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Killer Machine (1993): la morte corre veloce a 56k (EH!?)

Ci sono tradizioni che vanno onorate, anche quest’anno cari i miei mostriciattoli ho l’onore di inaugurate la nuova stagione della Notte Horror, l’iniziativa a blog condivisi che andrà in onda tutti i martedì con un doppio spettacolo.

Devo dire che quest’anno le mie esimie ed esimi colleghi si sono davvero sbizzarriti, per i prossimi martedì avrete classici del cinema horror, seguiti strapieni di budella, mostri, bestie, creature di ogni genere, quindi per scaldare i motori ci voleva qualcosa all’altezza, pescando dalla mia lista dei compleanni e dall’elenco dei film della mitica Notte Horror di Italia 1, non ho avuto dubbi, l’urlo di guerra – e anche un po’ di terrore – che caratterizzerà questa nottata è solo uno: TALALAY!

Intesa come Rachel Talalay, sapete quando si dice che la New Line Cinema è la casa (di produzione) che è stata costruita da Freddy? Bene, allora Rachel Talalay è stata, se non proprio colei che ha firmato il progetto, almeno quella che si è impegnata ad arredarla, a far funzionare i collegamenti elettrici, insomma a renderla una casa. Che quando si parla di Horror è sempre un fattore che sposta.

Rachel Talalay aveva le mani in pasta nella produzione di tutti i primi capitoli della saga di Nightmare, fino al suo esordio come regista e sceneggiatrice del sesto capitolo, ma di quello vi parlerà diffusamente Bolla dalle sue parti, nel secondo tempo di questa nottata, come direbbero i giovani #TeamTalalay!

Come pensavamo sarebbe stata la rete nel 1993…

Ora, va detto che nel genere horror e proprio grazie all’assassino onirico di Wes Craven che abbiamo visto serial killer uscire fuori dalle fottute pareti (cit.), abbiamo avuto assassini seriali che si sono reincarnati in bambole assassine, che sono stati evocati da vinile suonati al contrario con la musica dello DIMONIO, anzi, proprio quando zio Wes non è più riuscito ad accordarsi con la New Line, il regista di Cleveland ha provato a lanciare il suo Freddy 2.0, ovvero Horance Pinker, il serial killer che cicciava fuori dalla rete elettrica e dalla televisione di Sotto Shock, perché si, sul film di oggi si è sempre allungata l’ombra del Maestro Craven.

Il film, prodotto dalla 20th Century Fox e sceneggiato da due esperti della commedia come William Davies e William Osborne, a cui dobbiamo l’esordio comico di Arnold in “I gemelli” (bene) e di Sly con “Fermati, o mamma spara” (decisamente meno bene), i due si sono visti la loro sceneggiatura finire idealmente in panchina, proprio per le troppe somiglianze percepire con Sotto Shock di Craven, che va detto, resta un film di culto con parecchi passaggi di trama un po’ dubbi, ma a confronto di “Killer Machine” è ancora un campione del mondo di pensiero cartesiano. Solo dopo alcune riscritture, affidate al non accreditato Todd Graff, il film è stato messo in produzione della Fox, che per essere sicuri di prendere bene le distanze da Craven cosa hanno fatto? Lo hanno affidato ad una che per anni è stata a meno dei canonici sei gradi di separazione da lui, la nostra Rachel Talalay.

… Come invece era davvero.

Girato in 51 giorni a Los Angeles, che qui interpreta la città di Cleveland (dove era nato chi? Wes Craven, tanto per stare in tema), il film ha lievemente sforato il budget per via degli effetti digitale ehm, rivoluzionari, che hanno richiesto un lavoro di scansione dei volti degli attori che si è svolto presso UCLA, la celebre università della California del Sud, il tutto per un film che al botteghino è andato dignitosamente, ma che ha raccolto fondamentalmente pernacchie dalla critica e che ricordiamo solo noi fanatici venuti su con la programmazione di Notte Horror. Per dirvi dei miei problemi, io ho una copia in Blu-ray (storia vera).

Va anche detto che questo film, è uno di quello che urla il suo anno di uscita a pieni polmoni, ha alcuni dei pregi dei film contemporanei e molti dei suoi difetti, a partire dall’assurda moda italiota di “tradurre” i titoli originali. In questo caso il ben più a fuoco “Ghost in the Machine”, che strizza l’occhio a molta letteratura Cyberpunk che nei primi anni ’90 andava fortissimo, prima che questa parola diventasse inflazionata, passando come pialla su tutto questo in favore di un abbastanza anonimo (ma comunque in inglese) “Killer machine”, ma se questo vi sembra strano, aspettate di sentire la trama, che detto fuori dai denti, s’impegna molto a far sembrare più grosso e intricato di quella che è, uno spunto di partenza scemo, ma scemo, ma di uno scemo che voi non avete idea.

