Al fin giungemmo, anche i fratellini del Minnesota si uniscono ai loro predecessori nella lista delle monografie della Bara, oggi tocca all’ultimo capitolo della rubrica… Coen, Storia vera!
Penso che i fratelli Coen ormai abbiano ben poco da dimostrare, nel corso della loro carriera hanno demolito e ricostruito quasi tutti i generi cinematografici su cui hanno messo sopra le mani, il loro ultimo avvistamento era Ave, Cesare! omaggio al curaro all’epoca d’oro di Hollywood, fino al ritorno con una loro vecchia ossessione: il Western.
I due fratelli del Minnesota hanno un curriculum talmente valido che nemmeno infilarsi di testa nella “polemica” meglio il cinema, no meglio Netflix, li può scalfire davvero. La loro ultima fatica come coppia artistica, come regista a due teste, ovvero “La ballata di Buster Scruggs” è nata come miniserie televisiva composta da sei episodi e poi presentato al celebre festival lagunare come un unico film di poco più di due ore di durata, che è il formato con cui lo trovate su Netflix, forse la sua collocazione ideale, in questa era di “Binge Watching” che altro non è che quello che una volta si chiamava ammazzarsi di TV.
Resta l’annoso problema: questo film si merita (qualunque cosa voglia dire) la proiezione in sala, per il prestigio dei suoi registi e per la qualità generale, oppure va benissimo inscatolarlo e proporlo al pubblico che può spararselo stando spaparanzato sul divano di casa? Se ne facessimo una questione di qualità, il film non è certo uno di quei tanti filmacci (spesso di infimo livello) che trovate pubblicizzati sul paginone della popolare piattaforma di streaming, sta di fatto che Netflix può vantare in catalogo il nuovo film dei Coen e al momento, se volete vederlo, così, oppure ciccia. Tanto ai Coen come al solito, delle umane dispute frega poco o nulla e il loro film è l’ennesima occasione per ricordarci quando spesso come rappresentanti di questa razza, siamo ridicoli e in balìa del Caos (e di suo fratello il Caso), quindi se guardiamo un film sul divano di casa, o in una sala cinematografica, per i due fratelli, è davvero l’ultimo dei nostri problemi.
“The Ballad of Buster Scruggs” è un ritorno per i Coen al western che hanno prima smontato e ricostruito in chiave moderna con quella bomba di Non è un paese per vecchi e di cui hanno decantato le lodi di un’era al tramonto con il bellissimo Il Grinta, uno di quei remake ben fatti che non vengono mai citati quando si parla di… Beh, remake ben fatti.
Ancora una volta con questo film quasi antologico, i Coen fanno i conti con il genere con cui ogni regista americano prima o poi sembra tenuto a confrontarsi, lo stesso che ogni tanto viene dato per morto, invece, guarda un po’, è sempre qui in attesa di qualcuno pronto a riportarsmci nel vecchio West e visto che i Coen ormai hanno parecchia esperienza con questo genere, possono permettersi di omaggiarlo, sbeffeggiarlo in modo amichevole come si fa tra vecchi amici, ma anche utilizzarlo per continuare a parlare delle loro ossessioni cinematografiche, “The Ballad of Buster Scruggs” sono i Coen che pescano un vecchio libro illustrato pieno di storie Western e decidono di raccontarcene qualcuno, infatti inizia proprio così, con un libro.
Avete presente il Robin Hood della Disney che iniziava con un grosso libro che si apriva e dava il via alla storia, i Coen fanno lo stesso, il primo racconto estratto è quello che dà il titolo al romanzo ed è anche il più comico di tutti. Vediamoli uno per uno.
The ballad of Buster Scruggs
Buster Scruggs è un po’ come il Cantagallo del citato film Disney, pomposo nel vestire nel suo abito completamente bianco, in testa uno Stetson come tanti cowboy del cinema dei Coen che vaga per il west con una chitarra e una sei colpi, rivolgendosi direttamente allo spettatore. Uno sbruffone di prima categoria con fin troppi soprannomi (uno più scemo dell’altro) che spara come un fulmine e canta come un usignolo, spesso anche contemporaneamente, a differenza del “Johnny Guitar” (1954) del film diretto da Nicholas Ray che invece, si rifiutava di farlo.
