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La bambola assassina (1988): trent’anni e porta ancora la salopette

Trovo sorprendente il fatto che tra tutte le grandi maschere horror, Chucky la bambola assassina goda di una fama quasi illimitata. Presso il grande pubblico qualcuno ancora confonde Jason con Faccia di Cuoio, ma Chucky? Tutti conoscono la sua zazzera color carota e la propensione per le parolacce e l’omicidio.

Anzi, penso che il concetto stesso di “Bambola assassina” sia diventato una specie di modo di dire per indicare qualcosa di così candido, da risultare comunque spaventoso e, forse, la forza del personaggio è davvero tutta qui. Ora, io che sono delicato come un vichingo, non sono molto avvezzo ai soprammobili di decoro, però sarà capitato anche a voi di imbattervi in qualcuna di quelle bambole da esposizione che, malgrado le faccette sorridenti, ti fanno comunque venire voglia di voltarle con la faccia verso il muro, perché di essere fissati da quegli occhietti, uhm, magari anche no, grazie.

Da 30 anni il nostro Chucky vive di prepotenze lavorando su questa inspiegabile fobia tutta umana, la sua saga tra alti e bassi gode ancora di buona salute, l’ultimo capitolo in ordine di tempo (il settimo) intitolato Il culto di Chucky è uscito pochi mesi fa, dimostrazione che una formula vincente dura nel tempo e le idee semplici, sono sempre le migliori, quindi mi sembra il momento giusto per fare gli auguri ad un film con un soggetto davvero lineare, ma capace di resistere alla prova del tempo diventando mitico!

Pensate che solo Freddy Kruger possa permettersi un maglione a righe?

Questo colpo di genio lo dobbiamo quasi esclusivamente a Don Mancini che, non a caso, ha praticamente dedicato vita e carriera a Chucky, mettendo la sua firma su quasi tutti i capitoli della saga, cosa volete dire a uno che nella sua foto su Imdb si fa ritrarre con un bambolotto “Tipo Bello”? Niente alla fine ha ragione lui. Anche se il merito della riuscita di questo film va diviso con uno specialista come Tom Holland che ai tempi era ancora fresco fresco del successo di un classico come “Ammazzavampiri” (1985) titolo che sarebbe pure ora mi decidessi a portare qui sulla Bara.

«Mani in alto Cassidy! Qui nessuno esce finché non ti sei rivisto anche Ammazzavampiri!»

L’idea originale di Don Mancini, bisogna dirlo, era un pochino diversa, una satira che utilizzava il commercio di giocattoli per farsi beffe del consumismo spietato, ma in corso d’opera la sceneggiatura cambiò molte volte ed insieme a lei la lunghezza totale del film che secondo la prima stesura sarebbe dovuto durare più di due ore. Tra le cosette tagliate anche la morte della babysitter del piccolo Andy scena che, però, è stata poi portata in scena del quarto film della saga La sposa di Chucky, ma anche il titolo di lavorazione del film è cambiato varie volte, pare che il primo fosse “Blood Buddy” modificato al volo perché ricordava davvero troppo il pupazzo venduto dalla Hasbro, My Buddy toy che, per altro, vestiva con una maglia a righe e una salopette, proprio come Chucky. Voi non avete idea di quanto io sia stato felice negli anni ’90 di veder tramontare la moda della salopette, una gioia non potete capire!

Con quella sua adorabile faccetta in stile, lunedì mattina al lavoro.

Eppure, tutti questi rimaneggiamenti nel film non si notano affatto, la durata finale di 87 minuti è quella giusta per una storia che, come capita spesso con gli Slasher (ad Halloween viene mossa la stessa tipologia di accusa), risulta scontata, ma solo perché il film ha saputo aprire la strada a tutti (tanti!) quelli che dopo l’hanno seguita. Per quanto mi riguarda “Child’s Play”, da noi adattato con il ben più diretto “La bambola assassina” funziona alla perfezione, ha un ottimo ritmo e sembra la classica storia che funziona per contrasti, cos’hanno in comune un adorabile bambolotto con i capelli color carota e il famigerato strangolatore del lago che terrorizza la zona di Chicago? Niente vero? Ma quando due idee opposte trovano un punto di contatto, di solito nascono le buone storie, in questo caso di paura.

