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King Arthur – Il potere della spada (2017): che guazzabuglio medievale!

Pare che nel 2017 ci vada di culo quando non ci troviamo di fronte ad un film tratto da qualcosa, o seguito, prequel o reboot di qualcos’altro, in questa annata di ritorni che sanno tanto di idee finite da un pezzo, perché non anche un bel film su re Artù? Ecco, limitiamoci a film, sulla sua bellezza ora ne parliamo.

Motivi di interesse? Beh, qualcuno più del vostro medio film, prima di tutto, la mia insana passione per tutto quello che fa “Cavalieri della Tavola Rotonda”, causata da un numero imprecisato di ore infantili passate a leggere ogni storia su Artù, il Sacro Graal, Camelot e compagnia cantante, ancora oggi ci spero che un giorno John Landis si decida ad adattare per il grande schermo “Un americano alla corte di re Artù” di Mark Twain come ogni tanto minacciava di fare (storia vera!).

Nel frattempo, ci tocca assistere al tentativo di Guy Ritchie che, a sua volta, è uno dei motivi di interesse del film, perché a me l’ex signor Madonna è simpatico, certo ogni tanto manca clamorosamente il bersaglio, ma tutto sommato quando scende dal letto con il piede giusto ci si diverte e poi mi piaceva l’idea di un re Artù tamarro, anzi un “King Tamarthur”! Nessuno è più tamarro di Charlie “Jax Teller” Hunnam, che tra SAMCRO e i film con Guillermo del Toro (più i secondi lo ammetto) è uno per cui si fa il tifo.

L’uomo che porterà buon gusto e maniere educate alla monarchia.

Bisogna dire che la scena di apertura è piuttosto clamorosa, forse è anche la migliore di tutto il film, ma non mi aspettavo un inizio così figo. Gli elefanti da battaglia di Annibale, Mordred attaccano le mura di Camelot e re Uther Pendragon (un redivivo Eric Bana che, comunque, si vede pochino) parte al galoppo, con Excalibur in pugno a fargli un culo così, purtroppo non sbatacchia insieme due gusci di cocco, ma non posso pretendere di avere proprio tutto da un film, dovrò farmi bastare gli elefanti da battaglia.

Minuto uno: Spuntano gli elefanti da guerra, ti dimentichi dei libri e inizi a goderti il film sul serio.

Ecco, se da questa descrizione vi è sembrato che il ciclo Arturiano non sia proprio stato adattato per il grande schermo pagina per pagina, è perché “King Tamarthur” sta ad Artù come “Robin Hood – Principe dei ladri” (1991) sta all’arciere di Sherwood, ve lo dico così vi mettete l’anima in pace: sappiate che in questa versione, il cattivissimo fratello del re, con il nome da birra tedesca, Vortigern (Giuda Legge) si prende il potere, getta la spada in acqua e sacrifica donzelle ad una pluri tentacolare piovrona che vive nello scantinato che serve a dare quel tocco fantasy alla storia e a non farvi mai più lamentare che la cantina di casa vostra è umida, avete delle piovre in cantina? No. E allora zitti, non distraetemi che perdo il filo, come diceva Arianna.

Il frutto di una notte d’amore tra la sirenetta e Cthulhu.

Le piovrone donano potere a Erdinger Weissbier, ma dalle sue grinfie sfugge l’eletto, un piccolo bambino di nome Luke Skywalker Artù, che cresce per le strade tra furti, furtarelli, gioco delle tre carte, pestaggi, rapine, botte, accoltellamenti, scippi e taccheggi. In pratica: un normale sabato pomeriggio in centro.

Qua e là, va e sta, questo i pungi fa volar.

Avete presente “La spada nella roccia” (1963)? Ecco, qui Guy Ritchie risolve tutta la “Fase Semola” del protagonista con un training montage, tutto montaggio serrato e muscoli di Hunnam in bella vista, peccato, io ci avrei messo anche la risata di Anacleto, ma invece niente.