Sfoggiando l’arroganza di chi sa di essere bravo, Buster Scruggs non si fa problemi a sfidare disarmato un losco figuro come “Surly Joe” (il mitico Clancy Brown anche se qui si ironizza sul suo essere immortale) e poi sbeffeggiarlo dando il via ad un momento musical sul suo defunto nemico. Considerando che questo chiacchierone canterino bianco vestito è interpretato da Tim Blake Nelson, uno degli attori feticcio (e canterino) dei Coen, verrebbe da pensare di vederlo fare da narratore di tutto il film, ma sapete come funziona nel West, quando ti fai un nome come pistolero più veloce in circolazione, no?
I fratelli Coen hanno sempre dichiarato che uno dei loro western preferiti è L’uomo dai sette capestri, per via delle sue notevoli trovate comiche (storia vera) qui sembrano pescare, ancora una volta dal film di John Huston, aggiungendo, però, molte più canzoni, un po’ come a volerci ricordare che per ogni spaghetti western pieno di personaggi buoni, brutti, sporchi e cattivi, ci sono anche western canterini come “La ballata della città senza nome” (1969), oppure i “musicarelli” con Roy Rogers, sì, quello delle giacche con i lustrini. Insomma un inizio leggero, spassoso e con parecchi morti, perché come dice Spike Lee: nessuno ammazza la gente al cinema con la freddezza con cui fanno i Coen, due veri pistoleri.
Near algodones
Il rapinatore di banche James Franco (quando ancora aveva una carriera) viene messo in fuga da un banchiere zelante armato di ehm, pentole. Condannato all’impiccagione, si salva la pelle all’ultimo minuto solo per un provvidenziale e fortunato intervento di alcuni Comanche piuttosto incazzati, gli agenti sul campo dell’amato Caso dei Coen, ma pensate che sia finita sul serio?
Con questo episodio, l’aspetto generale del film comincia già ad assomigliare a quello del vostro western classico, malgrado l’elemento di satira di fondo, per il resto siamo in piena “Zona Coen”, il destino è sempre beffardo e per quanto tu ti possa agitare per cambiare la tua condizione in modo truffaldino, potrai farci davvero poco, un po’ il tema alla base di uno dei miei Coen preferiti, A Serious Man. Che volete farci? Il pessimismo cosmico ha una certa presa sul sottoscritto.
Meal ticket
Un impresario senza nome (ma con il nasone di Liam Neeson) porta il suo spettacolo “Il tordo senza ali” in giro per i paesini del West. Lo show prevede un lungo monologo di un ragazzo inglese di nome Harrison (la faccia buffa di Harry Melling) mutilato senza braccia né gambe, ma capace di citare i versi di Shakespeare e della Jackson a memoria. Fino al giorno in cui il pubblico non inizia a sviluppare più interesse per un “Cappone pitagorico”, un pennuto che si esibisce facendo semplici operazioni matematiche.
Se non fosse per l’ambientazione, il segmento meno western di tutti, ma quello forse più significativo, perché nel suo simbolismo abbastanza spiccio, i Coen, come al solito, non le mandano a dire, una critica a come l’arte venga considerata meno rispetto ad un tipo d’intrattenimento molto più facilone e anche se forse non è la più raffinata delle critiche, ci vedo una certa coerenza. In fondo, da Barton Fink in poi, i due fratelli del Minnesota non sono mai stati teneri con l’industria dell’intrattenimento.
All gold canyon
Il vecchio cercatore di ore Tom Waits (applausi, grazie!) in un’immacolata e paradisiaca valle, scava, riscava, lotta e persevera per trovare il filone d’oro giusto che cerca da tutta una vita, a mani basse forse il segmento migliore di tutto il film, ma anche senza forse.
