L’uomo discende dalle scimmie. L’uomo inventa il cinema. Il cinema discende dalle scimmie!
Merian C. Cooper impegnato ad “inventare” il cinema, così, come passatempo. |
Si chiama Ernest Beaumont Schoedsack, ha la passione per la fotografia e fa subito amicizia con Merian, perché entrambi sono appassionati di lotta. A guerra terminata i due compari fanno società, il futuro sono i documentari, Merian ed Ernest girano il mondo, vanno in posti che normalmente visiterebbe solo Indiana Jones, l’idea è quella di riprendere animali, possibilmente esotici e pericolosissimi, nel loro ambiente naturale, per poi montare il materiale in maniera ordinata dando vita ad una storia di docu-fiction.
Far scalare l’Empire state building ad una scimmia, è la cosa più normale fatta da questi due. |
Occhio che qui la trama si complica, come lo fai un film se sei abituato a montarne uno usando il girato conquistato sul campo? Ti procuri uno sceneggiatore facile, forti del successo ottenuto alla RKO Merian ed Ernest secondo voi si accontentano del primo che passa? Ma figuriamoci, minimo minimo vogliamo Edgar Wallace, che insieme ad Arthur Conan Doyle e Agatha Christie è considerato un maestro della letteratura gialla e del poliziesco che, guarda caso, in quel periodo è in America in cerca di fortuna ad Hollywood.
Gli avvocati di Cooper e Wallace, impegnati a dirimere la questione legale. |
Sfiga! Edgar Wallace il film finito non lo vide mai perché morì nel febbraio del 1932, lasciando il mistero sul suo reale contributo e tanti creditori alla porta. Il compito di completare la sceneggiatura passa nella mani di James Ashmore Creelman, prima, e di Ruth Rose, poi, storica collaboratrice di Cooper nonché moglie di Schoedsack, insomma un affare di famiglia che diventerà sempre più intimo, malgrado le dimensioni del progetto… E del suo protagonista.
«Va bene avere la scimmia per un film, ma non le sembra di esagerare?» |
Sì, perché a Merian quell’idea della scimmia che rapisce una donna continuava a tornare in mente, anche se nel piano originale, lo scimmione era più tipo un uomo molto molto molto peloso, piano che cambia per due ragioni: la prima che mio zio non era ancora nato negli anni ’30, la seconda, l’entrata in scena di Willis Harold O’Brien, se avete un cappello sarebbe il momento di toglierselo in segno di rispetto.
Dopo sette o otto Guinness NON diventa più facile. |
Willis O’Brien aveva già devastato i botteghini con Il mondo perduto, non questo, quello del 1925, in cui i suoi dinosauri in stop-motion mandavano giù di testa gli spettatori, Merian C. Cooper chiede ad O’Brien “Sai solo dinosaurare o sai anche scimmiare?”, l’Irlandese sapeva il fatto suo, l’opzione uomo molto molto peloso viene buttata nel cestino (mi spiace Zio), non appena Merian vede il mamozzo della scimmia, Kong. Cambiato presto in King Kong, nome la cui origine è piuttosto controversa, ma se chiedete a Merian secondo voi chi vi dice che lo ha coniato?
«Quando dovrai lasciare le tue impronte sull’Hollywood Boulevard, sarà un bel guaio ragazzone» |
Ma Merian non ha ancora finito e decide di portare il film in zona palesemente meta cinematografica, il vice-capitano della nave che porta la troupe cinematografica su Skull Island, John Driscoll, viene modellato sull’amico Schoedsack e, di conseguenza, Ann Darrow deve molta della sua caratterizzazione a Ruth Rose. L’esploratore Carl Denham (Robert Armstrong) diventa il regista Carl Denham, impegnato a viaggiare alla ricerca dell’ottava meraviglia del mondo, per realizzare un film che nessuno aveva mai visto prima, esattamente quello che ha fatto Merian C. Cooper, nel Marzo del 1933, quando il film venne proiettato per la prima volta davanti ad una folla di New Yorkesi in estasi, chissà se in quel momento lo sapevano che la storia del cinema scorreva davanti ai loro occhi.
