Direi che è il momento di completare l’opera, come la Sposa abbiamo un ultimo nome da depennare dalla lista rendendo onere al titolo del film, perché Kill Bill nella testa di Tarantino sarà anche nato come un unico lungo film, ma la divisione in due parti gli ha fatto benissimo.
In conclusione al post precedente scrivevo che Kill Bill – Volume 1 è il capitolo che fa le domande, mentre il secondo, quello che fornisce le risposte, vero ma non solo, perché dopo un inizio in cui la Sposa buca la quarta parete, rivolgendosi direttamente al pubblico per confermare la sua ferma intenzione di vendetta, va in scena un film per certi versi differente dal precedente. Se il Vol. 1 creava il mito, alimentandolo con trovate puramente cinematografiche e volutamente farlocche in alcuni casi, celebrando così tutto il cinema d’azione orientale dai Wuxia ai film di Kung-Fu, “Kill Bill – Volume 2” smonta lo stesso mito costruito nel primo capitolo e lo fa abbracciando un’altra iconografia, altrettanto epica, quella del cinema Western, con un amorevole occhio di riguardo nei confronti di quelli nostrani, gli Spaghetti-Western.
Il primo capitolo del film, sesto visto che si segue l’ordine (quasi) cronologico dopo il Vol. 1, quello intitolato “Massacro ai Due Pini” ci riporta dove tutto è cominciato, con la Sposa – a tutti gli effetti visto che già indossa il vestito malgrado si stiano facendo le prove – e il suo tentativo di vivere lontana da Bill. Le menzioni speciali qui sono due, una per il suonatore di piano interpretato da Samuel L. Jackson, pretoriano di Tarantino volutamente inquadrato da lontano, la seconda per Tommy, affrontante la vita con la spavalderia con cui lo sposino dice a Bill: «Il pericolo è il mio mestiere», già, non sai nemmeno quanto biondone.
Bill, inizia tutto con lui, l’oggetto della vendetta fin dal titolo, infatti è il “Volume 2” quello che fa cadere il velo sulla sua identità, se nella prima parte era stato una voce fuori campo e nei casi migliori un paio di mani, qui lo vediamo in faccia, anche se esiste una linea temporale in cui l’oggetto della vendetta di Black Mamba è interpretato da Warren Beatty.
Ci sono una serie di attori che Tarantino ha “resuscitato” artisticamente, ecco, Warren Beatty non è tra quelli, scelto per il ruolo di Bill, in realtà secondo il produttore Lawrence Bender, l’attor non avrebbe mai capito il personaggio in pieno, ma vogliamo davvero biasimarlo? Provate voi a stare sul set con Tarantino che vi ripete incessantemente: «Warren questa scena, cerca di farla più come la farebbe David Carradine hai presente? Ecco così». All’ennesimo paragone Beatty pare sia sbottato, lasciando così campo libero proprio a David Carradine, che un film in vita sua non l’ha rifiutato mai e dopo essere stato per anni un finto cinese (con vere movenze legnose) sul grande schermo in “Kung-fu” (già citato apertamente in “Pulp Fiction”) qui ha potuto interpretare se non il ruolo della vita, quello che lo ha reso riconoscibile ad una platea di giovani spettatori che non avevano mai sentito parlare di lui.
La sua entrata in scena, tutta flauto e buone maniere è quella di un vecchio pistolero dai modi passivo-aggressivi, un incantatore di serpenti (letteralmente!) con modi suadenti («Il tuo lato è sempre stato un po’ triste e solo») e intenti violenti. Se il film uscisse oggi si parlerebbe del rapporto di Bill e della Sposa con termini del tutto diversi da quelli in voga nel 2004, ma il succo è lo stesso, sempre di femminicio si tratta, il “Volume 1” è quello che mette in chiaro il sacrosanto diritto della Sposa a voler bruciare tutto, ma con un doveroso e interessante distinguo cinematografico.
