Altro giro altra
corsa, ma anche altro gran casino per reperire il film di oggi protagonista
della rubrica… Sollevare un Paul Verhoeven!
Già, perché i
primi film del regista olandese non sono semplici da trovare, per questo “Keetje
Tippel” da noi uscito con il chilometrico titolo in puro stile anni ’70 di “Kitty
Tippel… Quelle notti passate sulla strada”, per riuscire a vederlo ho dovuto
fare i salti mortali, ma se mi metto in testa di fare una rubrica su un regista
non mi ferma più niente, nemmeno il dovermi guardare il film in lingua
originale e con sottotitoli ballerini, esperienza davvero interessante, ho
imparato che Brood (pronunciato bruuuuud) vuol dire pane, mentre Polozi vuol
dire Polizia, poi dicono che non s’impara niente con i film, eh?
successo di critica e pubblico del suo film precedente Fiore di Carne, il
nostro Paul Verhoeven si ritrova a subire l’ansia da prestazione che il
successo porta con sé, il produttore Rob Houwer vorrebbe da lui un soggetto
epico, quindi Paul decide di ispirarsi e dedicare il suo film all’indomabile
spirito di Neel Doff.
Kitty Tippel protagonista di questo film non fa altro che ripercorrere le tappe
della vita di Neel Doff. Nata poverissima a metà dell’Ottocento da una famiglia
olandese impegnata in continui viaggi tra Amsterdam e il Belgio per cercare di
trovare una stabilità economica, la giovane Neel arrivò con più di un
sacrificio a raccontare in tre volumi autobiografici la storia della sua
incredibile vita, dalla povertà e la prostituzione della giovinezza fino alla
nomina per il Nobel alla letteratura.
Con quali mezzi |
Paul Verhoeven ci
racconta il romanzo di formazione di una squattrinata ragazza che scopre se
stessa, il suo corpo e il suo ruolo nella società trasformandosi in una ricca
nobildonna, per la parte della protagonista gioca sul sicuro scegliendo
nuovamente la bella Monique van de Ven, già protagonista del suo precedente successo.
“Kitty Tippel” potrebbe sembrare la versione in costume della commedia d’esordio
di Verhoeven “Gli strani amori di quelle signore” (1971), visto che il mestiere
(più vecchio del mondo) delle protagoniste è sempre lo stesso. In realtà, dietro
all’apparenza da film scollacciato, Verhoeven fa una riflessione sullo
sfruttamento, del corpo femminile e dei lavoratori, scelta che gli ha creato
più di un problema con il produttore Rob Houwer, che tutte quelle scene di
sinistroidi scioperi in strada che Verhoeven era molto interessato a girare,
nel suo film proprio non li voleva (storia vera).
nemmeno l’unico problema che Verhoeven ha dovuto affrontare durante le riprese,
l’altra questione era molto più terra terra: il fidato direttore della fotografia
di Verhoeven, Jan de Bont proprio sul set di Fiore di carne aveva conosciuto Monique van de Ven e da allora i
due facevano coppia fissa, sfiga! Il buon Jan non gradiva molto che la sua
signora fosse impegnata a girare scene di nudo sul set, insomma senza volerlo
Verhoeven era finito in una trama di sesso e gelosia degna di un film di
Verhoeven!
Jan de Bont impegnato a marcare stretto la sua Monique. |
Per tentare di
calmare le acque e completare il film, il nostro Paul chiese l’aiuto di sua
moglie Martine, professione psicologa, che sul set diede un enorme aiuto a
rilassare gli animi, tenete e mente la signora Verhoeven, la vedremo ancora
rispuntare nel corso di questa rubrica.
non solo esce, ma diventa il più costoso film della storia del cinema olandese,
almeno fino all’anno 1977, quando verrà superato da “Soldato d’Orange” diretto
da? Bravi, proprio Paul Verhoeven!
caso che una delle ultime frasi pronunciate dalla protagonista prima della fine
del film sia proprio «I soldi trasformano le persone in bastardi», perché il
film oltre a mostrarci una riuscita ricostruzione storica di un luogo e un
periodo che al cinema si vede poco, l’Olanda dell’800 e qualcosa, è una
riflessione sul Capitalismo senza tirar via la mano. Il filo rosso di tutti i
film di Verhoeven sono le pulsioni umane, spesso bestiali, in questo senso il
pruriginoso (e chilometrico) titolo italiano sembra voler fare di tutto per
sottolinearlo.