Ed è proprio così che inizia “Child’s Play”, con lo strangolatore ormai alle strette in fuga per le strade della “Città del vento” inseguito dal suo personalissimo “Ginko”, ovvero il detective Mike Norris, interpretato da Chris Sarandon che ha accettato di buon grado il ruolo perché dopo il vampiro di “Ammazzavampiri” e soprattutto lo stronzissimo principe di La storia fantastica era alla ricerca di un ruolo positivo per interrompere la striscia negativa aperta (storia vera).

«Fermati fatti arrestare!» , «Piuttosto passo il resto dell’eternità in salopette!»

In realtà, da spettatori non conosciamo nessuno dei due personaggi, ma basta un inizio così per capire che tra i due c’è stata una lunga partita a scacchi, la crescente fama dello strangolatore andava di pari passo con i morti ammazzati lasciati alle sue spalle ed ogni cadavere dell’assassino è una sconfitta personale per il detective, tutta questa parte è talmente insita nei personaggi che non serve nemmeno raccontarla, basta vedere come i due si inseguono per capire tutto, ma con le spalle al muro lo strangolatore Charles Lee Ray si rifugia nel posto più improbabile del mondo: un negozio di giocattoli.

Con una zazzera notevole e la sua riconoscibilissima faccia stropicciata, troviamo quel gran mito di Brad Dourif, magari lo conoscete per la parte di Billy in Qualcuno volò sul nido del cuculo, i più giovani magari lo ricorderanno per il ruolo di Grima nella trilogia de “Il Signore degli anelli”, ma se chiedete a me Brad Dourif sarà per sempre la voce di Chucky, perché negli affannati panni di Charles Lee Ray lo vediamo pochi minuti, ma ha prestato la sua voce alla bambola assassina in TUTTI i film della saga e considerando che negli ultimi due capitoli, ci recita pure sua figlia Fiona Dourif, direi che Chucky a casa Dourif è praticamente uno di famiglia.

Brad Dourif nel film si vede poco, ma la sua voce si fa sentire parecchio.

Ferito a morte e senza scampo Charles Lee Ray si gioca l’ultima carta, il voodoo! Sì, perché oltre ad avere un nome che è il frutto dei maggiori spauracchi americani (un misto di Charles Manson, Lee Harvey Oswald, l’assassino di Kennedy e James Earl Ray, quello di Martin Luther King), il nostro strangolatore ha anche questo asso nella manica ed invocando qualche divinità dimenticata («Ade due damballa! Dammi la forza di cui ho bisogno, ti scongiuro!») trasferisce la sua coscienza in un pupazzo modello “Good Boy” anzi, “Tipo bello” come viene tradotto dal nostro doppiaggio, solo uno dei tanti esposti nel negozio che prende fuoco per effetto di un fulmine evocato da Charles Lee Ray e ciao ciao cadavere, lo strangolatore viene dato per morto, caso chiuso. Detective Mike Norris il caso Charles Lee Ray non è più tuo.

Ti fai incantare dagli occhioni teneroni, ma non era meglio una bella palla da basket?

Sapete chi vorrebbe tanto, ma proprio tanto tanto un pupazzo del tipo “Tipo Bello”? Il piccolo Andy (Alex Vincent) che ha tutto, i cereali “Tipo Bello”, la salopette e il pigiama “Tipo Bello”, ogni mattina segue i cartoni animati del personaggio solo che… Cacchio! Gli manca alla collezione proprio l’ambito bambolotto. Sua mamma Karen (Catherine Hicks, che magari i meno satanisti tra di voi ricordano per la serie tv “Settimo cielo”) si spacca la schiena tutti i giorni al lavoro per risparmiare i cento ex presidenti morti stampati su carta verde del costo della bambola, quindi quando ne trova una, venduta per soli trenta dollari, da un losco barbone vicino al suo posto di lavoro, che fa? Non la porti a casa per far contento il piccolo Andy? Quando il prezzo è così buono di sicuro arriva la fregatura, noi abitatori di uno strambo Paese a forma di scarpa lo sappiamo bene!