Per la schermata del titolo (originale) oggi non abbiamo badato a spese.

La cortina di fumo comincia presentandoci Josh Munroe (Wil Horneff visto in “Shining” si, ma l’altro, quello televisivo approvato da Stephen King) che incarna il più odioso ragazzino degli anni ’90 che voi possiate immaginare, un’appropriazione culturale dipende, una banalità pronta ad avvenire ogni volta che apre bocca (e zitto non ci sta MAI!) per quello che è il più classico magnete vivente per gli schiaffi, l’assassino del film non è simpaticissimo, ma con Josh in giro viene istintivamente di tifare per lui.

Josh è una pippa a basket, però è figo perché ascolta musica Rap, ma è anche uno sfigatello perché si approccia alla bella vicina un po’ più grande di lui, la bionda Carol Maibaum (Shevonne Durkin), con quelle frasi tipo «Tuo padre deve essere un ladro perché ha rubato due stelle per farne i tuoi occhi», roba che vorresti poter avere i poteri dell’assassino per entrare nel film e prenderlo a scoppolate dietro alle orecchie ‘sto pirla.

Simpatico come una spinta alle spalle mentre stai scendendo dalle scale.

Per introdurre l’argomento, Josh è anche un esperto di computer o presunto tale, insieme all’amico Frazer, organizza piccole truffe utilizzando gli albori della tecnologia a 56k per motivi non precisati, ha forse bisogno di soldi? Deve darsi un’aria da giovane John Connor («Soldi facili» cit.)? Non si sa, si sa solo che sua madre, Terry Munroe è fatta a forma di Karen Allen, mamma rimasta vedova ma più che altro con un figlio idiota. Era meglio quando faceva da balia agli alieni in visita sul nostro pianeta, almeno lì aveva a che fare con forme di vita intelligenti.

«Cassidy smettila di chiamare, mi hai già incastrata con questo film su quella tua Bara!»

Due dettagli importantissimi da far notare, il primo, per farvi capire di quale altissima tecnologia dispone questa trama, Josh gioca con un programma pieno di donnine animate, una roba porno zozza, sul suo Personal Computer (espressione d’epoca), rigorosamente con la tastiera bianca e il monitor con tubo catodico. Siamo nel 1993, Microsoft aveva appena lanciato sul mercato Windows 3.0, per collegarsi ad internet dovevi srotolare un metro di cavo telefonico, prendere sotto assedio la linea telefonica di casa, armati di santa pazienza e pagare un botto per non vedere nulla. Anche perché su “Infernet” ancora nessuno passava le giornate a litigare sui film di Zack Snyder, quindi non c’era molto altro da fare.

Altro dettaglio che passerà inosservato che conta, Frazer, l’amico del protagonista, quota di colore del film, è interpretato da Brandon Adams, che altri non è che il mitico Grullo (il secondo doppiaggio non esiste) di La Casa Nera di pensate un po’? Wes Craven. Non se ne esce.

Lo vedete Grullo? Lo avete riconos… Cosa state guardando? (…degenerati!)

Occhio che qui “Killer Machine” svolta: mamma Karen Allen si porta dietro il figlio stron… Discolo, nel vicino negozio di computer, il suo piano è quello di acquistare un “Software Desktop” (qualunque cacchio di cosa esso sia) per sostituire la sua voluminosa agenda piena di bigliettini volanti, numeri di telefono ed altre informazioni vitali. Con una scansione il programma ti riporta le pagine sullo schermo di un computer in modo da poter organizzare la tua giornata, poi però nell’enfasi del momento, con il capogiro da rivoluzione tecnologica, mamma Karen lascia l’agenda in negozio e va in crisi, perché senza non può più vivere e lavorare. Allora io mi chiedo, benedetta figliola grande amica di Indy, ma cosa pensavi di fare esattamente? Andare in giro per tutto il 1993 portandoti sotto braccio un computer, una tastiera bianca, diciotto metri di cavo telefonico e un monitor con tubo catodico per sostituire la preziosa agenda? Ma occhio che non ho finito, perché qui il genio, quello vero, si impossessa di William Davies e William Osborne che si giocano la TROVATONA.

Quale sarebbe? Nel negozio di computer lavora il nerd dall’occhio ceruleo Karl Hochman (Ted Marcoux) che in realtà è il terribile assassino delle agende! No sul serio, non ridete non è una delle mie caSSate, si chiama proprio così, un serial killer che ruba le agende e poi uccide persone a caso, seguendo l’ordine dei nomi che trova sulle pagine. Vi sembra una trovata idiota? Aspettate la prossima.

Non se sia più assurdo il software-agenda o il Nerd serial Killer. Oddio forse la prima ora che ci penso.