«Oh allora! Cos’è sto casino?! Qui c’è un gorilla che domani va a lavorare!» |
La storia del potente King Kong, portato via dall’isola in cui dominava come il Re della catena alimentare, disarticolando mascelle ai dinosauri e prendendo in ostaggio bionde attrici, per finire a fare lo zimbello in catene davanti ad un pubblico pagante, sull’immaginario collettivo ha la potenza di una rivoluzione, ci sono dei film che cambiano tutto per sempre, “King Kong” è stato uno di questi, qui le pellicole così hanno un nome preciso, il cinema discende dalla scimmie e i Classidy sono Darwinisti!
Rocky che corre sulla scalinata di Philadelphia, Rossella O’hara che parla del domani con il cielo di Atlanta sullo sfondo e King Kong che si arrampica sull’allora fresco di costruzione Empire State Building (voluto da Merian perché più scenografico ed economico del Madison Square Garden, storia vera, alla faccia del marketing moderno), alcune di quelle scene che tutti conoscono anche se l’ultimo film che hanno visto in vita loro è stato “Bambi”.
«Signore ho due notizie, una buona e una cattiva. La buona è che un inquilino è interessato all’attico» |
Il peso specifico di “King Kong”, ha cambiato per sempre la percezione del cinema presso il grande pubblico, ci sono persone che hanno intrapreso la carriera di regista solo dopo aver visto questo film, tra i più celebri, il più grande cantore delle scimmie al cinema, il mio amico John Landis, il cui esordio “Slok” non è altro che un grosso omaggio a questo capolavoro, ma il più celebre di tutti resta Peter Jackson, che quando si parla di follia per questo film, è secondo soltanto a Merian C. Cooper.
Il film di Cooper e Schoedsack ha una trama minimale, ma anche a rivederlo oggi, 84 anni dopo la sua uscita in sala, è ancora un film di una modernità abbacinante, non ha affatto il ritmo di un film degli anni ’30 e anche se basato su svariati archetipi narrativi, ancora oggi è considerato a sua volta un archetipo cinematografico di riferimento.
Qui la faccenda si fa parecchio meta cinematografica. |
Ci si possono intravedere punte di erotismo (nell’idea originale Ann Darrow veniva denudata dal gorilla), ma quello che colpisce è proprio come “King Kong” sia ancora oggi un modello per il cinema, per vedere la creatura la prima volta, bisogna affrontare tutto il viaggio a Skull Island, Kong mostra il suo (incredibilmente espressivo) faccione solo dopo 40 minuti buoni di film, che è quasi la stessa cosa fatta anni dopo da Spielberg che centellinava il suo Bruce per terrorizzare gli spettatori, o da Ridley Scott in Alien, un archetipo narrativo che ne genera altri e così via senza sosta.
Kong fai un bel sorriso ai lettori e alle lettrici della Bara Volante! |
Rivedendo il film, resto ogni volta colpito dalla qualità del montaggio, dalla cura di costumi, scenografie ed effetti speciali, pare che furono proprio Cooper e Schoedsack, appassionati di lotta, a coreografare i combattimento tra King Kong e i dinosauri di Skull Island e il lavoro di Willis O’Brien incanta, ogni singolo movimento ricreato alla perfezione, con King Kong che si muove davvero come un vero gorilla, pugni battuti sul petto compresi.
«It’s good to be the king» (Cit.) |
Oltre a quello di Jackson, esistono anche il remake prodotto da Dino De Laurentiis nel 1976, più un quantitativo ragguardevole di seguiti, anche prodotti dalla Toho, storica casa di produzione giapponese celebre per Godzilla, ma la verità è semplice, è inutile che mi prendiate per il culo per la mia mania delle scimmie nei film, il ciclo è chiaro: l’uomo discende dalle scimmie, l’uomo inventa il cinema, lo aveva capito Merian C. Cooper di Jacksonville Florida, King Kong lo ha sempre saputo ed ora lo sapete anche voi, il cinema discende dalle scimmie!