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King of the ants (2003): anche le formiche nel loro piccolo s’incazzano

Come operose formiche, un venerdì alla volta portiamo avanti
quest’opera di omaggio a Stuart Gordon, quindi buon venerdì a tutti voi e
bentornati al nuovo capitolo di… Above and beyond!

Ricapitoliamo: nel corso della rubrica abbiamo visto il
nostro Stuart Gordon ricevere finanziamenti per i suoi film dall’Italia,
dall’Irlanda, dall’Australia e in parte anche dalla Romania, ma sapete qual è
stato il più grande trionfo di Gordon? Non solo farsi finanziare un
film dalla famigerata Asylum, ma riuscire nell’impresa, davvero ben oltre i
limiti dell’eroico, di firmare un bel film targato Asylum. Quelli che ci sono
riusciti si contano sulle dita di una mano, ma di uno che ha lavorato a lungo
come addetto alla sega circolare.

Piccolo riassunto per tutti quelli che avessero passato gli
ultimi vent’anni chiusi in un capanno, rapiti da alcuni brutti soggetti armati
di mazze da golf: la casa di produzione Asylum nasce nel 1997 come distributore,
ma pian piano ha saputo costruire la sua (discutibile) fama con film e filmacci
a basso costo, molti dei quali “Mockbuster” ovvero dei film istantanei,
girati in brevissimo tempo e con ancora meno soldi (e competenze tecniche), per
sfruttare l’onda lunga di blockbuster costosi e famosi annunciati dalle altre
case di produzione, ad esempio sta per uscire il remake di Robocop? La Asylum batte tutti sul tempo con Android Cop, Guillermo del Toro annuncia
Pacific Rim? Ecco arrivare Atlantic Rim e via così.

La benda sugli occhi, l’unico modo per guardare il film medio della Asylum, inconsapevoli di quello che sta per colpirci.

Anche se il titolo che ha messo il nome della Asylum sulle
mappe geografiche è stato Sharknado,
definito il film più brutto di sempre, da tutti quelli che non sanno nemmeno
come possano essere fatti per davvero i film brutti. Ma prima dell’orgia di
squali tornado e motoseghe, la Asylum non aveva mai pensato di fare il salto,
passando da distributore a produrre, almeno fino al giorno in cui al loro
campanello non ha suonato il nostro Stuart Gordon.

Stuardo era incappato nel romanzo “King of the ants” di Charlie
Higson, scrittore che sarebbe stato anche ben disposto a vedere la sua opera
sbarcare al cinema, ma chi poteva essere così matto da decidere per davvero di
adattare per il grande schermo una trama tanto nera e sudicia piena di bassezze
umane? La risposta ovviamente già la sapete: Stuart Gordon della grottesca
rappresentazione dell’umanità e dei suoi orrori ha fatto la cifra stilistica
del suo cinema, inoltre aveva già lavorato con Charlie Higson a teatro, nella
natia Chicago (storia vera).

A ben guardarlo, “King of the ants” ha tutte le
caratteristiche del Vostro film medio Asylum: un budget con cui chiunque altro
di norma paga il conto del minibar del divo di qualunque altra produzione,
attori pescati tra caratteristi, ex famosi con la carriera in caduta libera e
volenterosi improvvisati destinati a vedere gli Oscar giusto in diretta tv, a
voler essere gentili. Su tutto aggiungiamo un’idea di fotografia rubata ai
migliori set dei film porno, insomma, sono riuscito ad abbassare le vostre
aspettative? Benissimo, perché “King of the ants” ci chiede di fare proprio
questo: calarci nelle peggiori bassezze umane grazie ad un solo asso nella sua
manica: la regia e il talento di Stuart Gordon.

I titoli di testa di un film pieno di colpi in testa.

Il regista di Chicago è sempre stato a suo agio con
produzioni piccole, se non addirittura microscopiche, verrebbe da dire grandi
quanto formiche ed è ironico considerando che il film più costoso e di grande
successo a cui il nome di Gordon è legato, resta una commedia Disney con le formiche in un ruolo chiave.

Nelle mani di Stuardo, quelli che di norma sono i limiti di
qualunque produzione Asylum, diventano la tela su cui dipingere, se non proprio
i suoi pennelli e colori da utilizzare per affrescare questa storia nera e
marcia, il fatto che il suo protagonista Sean Crawley (Chris McKenna che tiene
botta caricandosi un ruolo non semplice sulle spalle) di mestiere sia un
imbianchino improvvisato, forse ha avuto degli effetti indiretti sulla mia
metafora.

“Hai un amico in me, un grande amico in me” (cit.)