Il “Volume 1” terminava con il fratello con il nome altrettanto telegrafico di Bill, ovvero Budd (Michael Madsen altro pretoriano di Tarantino) che pronunciava la sua frase in una sorta di prossimamente, la differenza è che qui la sentiamo per intero: «Quella donna merita la sua vendetta… e noi meritiamo di morire… ma la cosa vale anche per lei.», l’ultima porzione è cinematograficamente peculiare perché se nel “Volume 1” la bionda Sposa è un Terminator inarrestabile, senza nome, solo ammantata nel suo stesso mito come una grande guerriera di un film di Kung-Fu o una sorta di pistolera senza nome armata di Katana, qui diventa “Toccabile” per dirla alla De Palma, ferita quasi a morte e sepolta in una Bara (non Volante), per il capitolo più intimista e per me, anche il più esaltante non del film, ma dell’intero dittico ovvero il settimo, intitolato “La tomba solitaria di Paula Schulz”.
Qui Tarantino smonta volutamente molto di quello che lui stesso ha costruito nel “Volume 1”, ci sono battute sul fatto che gli 88 Folli non fossero davvero 88 di numero e dopo un film intero in cui Uma Thurman sembrava una macchina di morte, quasi si fa fregare dalla più disgraziata delle vipere di Bill, non a caso un uomo, il fratello Budd, un fallito che pulisce cessi e ha dato in pegno una lama di Hattori Hanzo. Quando proprio lui, quasi manda sottoterra la Sposa, anzi no, ce la manda proprio, sepolta viva, con il solito balzo in avanti Tarantiniano, con il capitolo otto (i crudeli insegnamenti di Pai Mei) si chiude il cerchio sull’omaggio ai film orientali. Un lungo flashback in cui vediamo come la letale Sposa in tuta gialla, macchina di morte inarrestabile, sia diventata leggenda, ma solo dopo durissimi allenamenti che non fanno altro che farci patteggiare per lei, nulla più di un “Training Montage” coinvolge il pubblico, qui dentro poi abbiamo anche tutto il canone del Maestro ucciso da vendicare, notevole carico emotivo che si aggiunge.
Ma se l’ottavo capitolo è quello che chiude il cerchio con la parte più legata ai film di Kung-Fu, con Gordon Liu nel doppio ruolo di Pai Mei (anche se in originale, Tarantino avrebbe voluto doppiare il personaggio in finto cantonese fuori sincrono, storia vera) è anche quello che serve a spiegarci come può una bionda di un metro e ottanta uscire da una Bara tre metri sotto terra, e anche qui, in alcune inquadrature sul feretro, io ci vedo ancora il caro vecchio Brian a cui credo proprio Tarantino stesse pensando.
“Il mercenario” (1968) è sempre stato uno dei miei film preferiti di Corbucci, anche prima della rivalutazione e dell’uso post-moderno fatto da Tarantino della sua colonna sonora, che qui ha pescato il tema del Maestro Morricone, per renderlo inno della “resurrezione” della Sposa, lo dico? La singola scena più esaltante di tutto “Kill Bill Volume 1 e 2”, come rendere al meglio per immagini la fatica di quei risultati ottenuti con il sacrificio, la fatica, conquistandosi tutto, se necessario anche il terreno un centimetro alla volta, qui lo dico e non lo nego, anzi lo metto proprio nero su Bara, non so se Mike Flanagan o chi per esso riuscirà mai per davvero a dirigere un film come si deve su “La Torre Nera” di King, ma se nel momento chiave, quello del carretto tirato su in salita, quello di “Childe Roland alla Torre Nera giunse”, il regista non ci metterà L’arena di Morricone come musica io metterò mano ai revolver (con calcio di sandalo), perché ogni Fedele Lettore ha il suo film della Torre Nera in testa e il mio ha questa colonna sonora. Regista avvisato mezzo (non) sparato, non voglio trovarmi a mettere su il mio personale “Kill Mike”, io in tuta giallo-nera più che il Maestro Lee, potrei passare per un cosplayer dell’Ape Maia.
“Kill Bill – Volume 2” è il film che si riprende molte delle abitudini del cinema di Tarantino, se il suo fratellino numero uno era più votato all’azione e alle trovate cinematografiche (al quadrato), qui tornano a dominare i lunghi monologhi dei personaggi, da sempre uno dei marchi di fabbrica del regista di Knoxville. Il film inizia con la Sposa che parla direttamente al pubblico, continua con i lunghi dialoghi del massacro ai Due Pini e poi nel capitolo nove, quello che vede protagonista Daryl Hannah (“Elle ed io”) il regista manda a segno quello sul Balck Mamba. Da quanto avete iniziato a sentire la parola “Gargantuesco” utilizzata in maniera regolare nelle conversazioni? Ve lo dico io, dal 2004, da coloro che avevano visto questo film o in alternativa, da chi da bambino giocava con Gargantua, ma penso non fossimo moltissimi.