Sempre di lavoro si tratta, il più vecchio del mondo. |
Ma oltre che
mettere alla berlina le pulsioni sessuali maschili, il film mena schiaffi pure
al Capitalismo, il parallelo tra prostitute e lavoratori è piuttosto chiaro, lo
sfruttamento del corpo femminile viene accumunato a quello del proletariato, se
le donne in questo sistema esistono quasi esclusivamente per mettere in vendita
il loro corpo, l’altra faccia della medaglia sono lavoratori sottopagati e
maltrattati dal padrone, come il padre di Kitty (Jan Blaaser) a cui controllano
i denti come se fosse un cavallo da soma prima di assumerlo.
ci fa sentire subito il freddo e la fame della famiglia di Kitty, grazie alla
regia precisa di Verhoeven e la fotografia realistica di Jan de Bont ci
ritroviamo sbattuti nella stiva della nave in direzione Amsterdam prima e poi
in una cadente stamberga soggetta ad allagamenti, dove Kitty si ritrova a
vivere con i numerosi fratelli e sorelle, per tacere del cagnetto, che è il
primo a lasciarsi in una scena che mi sento di riassumere solamente con
“GULP!”, grazie per il calcio sugli stinchi Paul, non ne risparmi una, eh? Grazie!
Bella cosa la famiglia tante bocche da sfamare… |
Kitty ha
solo il suo corpo e il suo bel faccino, nell’arco di tutto il film compie
un percorso per in cui proprio il suo corpo e il denaro vanno di pari passo,
inizialmente è la sorella maggiore Mina (Hannah de Leeuwe) a finire a lavorare
sulla strada condotta dalla sua stessa madre (tenete a mente la libertà
sessuale olandese che nei film di Verhoeven ha sempre cittadinanza), Mina che
non ha certo il fascino di Kitty diventa subito arrogante, perché comunque è
grazie a lei se arriva qualcosa da mangiare in tavola, mentre Kitty è deve spaccarsi le mani lavando i panni con la candeggina, costretta a schivare le
attenzioni del datore di lavoro che vorrebbe testare le sue capacità, ma non di
bella lavanderina.
casuale nemmeno che il film sia costellato di episodi di ribellione proletaria,
per ribadire il concetto che il lavoratore, come le prostituta, è costretto a
vendersi al padrone per sopravvivere, le due cose vanno di pari passo, quando a
Kitty chiedono di cantare, lei intona le note ribelli della Marsigliese
cantando con pugno alzato ed è proprio sul posto di lavoro che Kitty perde la
sua verginità in un’altra scena in cui Verhoeven non tira via la mano quando è
il momento di mostrare dettagli, sesso e violenza, carne e sangue, gran parte
del cinema del regista olandese si basa su questo binomio.
Aux armes citoyens, formez vos bataillons, marchons, marchons! |
Nel cinema di
Verhoeven le donne hanno sempre un ruolo di forza rispetto agli uomini, che
spesso sono solo mossi dai loro istinti e il regista non perde occasione per
sbeffeggiarli. Quasi tutti gli uomini del film vedono Kitty solo per il
suo corpo, persino Hugo di cui la ragazza s’innamora e che stravede per lei,
tanto da prendere a pugni nello stomaco uno dei suoi vecchi clienti, alla fine
la molla per sposare una ricca nobildonna. Per altro, Hugo ha la faccia da
schiaffi di Rutger Hauer (al secondo film con Verhoeven e il tassametro corre),
quindi per una buona porzione di film, ritroviamo gli Olga ed Erik di Fiore di Carne, ma in costume da metà
800.