Sean è uno spiantato in cerca di soldi che finisce per fare
la conoscenza dell’elettricista Duke Wayne (George Wendt, paffuto caratterista
che avete visto in tutti i film), l’uomo, dal principio amichevole, gli chiede se
è disposto a fare un po’ di soldi facili e lo presenta a Ray Mathews, un losco
palazzinaro con la fissa per il golf fatto a forma di un Daniel Baldwin, più stropicciato che mai, che pur andando spesso
sopra le righe, se non altro ci regala un cattivo molto adatto al film, uno
davvero facile da odiare, in una storia dove, come si dice in questo casi: il più
pulito c’ha la rogna.

Il compito di Sean è quello prima di pedinare e poi di
eliminare Eric Gatley, colpevole di aver infilato il naso negli affari loschi
di Ray, la faccenda si complica quando durante i suoi pedinamenti Sean resta
affascinato dalla bella moglie del suo bersaglio, Susan Gatley (Kari Wührer) e
fino a qui sarebbe la vostra normale trama da noir se poi la storia non
scivolasse giù, ancora più in profondità nel formicaio.

La cura e il mestiere di Gordon emergono dai piccoli dettagli,
“King of the ants” è un film dove ogni colpo ricevuto in testa ha un suo peso e
prima che il gioco della pentolaccia cominci per davvero, il nostro Stuart si
sofferma a sottolineare un colpo in testa preso da Sean durante la sua
impacciata attività di pedinamento, sembra quasi un errore dell’attore per
quanto la capocciata data dal ragazzo possiamo vederla nel film, una di quelle
scene che altrove finirebbero tagliate dal montaggio, mentre qui sono un
ironico (e sinistro) monito del destino del protagonista.

Il primo colpo in testa del protagonista. Non si patteggia con l’umorismo (nero) di Stuart.

“King of the ants” dura 102 minuti e malgrado sia un film
marcio e volutamente decadente, nemmeno per mezzo secondo viene voglia di
staccare lo sguardo dallo schermo, non so quante volte si possa decidere
volontariamente di guardare un film del genere, resta il fatto che se dovessi
spiegare ad uno che ha passato gli ultimi vent’anni a subire torture in un
capanno, quanto era geniale Stuart Gordon, penso che gli farei vedere proprio
questo film.

Sì, perché la trama da noir tiene incollati allo schermo,
Sean accetta di uccidere un uomo, trattando con un Ray ben più che alticcio per
una cifra tutto sommato ridicola, tredicimila dollari sono tanti se sei alla
canna del gas, ma a mente fredda, ragionando in prospettiva, sono davvero la
cifra per cui svendere la propria anima e la propria sanità mentale? “King of
the ants” è una guerra tra poveracci in cui si soffre per Sean stravolto dal
suo impacciato esordio come assassino, ma diventa chiaro con il passare dei
minuti che è un film che ti prende per il bavero e ti trascina giù con sé nel
fango, senza darti nemmeno il tempo di chiederti se quello sia davvero fango.

“Dovremmo avere dei fucili dell’insetticida per cose di questo tipo” (quasi-cit. guardate la faccia di Baldwin)

Se la vita è una giungla, “King of the ants” ci ricorda che
per quanto possiamo raccontarcela, noi persone normali, cresciuti con un’etica
e con tutti i nostri enormi difetti, non saremmo mai i leoni, al massimo
possiamo essere formiche nella migliore delle ipotesi e sarebbe già una gran
fortuna, perché Sean re delle formiche nella sua trasformazione da uomo ad
insetto, si ritrova a dover combattere contro delle iene.

La parte migliore del film di Gordon? La sua capacità di
trascinarci così a fondo con sé nella storia, da farci sospendere
l’’incredulità quel tanto che basta da accettare anche le trovate più assurde,
chi mai deciderebbe di torturare in quel modo grottesco qualcuno diventato un
testimone scomodo? Non sarebbe più facile eliminarlo e basta? Eppure, guardando
“King of the ants” viene istintivo smetterla di porsi questo tipo di domande,
solo per capire dove sta cercando di andare a parare la trama o più in
generale, per vedere se Sean riuscirà a portare a casa la pelle.

Come dicevo, in questo film, ogni colpo in testa conta, ha
un peso e un effetto collaterale, la tortura subita da Sean ridotto a pignatta
umana e percosso ogni giorno con una mazza da golf sulla testa, diventa la
progressiva discesa all’inferno del protagonista e qui, l’enorme esperienza e
passione di Gordon per Lovecraft torna a grattare la porta.

“Mi presento sono Howard Phillips e come avrai intuito ora impazzisci” (quasi-cit.)