Se costa poco, di solito vale anche poco, poi fai come credi.

Quando si tratta di bambini al cinema, è un attimo che scadano nell’odioso, invece incredibilmente Andy è davvero adorabile, sul serio, mai una parola fuori posto, preciso, ordinato, corre a lavarsi i denti senza che nessuno glielo dica e non fa mai un capriccio, proprio per questo nel film gli succederà di tutto e nessuno crederà al fatto che Chucky parla davvero, non solo con le tre frasi registrate che ogni bambola “Tipo Bello” pronuncia. Se il piccolo Andy fosse stato uno stronzetto, saremmo stati tutti qui a fare il tipo per Chucky, invece il povero Andy è azzeccatissimo e quando lo rinchiudono in un manicomio criminale con tanto di enormi inservienti, in mezzo a pazienti adulti visibilmente pazzi, tu stai lì in poltrona a gridare: «Ma perché?? È un bambino! Perché lo avete chiuso in quel postaccio?!». Insomma, se Charles Lee Ray diventa la bambola che dice di chiamarsi Chucky, tu spettatore ti trasformi nella signora Lovejoy dei Simpson!

Non sono un gran appassionato di bambini, ma questa è crudeltà cazzarola!

Ecco, visto che li ho citati affrontiamo la questione. “La bambola assassina” parte da una premessa assurda: un serial killer intrappolato nel corpo della bambola che tutti i bambini desiderano, sul serio, sembra il soggetto per uno degli speciali di Halloween dei Simpson per quanto risulti strampalato come punto di partenza, eppure ogni parte di questa stramba barzelletta va al suo posto, i pochi attori attorno a cui ruota questo dramma con omicidi funzionano alla grande, il resto lo fa il polso di Tom Holland dietro la macchina da presa e l’assoluta riuscita del personaggio di Chucky.

Michael Myers è silenzioso e inarrestabile come il male stesso, Jason Voorhees una montagna umana efficiente come una mietitrebbia, Freddy Kruger è quello che ti toglierà per sempre il gusto di dormire e Faccia di cuoio quello che farà di te un vegano, Chucky invece? Ah beh, Chucky è tutta un’altra faccenda, per prima cosa è piccolo, può nascondersi sotto il letto, sotto il divano o sui sedili posteriori della nostra auto, inoltre oltre al fatto che nessuno vi crederà quando racconterete di essere stati aggrediti da un pupazzo “Tipo Bello”, volete mettere la frustrazione? Una cosa è essere sopraffatto da un Cristone come Jason, un’altra andare sotto contro un pupazzetto altro 50 centimetri, per altro, con indosso una salopette! Volete mettere la frustrazione?

«Chi vuole fare a fettine il fidanzatino di Barbie?»

Queste sono proprio le armi con cui Chucky colpisce le sue vittime, Tom Holland è bravissimo a scegliere tutti gli angoli di inquadrature giuste, se Carpenter ci dava la sensazione che le vittime di Myers fossero sempre spiate, Holland in maniera più rustica, ma comunque efficace, ci fa capire che Chucky è sempre in agguato, ma con soggettive ad altezza bambino che cambiano tutta la prospettiva, un punto di vista più… Beh, basso rispetto al vostro normale Slasher.