Nel nono capitolo di “Kill Bill – Volume 2” succede di tutto, se non fosse bastato Morricone in precedenza, la sagoma iconica della risorta Black Mamba è puro canone da Spaghetti-Western, che si mescola con gli occhi strappati alla Lucio Fulci in quella che sul set è stata ribattezzata “La battaglia delle gigantesse bionde”, visto che Uma Thurman e Daryl Hannah insieme, combinano per 360 centimetri di biondaggine, tutte impegnate a menarsi come fabbri, ma questa è la scena più vistosa, impossibile da mancare a meno che non siate cecati come Elle Driver, un momento che ci tengo a sottolineare è quando anche l’ultimo tabù del mito che Tarantino ha creato intorno alla sua eroina cade.
Quando Elle rivela il vero nome della Sposa, Tarantino ci infila una scena estemporanea, tipo appello scolastico, ma con Uma Thurman seduta al banco in classe, oh! Beccami gallina se ogni volta quella scena non mi fa pensare all’umorismo surreale di “Zazie nel metró” (1959), sarebbe carino chiederlo al regista se per caso quel film era tra i suoi riferimenti, in ogni caso svela un giochino divertente: Bill ha sempre chiamato la Sposa per (co)gnome fin dal primissimo monologo che apriva il “Volume 1” visto che in originale la chiama non “Bimba” ma “Kiddo”, quindi in realtà il vero nome della Sposa noi l’abbiamo sempre saputo, diavolo di un Tarantino!
Anche “Kill Bill – Volume 2” è un film pieno di momenti e frasi di culto da mandare a memoria, una di quelle che utilizzo più spesso nella vita di tutti i giorni non è nemmeno per forza una delle più celebri: quando la sicaria dice di essere chirurgica con il cannemozze ad esempio, la ripeto tre volte a settimana (anche se ho il sospetto che arrivi da uno dei libri di Lansdale, anche questo sarebbe interessante da chiedere a Tarantino), eppure tra i due film ho sempre trovato il secondo più compiuto. Non tanto perché ha dalla sua la possibilità di chiudere la storia mandando a segno il titolo, quando più che altro perché il “Volume 1” è più rapsodico nell’andamento, divertentissimo badate bene, ma anche grazie a tutti gli echi Western, questa seconda parte mi conquista ad ogni nuova visione e mi esalta, e visto che il suo colore è il rosso fin dalla locandina, qui ci vuole il logo dei Classidy!
Per essere un lungo, elaborato, citazionista e post moderno “Revenge Movie”, per una volta “Kill Bill – Volume 2” tiene conto anche delle conseguenze del gesto, cosa resta dopo la vendetta? Di solito poco, qui invece la nostra protagonista, nel finale viene chiamata con tutti i suoi nomi anche di battaglia
Beatrix Kiddo, Sposa, Black Mamba per poi guadagnarsi l’unico che per lei rappresenta una possibilità di futuro che sembrava esserle stata strappata per sempre, il bello è che Tarantino riesce a far finire questo suo lungo, doppio B-Movie con tale grazia, che il messaggio non sembra una lezioncina moralista per cui le donne possano essere compiute solo se madri, ma risulta semplicemente il finale giusto per questa lunghissima vendetta, e ci riesce proprio perché in “Kill Bill – Volume 2” più che le icone cinematografiche esaltate dalla prima parte, salgono in cattedra personaggi credibili, realistici anche quando possono ucciderci con cinque tocchi delle dita.
Il lascito di “Kill Bill – Volume 2” è ancora qui, in bella vista possiamo ritrovarlo ancora in tanto cinema contemporaneo che spesso, cerca di scimmiottarlo ma non gli allaccia nemmeno le scarpe a questa lunga e “ruggente furia vendicativa” che è un’enorme dichiarazione d’amore a tutto il cinema giusto. Difficile creare un’icona cinematografica duratura dal 2000 in poi, nella settima arte ne esistono già molte, Q&T ci sono riusciti alla grande, basta dire che non so che fine abbia fatto Shivaree, ma la sua Goodnight Moon sarà in eterno il pezzo defaticante del post vendetta, ogni pennellata pop “Kill Bill” ha saputo trasforma in iconografia, avercene di vendette così.
Sepolto in precedenza giovedì 7 dicembre 2023
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