perde occasione per sbeffeggiarli, questi uomini, che in preda alle passione
smettono di ragionare con il cervello nel cranio e iniziano a farlo con quello
nelle mutande, la scena in cui Kitty (un po’ ‘mbriaca) fa le ombre cinesi sul
muro, quando improvvisamente qualcuno s’intromette con l’ombra del… Un’ombra a
forma di… Beh, diciamo che è una forma piuttosto inequivocabile, ecco!
“Guarda che bello l’uccellino…” (Rumore di una zip che si apre in sottofondo). |
L’altro modo con
cui Verhoeven si prende gioco dei maschietti è mostrando le loro smorfie e
facce vogliose, attraverso i volti deformati e tenete a mente questo
dettaglio, perché anche la deformazione del volto è un colpo che Verhoeven ha
nella sua faretra e tornerà buona per il resto della sua filmografia.
viene scortata da sua madre sulle strade ad adescare clienti, capisce quanto il
suo corpo sia il suo vero potere, Verhoeven implacabile inquadra Kitty che va
via con un cliente e subito dopo la vetrina di un macellaio con la carne in
vendita. Eppure, il romanzo di formazione di Kitty destinata a diventare una
grande scrittrice proletaria passa per la sua vitalità e da questo punto di
vista Monique van de Ven è splendida.
“Dove vai carina, non conosci il detto Rutger baffuto sempre piaciuto?”. |
Il personaggio
prende coscienza di sé senza mai rinunciare a quella joy de vivre a cui nemmeno
Verhoeven sembra riuscire a rinunciare, malgrado la povertà e il peso di temi assolutamente
non leggeri (o da prendere alla leggere) come la prostituzione o le rivolte
sociali dei lavoratori, la Kitty di Monique van de Ven, balla, canta la
Marsigliese a squarcia gola, si ammazza di Bom Bom al cioccolato nel ristorante
francese (divorati come i dolcetti turchi del film precedente), ogni tanto s’incazza e spesso fa sesso, la sua
maturazione passa anche attraverso il suo corpo, diventando la musa di un
pittore prima e poi finendo per innamorarsi dell’amico Andrè, perché il
femminismo non deve per forza essere la negazione della femminilità, tanto di
cappello a Monique van de Ven a cui tutto questo riesce con una semplicità
irrisoria, a tratti non sembra nemmeno stia recitando, due film di Verhoeven
che non conoscevo e due film in cui lei è davvero bravissima.
Fare linguacce con infinita Joie de vivre. |
Nel finale Verhoeven punta ancora di più i piedi, portando in scena quella rivolte di
piazza di lavoratori esausti che il suo produttore non voleva vedere nel film, un
tripudio di Marsigliese, san pietrini contro celerini polizia a cavallo,
dove tutto diventa rosso che siano le bandiere dei manifestanti o il loro
sangue.
Kitty e il suo fratellino impegnatti a fuggiare dalla Polozi (visto che ho imparato davvero?). |
“Kitty Tippel… Quelle notti passate sulla strada” avrà pure un titolo italiano discutibile,
sarà anche complicato da trovare (ma vi insegnerà un sacco di parole in Olandese!),
eppure è il secondo bel film di Verhoeven che non conoscevo e che mi ha fatto piacere
scoprire, che poi in fondo era metà dell’obbiettivo di questa rubrica: scoprire i titoli (per me) sconosciuti del grande regista olandese.
coerenza artistica, quell’adorabile anti moralista di Verhoeven mette alla
berlina le pulsioni bestiali dell’uomo, mostra le crepe delle società esaltando
attrici e curve femminili. No, sul serio, come si fa a non voler bene ad uno così?