Con l’agenda di Karen tra le grinfie, l’assassino guida come un pazzo nella notte per veder, se poi è così difficile morire scoprendo che Mogol e Battisti non mentivano, infatti dopo un ciocco fortissimo in macchina, l’assassino finisce in ospedale durante una notte buia e tempestosa, ma siccome siamo nel 1993 e l’elettricità al cinema (così come i computer) sono sinonimo di magia, un fulmine mentre gli stanno facendo una TAC e il killer delle agente diventa il fantasma dentro la macchina del titolo originale, la macchina assassina del titolo “italiano”, che ha accesso alla rete e quindi può fare tutto e uccidere chiunque. Ve lo dico? La trama di Il Taglierbe a confronto era un saggio sullo stato della tecnologia scritto da Steve Jobs e per altro aveva anche effetti in CGI migliori, il che è tutto detto.

Ora, immaginatevi l’assassino dentro la rete Internet del 1993, con accesso a TUTTE le informazioni in essa contenuta, ovvero niente, nisba, nada, zip! Basta dire che sto poveretto non avrebbe potuto visitare nemmeno l’archeologico sito di Space Jam perché ancora non era online nemmeno quello. Me lo immagino come la particella di sodio della pubblicità, che vaga nel nulla cosmico, ma trattandosi di base di un film tecnofobico, scritto da due che non si sono informati minimamente, la scusa dei computer diventa il “Mumbo jumbo” informatico con cui giustificare tutto, invece della magia, computer e via! Nel 1993 di questo film TUTTO è connesso ai computer come nemmeno succede ancora oggi a trent’anni dall’uscita da “Killer Machine”, mi immagino i due William, Davies e Osborne, scambiarsi cinque altissimi per essersi facilitati così tanto la vita.

Come usare la nuova tecnologia? Per le vecchie zozzerie.

A tutto questo circo mediatico, vogliamo non aggiungere l’eroe maschio, bianco, eterosessuale perché oh! Siamo nel 1993 mica nel 2023, mica possiamo far fare tutto a Karen Allen no? Infatti entra in scena Bram Walker, l’hacker etico, uno che rubava virtualmente ai ricchi per dare ai poveri, ma è stato beccato ed ora fa lavori socialmente utili, cioè è diventato il tipo del reparto IT, il lavoro più infame del mondo (ve lo posso assicurare), un personaggio che in teoria dovrebbe essere sempre due passi avanti a tutti, invece sta sempre tre passi indietro. Nemmeno averlo affidato a Chris Mulkey serve a regalargli un minimo di carisma, anche se parliamo di uno che ha recitato un sacco per Walter Hill e Tony Scott, qui purtroppo ha per le mani un eroe raramente così insignificante, quindi la vera eroina di tutto questo è lei, Rachel Talalay… #TeamTalalay!

«Walter ti prego vieni a salvarmi, non voglio chiedere a tutti se hanno riavviato per il resto della vita!»

Digeriti a fatica i personaggi insopportabili, la premessa tecnologica ridicola e tutto il cucuzzaro che compone “Killer Machine” incredibilmente Rachel Talalay riesce a tenere alta l’attenzione, tirando fuori dalla borsa dei trucchi tutto il suo mestiere. La scena più grottesca del film, il tipo ucciso a colpi di forno a microonde, funziona perché tutta la cucina del poveretto si trasforma in un forno, con le uova che friggono nel cartone, le banane che esplodono dalla buccia e la pelle del poveretto che si riempie di bubboni e ribolle come il suo sangue, il momento splatter che è diventato una delle scene simbolo del film. Da qui in poi Rachel Talalay si carica in spalla la sua borsa dei trucchi e il peso di una trama ridicola e manda in scena il vostro perfetto titolo da Notte Horror.

L’assassino da remoto può fare tutto? Quindi perché non farlo intervenire durante un crash test? Un odioso capo che tratta tutti i sottoposti di cacca è il prossimo bersaglio dell’assassino, sappiamo come finirà, con il simpaticone che fa la fine di Willy il coyote, spiaccicato contro una parete dall’auto lanciata verso lo schianto, ma Rachel Talalay è bravissima a giocare con le nostre aspettative rimandando la morte di qualche secondo, per poi lasciare che colpisca nel modo più improbabile, con un asciugatore per le mani elettrico che si trasforma in un lanciafiamme. Non lo sapevate che tutti i “Fumagalli” da Autogrill sono collegati alla rete Internet? Cavolo ma dove vivete nel 1993!?

Quando volevi solo farti dei Pop-Corn ma a scoppiettare è la tua testa.

Più che un film su un serial killer che colpisce usando Internet, “Killer Machine” diventa una sorta di antesignano della saga di “Final Destination”, portando in scena una serie di morti da incidenti domestici, che sembrano metterci in guardia sui pericoli della casa, come quei video a cartoni animati che guardavo io da bambino (I-M-Q cit.) come ad esempio la scena a casa di Grullo, con la bionda baby sitter Carol coinvolta.

