola che gli è finita nelle mutande, il
resto del tempo mena come uno che nella vita è finito ad aprire una sua scuola
di arti marziali (storia vera). Tra un momento allunga brodo e l’altro, come RJ che si esibisce in una gara di ballo del tutto inutile ai fini della
trama, quando arriva l’azione è davvero di buon livello, grazie alla
preparazione del cast e alle coreografie di Corey Yuen.
La “vendetta personale” del sottotitolo italiano, si consumerà
nell’ultimo atto del film, con l’immancabile torneo di arti marziali a cui
parteciperanno tutti, il “Cobra CHI?”, Franco Nero e anche l’infame ciccione,
che scorretto fino all’ultimo, a bordo ring finirà anche per addentare il
polpaccio di uno dei contendenti. Probabilmente nel tentativo di mangiarselo,
ma questa è solo una mia teoria.
Al grido di «L’anima de li mortacci Bruce!», Jason-Rocky-San
sbaraglia la concorrenza applicando le lezioni del suo spiritico maestro, più o
meno con lo stesso livello di credibilità di uno qualunque dei capitoli di Karate Kid, ma con la differenza che
almeno qui i momenti d’azione sono girati come si deve e i protagonisti sanno
dare un calcio per davvero. Ma il suo colpo migliore “No Retreat, No Surrender”
lo conserva per il finale, quando entra in scena Jean-Claude nei panni di Ivan
Damme.
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Who can say where the road goes, where the day flows, only time (Epic-cit.) |
La presenza scenica del Belga è incredibile, buca lo schermo anche
quando si mette comodamente “appollaiato” sulle corde del ring, esibendosi in
una delle sue celebri spaccate, una di quelle che ancora urla «Heather Parisi,
levati, ma levati proprio».
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Anche se qui somiglia più a Jean-Claude Van Sly che a Ivan Damme Drago. |
L’atteggiamento super aggressivo di Ivan Damme è quello
giusto per il ruolo, così come i metodi sporchi e inutilmente aggressivi
portati in scena per vincere, come strappare l’imbottitura di uno dei paletti
del ring, solo per farla ingoiare all’avversario. Inoltre parliamo di Jean-Claude
Van Damme uno che per tutta la vita ha cercato espedienti per rendere credibile il suo accento belga, infatti qui si esibisce in un credibilissimo accento russo (uno dei più semplici da
recitare) regalando la nemesi perfetta per il sogno americano di
Jason-Rocky-San. Nulla mi toglie dalla testa che tra quelli cresciuti guardando
questo film, avrebbe potuto esserci uno dei più grandi appassionati viventi di
JCVD, ovvero Lucius Etruscus Scott Adkins, non mi stupirebbe scoprire un
giorno che i semi per il suo Yuri Boyka
siano stati sparsi proprio da questo film.
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Era già “The most complete fighter in the world” quando Scott Adkins andava ancora a scuola. |
Il finale per un film così non serve nemmeno raccontarlo, è
quello di una storia di formazione per ragazzi in cui la credibilità si inchina
ai buoni sentimenti e al messaggio del film, che poi alla fine è proprio
riassunto nel titolo “No Retreat, No Surrender”, una saga che sul mercato dell’home
video ha avuto svariati seguiti, tutti solo nominali, visto che nessuno dei
personaggi è mai tornato nei seguiti, di sicuro non Van Damme, che di lì a poco
avrebbe portato la sua rivoluzione nel mondo dei film di arti marziali.
Insomma, malgrado alcune trovate rese ormai naif dal tempo e
altre dalla povertà di veri attori nel cast, “No Retreat, No Surrender” resta
un film con il cuore dal lato giusto, dal ritmo invidiabile (solo nella prima
mezz’ora succede di tutto) che vale ancora la pena gustarsi, per la prossima
settimana avrei ancora un altro di questi titoli un po’ farlocchi ma sempre in
tema Bruce Lee in rampa di lancio, nel frattempo vi ricordo la rubrica… Remember
the dragon!