In sé Chucky è realizzato alla grande, un astuto utilizzo di trucchi vecchia scuola realizzati da Kevin Yagher, lo stesso di Venerdì 13 parte IV – Capitolo finale e Starship Troopers che per l’occasione ha realizzato fino a nove versioni della bambola, un misto di trucchi animatronici che è l’ennesima conferma di un concetto che ormai dovrebbe essere chiaro a tutti. Gli effetti speciali analogici di trent’anni fa, sono comunque meglio dell’altrettanto costosa CGI moderna, che se va bene dura cinque anni poi è già superata.

Animatronici di trent’anni fa > CGI moderna (concedetemi un giovanilismo)

Di sicuro non sono i colpi di scena della trama di “La bambola assassina” quelli che sorprendono, lo svolgimento dopo trent’anni è diventato talmente canonico da risultare poco originale come si diceva all’inizio, però ogni omicidio è ben realizzato e nemmeno per un secondo ci scappa la risata involontaria quando quel pel di carota plasticoso attacca un adulto, il che è un ottimo risultato per un film di questo tipo.

Chucky, inoltre, funziona alla grande perché quando quella sua faccetta sorridente inizia a cristonare come uno scaricatore di porto con il vocione di Brad Dourif, l’orrore viene fuori per contrasto ed il gioco è fatto, con il passare dei minuti finisci per affezionarti ai personaggi, quindi quando Chucky si esibisce nella sua personale versione della porta da abbattere a coltellate, sei troppo coinvolto per pensare a paragoni arditi con Shining, sei troppo impegnato a gridare a tua volta: «La pistola Andy! Prendi la pistola!», insomma un’idea semplice e una realizzazione competente possono sembrare poca roba, ma non lo sono per niente, se dopo trent’anni Chucky è ancora un mito un motivo ci sarà, no?

Here’s Johnny Chucky! (Quasi-Cit.)

Il finale, poi, lo trovo particolarmente azzeccato. Anche qui, nulla di nuovo, lo sappiamo tutti che gli assassini degli Slasher bisogna abbatterli due volte, la prima non sarà mai la morte definitiva del personaggio. Qui un Chucky bruciacchiato torna come da copione, ma per una volta a muoverlo non è la voglia di uccidere a tutti i costi, anzi il contrario, Charles Lee Ray vuole vivere e di certo non nel corpo di una bambola di plastica! Quindi, la sua determinazione è la stessa che all’inizio film lo ha portato ad usare il Voodoo pur di non abbandonare questa valle di lacrime, la scena del camino è una vera bastarda, spalle al muro Chucky si gioca l’ultima carta, fare leva sui sentimenti di Andy («Andy no ti prego, fino alla fine amici sarem ti ricordi?») che alla Sarah Connor risponde con la sua personale versione di «Sei tu terminato, bastardo!» e chiude i giochi, anche se trovo azzeccatissimo il fatto che l’ultima inquadratura Tom Holland la dedichi proprio allo sguardo del bambino, un’infanzia spezzata e una vita in soldi spesi dallo psicologo.

Il T-800 più basso del mondo!

Menzione speciale per il tema musicale composto da Joe Renzetti, non la solita cantilena bambinesca che ti aspetteresti da un film come questo, una roba molto più spettrale del suo incedere, a suo modo, la versione distorta di una ninna nanna, azzeccatissima considerando che l’assassino del film è la versione distorta di un giocattolo per bambini.

“La bambola assassina” al netto di un budget di circa 9 milioni di ex presidenti spirati stampati su carta verde, fa il vuoto ai botteghini portando a casa più di 40 milioni, un successo che travolge anche “Dolls” (1987) di Stuart Gordon, relegato eternamente (ed ingiustamente) a secondo horror con bambole più famoso della storia del cinema, altro titolo che meriterebbe dello spazio qui sopra. Per ora, invece, facciamo gli auguri a Chucky che non è detto non tornerà a trovarci su queste Bare, alla fine se dopo trent’anni ancora lo ricordiamo, vuole dire che per certi versi, Charles Lee Ray è riuscito a vivere in eterno, anche se con addosso una salopette!

«Grande Damballa io ti invoco, fai passare a Cassidy la sua ossessione per le salopette!»
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