Durante la prigionia del protagonista, tutto quello che Sean
ha visto e desiderato torna a perseguitarlo sotto forma di incubi che mettono
in chiaro quanto Gordon sia sempre stato a suo agio con il genere horror,
mostri deformi, donne iper sessualizzate che diventano incubi, disgusti
assortiti con cui il regista di Chicago bombarda noi ed il suo protagonista di
visioni da incubo, quelle che potrebbe avere solo un personaggio che sta
semplicemente lasciando la sua sanità mentale dietro alle spalle, proprio come
la maggior parte dei protagonisti della opere di Lovecraft. La trasformazione
da uomo a formica di Sean passa attraverso i lividi e i bozzi sul suo corpo, se
in “Old boy” (2003) dicevano che le persone sole vedono le formiche, Sean fa il
passo successivo e diventa il re delle formiche, un titolo che di nobiliare non
ha davvero nulla e che, anzi, fa pensare che, in fondo, al Gregor Samsa di Kafka,
sia andato tutto pesche e crema.

“Ho sbattuto contro l’armadietto del bagno, niente di grave”

“King of the ants” ti trascina talmente a fondo che persino
i deus ex machina che intervengono
sotto forma dell’amico del protagonista (una sorta di sosia giovane di Tobe Hooper) sono più facili da
accettare e in quanto noir sporcato di ogni elemento esterno, sangue, horror e
feci dello stesso protagonista ridotto ai minimi termini della scala evolutiva
umana, non può mancare la combinazione, il caso fortuito che porta alla rinascita
del protagonista e che, ovviamente, passa da una donna.

Eppure, in “King of the ants” non ci sono buoni o cattivi nel
senso classico, lo stesso protagonista verrà punito più del necessario, ma non è
certo un santo, a ben guardare, questo film è quello che ha portato la
filmografia di Gordon in un territorio nuovo, l’ideale primo capitolo di una
trilogia di film in cui i protagonisti saranno persone normali (nel senso più
vero e quindi spaventoso del termine) alla prese con situazioni grottesche,
quelle che solo la vita più che il cinema può lanciarti addosso. I prossimi due
capitoli di questa “Trilogia dell’orrore quotidiano” (il nome me lo sono appena
inventato, ma accetto suggerimenti) arriverà a breve su queste Bare, mentre il
finale di “King of the ants” non può che essere drammatico, come del resto tutto
il film.

Magari è solo lo stemma del maestro delle tartarughe di “Dragon Ball”, però evocativo.

Sarei curioso di capire l’ideogramma (credo giapponese)
sulla maglietta del protagonista nel finale, non ho idea di cosa voglia dire,
ma sono sicuro che Gordon non lo abbia scelto di certo a caso, mentre Sean porta
avanti la sua vendetta e completa la sua trasformazione da uomo a formica, in
un film dove niente è sacro, tutti sono sporchi e luridi anche un attore
feticcio di Gordon come Vernon Wells, celebre per i suoi ruoli da arci cattivo cinematografico, qui fa una fine ingloriosa perché di gloria in una storia così
nera e sudicia non può esserci, nemmeno per Sean.

Passano gli anni, ma Bennett continua ad avere la pressione troppo alta.

Un minimo di fegato per affrontare questo film è richiesto,
non perché sia il più violento mai visto nella storia del cinema, ma Gordon è
talmente capace di tiranti dentro alla sua storia che tutto il sudiciume
sembra restare un po’ appiccicato addosso anche a noi spettatori. Per essere un
film del 2003, “King of the ants” ha una violenza che non ha nulla da spartire con i film dal 2000 in poi, ma soprattutto è diretto da un regista che
non sembra per niente adagiato sugli allori di un linguaggio cinematografico
datato, “King of the ants” non è un film degli anni ’80 finito per caso nel
2003, la capacità di Gordon di adattare il suo cinema al nuovo millennio non
l’ha saputa sfoggiare così bene, quasi nessuno degli altri Maestri
cinematografici legati al cinema Horror e molto più blasonati di Stuardo, tutti
rimasti un po’ legati al passato e ai
vecchi stilemi di un tempo.

Sarà per la sua capacità di portare in scena i grotteschi
orrori dell’umanità, ma Gordon pur faticando a trovare fondi per i suoi film,
nel nuovo millennio ci sguazzava alla perfezione, uno dei pochi registi che è
stato, cinematograficamente parlando, in grandissima forma fino alla fine della
sua carriera e purtroppo della sua vita, ci sono ancora tanti orrori da
esplorare e questa Bara è pronta a farlo, per Stuart Gordon vale la pena di
sporcarsi le mani.

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