La scena inizia come la versione con attori della prima sequenza iniziale di Roger Rabbit, con la piccola sorellina di Grullo minacciata dalla lavastoviglie, poi il 1993 richiede il suo tributo, figlio di un decennio tra il naif e il bacchettone, va in scena il momento “pruriginoso”, in cambio di 37 dollari (e 28 centesimi) e la promessa di un giretto sul database della motorizzazione per sistemare qualche guaio sulla sua patente, Carol mostra ai due arrapati ragazzine la scollatura, non di più, perché siamo nel 1993, se volete vedere delle tette in un horror, dovrete prendere la macchina del tempo e tornare all’anno 1985. Ma in ogni caso, in questo film tecnofobico e più che vagamente moralista, la ragazza viene punita lo stesso per il gesto “seSSi” insegnando al mondo che ballare scalza in cucina, con l’acqua che esce dalla lavastoviglie e l’elettricità in giro non è una buona idea. Più che la scritta “DIE” sul display dell’elettrodomestico, mi stupisce che fosse collegato in rete nel 1993, io se vado al cesso il Wi-Fi di casa prende poco mannaggia a voi!

La minaccia dell’elettrodomestico assassino (paura eh?)

“Killer machine” si sostiene solo sulle scene di morte, proprio perché Rachel Talalay in fodno lo sa di poter contare solo su quelle, anche perché con cosa vogliamo stupirlo il pubblico? Con le scenette di Josh che gioca ai videogiochi, casco in testa e pistoletta alla mano e vede l’assassino aggirarsi in mezzo a quei cubi “pixelosi” che dovrebbero essere gli effetti digitali del film? Andiamo dai!

Meglio puntare sui morti e proprio perché siamo nel 1993, la piscina con la sua copertura che si chiude in automatico (vi ho già detto del mio Wi-Fi vero? Bene) ci fa sperare che quello stronzetto di Josh muoia finalmente affogato, invece ne fa purtroppo le spese Axel, l’incolpevole Labrador di casa che si sacrifica per farci tifare ancora di più per l’assassino. Josh male devi morire! Male! Tu e le tue frasi fatte del cazzo, i tuoi scherzi con la mano dentro il tritarifiuti, sei il bambino dei film anni ’90 più odioso della storia, gonfio devi morire!

Gli effetti speciali che di speciale non hanno niente.

Lo scontro finale con il cattivone è l’ennesimo “Mumbo jumbo” che si svolge in prossimità dell’acceleratore di particelle della vicina università. Siccome questo film è tutta una grossa lezione sui pericoli degli elettrodomestici, mamma Karen Allen impara quello che io scoprì a cinque anni passando una calamita vicino al televisore di casa (storia vera), solo che qui come calamitone smagnetizzante viene usato l’acceleratore di particelle e altre menate del genere, perché va detto, qui nemmeno la borsa dei trucchi di Rachel Talalay salva l’ultima porzione del suo film, definitivamente azzoppata da effetti speciali non all’altezza, ma non dico visti nel 2023, erano giù brutti trent’anni fa, state sereni.

Insomma “Killer Machine” è il perfetto titolo da Notte Horror targato 1993, la mia insana passione per questa follia mi ha portato a festeggiare il compleanno (e possedere il Blu-ray). Un titolo talmente figlio del suo tempo, che quando l’assassino fa piombare a casa tutta la polizia di Cleveland nel tentativo di rallentare i protagonisti, uno dei piedi piatti avvisato alla radio di un tentativo di rapina, se ne esce con la frase: «Qui è tutta un’altra musica rispetto a Los Angeles, glielo facciamo vedere noia a quei bastardi!»,  sembra un dialogo da niente, ma con le immagini sul pestaggio di Rodney King ancora negli occhi suona completamente diverso. Però è il tipico tocco di critica sociale che ti aspetti da una Punk come Rachel Talalay, che non a caso subito dopo questo film è volata a dirigere un cine-comics quando ancora non si chiamavano così, lo sfortunato “Tank Girl” del 1995 (per altro dopo aver rischiato di dirigere un film su Preacher, storia vera), ed ancora oggi, orbita nel mondo delle serie tv, dove spesso riesce a distinguersi proprio grazie alla sua borsa dei trucchi.

Quando mi ricapita, Karen Allen nella posa delle eroine della Bara, yeah!

Insomma, mentre vi ricordo la locandina d’epoca del film, vi dico che ci tenevo a questo strambo compleanno e a dar fuoco alla miccia della nostra Notte Horror, trovate il programma completo qui sotto ma prima, ricordatevi di passare a trovare Bolla, per il secondo tempo di questa nottata in cui l’urlo di guerra è solo uno: TALALAY!

Sepolto in precedenza martedì 4 luglio 2023

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