L’idea di base del film è dare un tocco moderno, ad un’icona inglese fino al midollo osseo, la stessa cura che Ritchie aveva già applicato a Sherlock Holmes nel 2009 con Robert Downey Jr. Il giochetto di applicare i suoi gangster tamarri londinesi, ad un’icona di Albione funziona finché si tratta di tenere il montaggio serratissimo mostrarci Hunnam che fa lo spavaldo e snocciolare criminali di strada dai nomi improbabili, “Grasso d’oca” Bill Wilson (Aidan Gillen, il Ditocorto di Giocotrono, a proposito di nomi buffi), oppure Mangiagalli, Stecchino (quello smilzo) e Rubio che credo sia lo chef del gruppo, ma potrei sbagliarmi.

«…Ar Cavaliere Nero nun glie devi caca’ er cazzo!»

Gli si perdona anche un David Beckham infilato a tradimento dentro la storia in un ruolo a che ti tira fuori dal film (invece di vedere un boia sfregiato, ti ritrovi a pensare “Che cacchio ci fa David Beckham a Camelot!?”), solo perché la scena della spada tirata fuori dalla roccia funziona, oh! Funziona nell’ottica di un film che ho ribattezzato “King Tamarthur”, perché se io non sento Anacleto che dice “Rimettila a posto ragazzo! È meglio lasciarla dov’è!”, oppure l’epica grondante sangue di John Boorman, tendo a distrarmi facilmente.

Una volta questo ruolo lo avrebbero dato a Sting.

Perdo, invece, completamente l’interesse quando il personaggio della Maga (non Magò, ma Àstrid Bergès-Frisbey. Salute!) viene sfruttata il giusto, forse solo per introdurre nella battaglia pochi contro tanti pennuti in CGI, di cui avrei fatto volentieri a meno.

Ma Caio deve avere una spad… Ok dai la smetto.

Anche perché mi va bene fare la banda di bastardi di Artù (futuri Cavalieri della Tavola Rotonda, nemmeno quotato dai bookmakers inglesi visto che uno di loro si chiama Percival) che fugge tra i vicoli inseguiti dalla macchina da presa di Guy Ritchie in un guazzabuglio medioevale che ricorda alla lontana “RocknRolla” (2008), mi va molto meno bene che la guardie del re vengano stese in fretta e furia in un tripudio di computer grafica che strizza fin troppo l’occhio ai videogiochi.

Il problema di “King Tamarthur” è che non riesce nemmeno ad essere una rivisitazione testosteronica e ignorante (nel senso godereccio del termine) di personaggi ultra noti, da un certo punto in poi si prende tremendamente sul serio e la noia ha il sopravvento su tutto, fino all’inevitabile finale, o forse dovrei dire l’evitabile finale. Senza raccontarvi la rava e la fava, aggiungo solo che l’ultima scena mi sembrava di guardare Charlie Hunnam contro un boss finale da videogioco, uscito dalla copertina di un disco Metal a vostra scelta, ma di cui vediamo solo falce e mantello strappato, perché è sempre nascosto nel buio, giusto per coprire qualche magagna degli effetti speciali.

«Exizbur, exanzbar…» , «Excalibur imbecille!» (Cit.)

Anzi! Ecco chi mi ricorda, ci sono! Avete presente Tartarughe Ninja II – Il segreto di Ooze, no non diventa Vanilla Ice, intendo dire Shredder alla fine quando si trasforma in un mostrone, ecco lui!

Mi hai appena fatto rivalutare anche Vanilla Ice.

Boh, insomma, “King Arthur – Il potere della spada” meglio noto come “King Tamarthur” inizia benissimo e poi si sgonfia su se stesso dando un calcio al secchio del latte, bella forza direte voi, mica mi aspettavo “Quarto Potere” da un film con Jax Teller armato di spada magica, però poteva sicuramente venire fuori qualcosa di almeno divertente, roba da passarsi una serata ignorante, invece tra la voglia di scimmiottare i videogiochi e l’idea balzana, ma sono sicuro i produttori abbiano pensato di trasformare questa roba nel prossimo franchise fantasy da spremere con quattordici seguiti, finisce per annoiarsi e basta.

Insomma, ditemi che sono vecchio e sorpassato (avreste pure ragione), ma io vado a rivedermi “La spada nella roccia” o “Excalibur” di John Boorman ridendomela di gusto di questo guazzabuglio medievale.

Sepolto in precedenza martedì 23 maggio 2017

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