Tom Waits entra in scena, ovviamente, cantando, nulla a che vedere con le trovate sopra le righe del collega cantante Buster Scruggs, questo episodio sembra una partita a “Gold miner” filtrata dalla sensibilità dei Coen, con un colpo di scena mica male verso la metà che vi farà affezionare al caparbio minatore, al resto ci pensano la regia dei Coen e il lavoro del loro nuovo direttore della fotografia di fiducia Bruno Delbonnel (quello dei loro ultimi film) che rendono questa porzione di film davvero ottima, oltre a quella più in linea con le tematiche dei Coen, abbiamo chi cerca di cambiare la propria condizione in modo serio, lavorando e chi invece, prendendo scorciatoie, anche qui non mancheranno i morti ammazzati.
The girl who got rattled
Ci mette parecchio ad ingranare questo segmento, il viaggio verso l’Oregon di Alice Longabaugh (Zoe Kazan) di suo fratello e del cagnetto abbaione Presidente Pierce, richiede un po’ di tempo prima di entrare davvero nel vivo, almeno finché non arrivano in scena i due pistoleri, ben più adatti alla vita nelle grandi praterie, Billy Knapp (Bill Heck) che si prende una cotta per la giovane ragazza e il tostissimo mister Arthur (Grainger Hines) personaggio che parte in sordina e poi si prende il testimone di tutto l’episodio.
Insieme al segmento con Tom Waits, senza ombra di dubbio il mio preferito di tutto il film, anche solo per l’ottimo finale, dove i fratelli Coen dimostrano di avere davvero il passo giusto per dirigere i film Western, una lunga sequenza d’azione con mister Arthur, Alice e parecchi nativi incazzati è il momento migliore di tutto il film e il finale, anche se annunciato dalle pagine del (finto) libro, una discreta mazzata sui denti. Vi ho già detto che gli ottimisti per natura con i Coen cascano male, vero? A questo proposito l’ultimo segmento porta avanti questa tesi.
The mortal remains
Su una diligenza in corsa, alcuni personaggi discutono della vita, l’universo, tutto quanto, ma soprattutto della morte, considerando che a bordo ci sono un Inglese (Jonjo O’Neill), un Francese (Saul Rubinek) ed un Irlandese (Brendan Gleeson) sembra una barzelletta ed, in effetti, il finale beffardo non manca, così come non manca la strizzata d’occhio ad una situazione che ricorda molto “Il carretto fantasma” (1921), oppure perché no, un film di Mario Bava per non parlare dei grandi classici Western con protagonisti a bordo di una dirigenza, sì, sto pensando a John Ford ovviamente.
I Coen partono da una situazione di partenza che è un classico del genere Western: la diligenza piena di borghesi che sembra uscita da “Ombre rosse” (1939) ma poi mescolano il tutto con una scena in particolare, molto, ma molto famosa di Il senso della vita (non vi dico quale per non rovinarvi la sorpresa), il risultato è qualcosa che sa di racconto biblico, avete presente il prologo in odore di Mario Bava del già citato A Serious Man siamo più o meno da quelle parti, l’umorismo nero nei fratelli Coen non manca mai di tornare a grattare alla porta.
“The Ballad of Buster Scruggs” non verrà ricordato forse tra i migliori film dei Coen, ma è un omaggio al western e la dimostrazione che il Re di tutti i generi cinematografici sta benissimo, aspetta solo autori capaci di pescare dal libro delle storie per portarci nuovamente nella frontiera. Sullo stato di forma del cinema dei Coen, invece, ho pochi dubbi, anche i loro film meno famosi, restano da vedere e questo continua la tradizione d’altra parte lo sappiamo che nel West, se la leggenda diventa realtà, vince la leggenda, quindi tanto vale che dal libro delle leggende, siano i Coen e pescare, poteva andarci decisamente peggio credetemi, ben felice di avere anche loro qui sulla Bara Volante con una monografia tutta loro.
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