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La carica dei cento e uno (1961): rendere a macchie il mondo

Pablo Picasso, Marilyn Monroe e John Wayne sono i tre nomi
che non vi aspettereste di trovare in un post che molto probabilmente non vi
sareste mai aspettati di trovare sulla Bara Volante, ma in passato ho osato anche di più e poi, sono in
missione per conto dei “macchiazza”.

Quando circa all’inizio dell’anno Lucius mi ha avvisato dell’anniversario dei cinquant’anni
dell’uscita italiana di “La carica dei cento e uno”, la data del 23 dicembre 2020 è diventata una specie di tormentone a casa Cassidy, dove
di dalmata ne abbiamo una sola che, però, vale per 101 visto che mai come
quest’anno la sua salute è stata più indecisa del colore del suo manto ed un
paio di volte, l’abbiamo presa per la coda. Quindi per buona parte del 2020
l’obbiettivo è stato far arrivare Dina a questo traguardo, lei ci è arrivata,
noi siamo abbastanza degli stracci, ma con un Dalmata è così, agenti del caos
maculati con un solo obbiettivo: rendere a macchie il mondo.

Vedete tutto in bianco e nero? Benvenuti nella vita di un “dalmatista” medio.

La verità è che tra i classici Disney visti e rivisti
durante la mia infanzia, “La carica dei cento e uno” non entrava nemmeno tra i
primi dieci, un film che ho visto per bene solo molto tardi e più che altro
perché la vera esperta di macchiazza a casa è la mia Wing-woman, ma con il
tempo questo film è diventato uno di quelli che come avrebbe detto Er Piotta “Io
non ho visto, l’ho vissuto”, quindi per la sua importanza nella cultura popolare,
per aver contribuito a rendere popolare una razza specifica (ben prima dei
pesci pagliaccio di Nemo) e per motivi puramente affettivi, rompiamo questa
dicotomia di bianco e nero con il rosso del logo dei Classidy!

I Dalmata sono riusciti a portare lo scompiglio anche nella
lunga tradizione di Walt Disney, i cui primi sedici classici, ad esclusione di
uno estremamente lisergico, erano
quasi tutti tratte da fiabe molto popolari, anche se dopo il mezzo disastro al
botteghino del costoso “La bella addormentata nel bosco” (1959) la musica è
cambiata, per il loro classico numero diciassette (e che numero avrebbe potuto
essere se non questo per gli sfigatissimi Dalmata?), il materiale di
riferimento è diventato il romanzo “I cento e un dalmata” di Dodie Smith,
un’altra che nella vita vedeva tutto in bianco e nero.

Alcuni personaggi del film “Lilli e il Vagabondo” (1955) tornano a trovarci (ringrazio gli autori dell’immagine cinofila e cinefila)

Sì, perché l’idea per il romanzo venne suggerita alla
scrittrice grazie alle giornate passate con il suo Dalmata, se volete sapere
chi è la responsabile del fatto che mille milioni di macchiazza nel mondo si
chiamino Pongo, ora lo sapete: Dodie Smith è la prima ad aver chiamato così il
suo cane creando la tendenza. Anche se il momento chiave è stata una delle sue
cucciolate, la leggenda vuole che un amico della scrittrice, davanti a tutti
quei cuccioletti, se ne uscì con un’affermazione del tipo: «Facciamone una
pelliccia!» che, poi, è quello che minaccio io a Dina ogni volta che ne combina
una delle sue, quindi francamente in questa leggenda, vedo tracce abbondanti di
verità.

Il resto, come si dice in questi casi, è storia, anzi romanzo,
perché malgrado alcune differenze sostanziali (i Dalmata adulti nel libro sono
quattro) la Disney si è interessata subito alla storia e dei tre registi
impegnati a portarla sul grande schermo, Hamilton Luske e Clyde Geronimi e Wolfgang
Reitherman, il più interessante è l’ultimo, futuro responsabile di titoli come
“La spada nella roccia” (1963), “Il libro della giungla” (1967), la risposta
gattofila a questo film ovvero “Gli Aristogatti” (1970) e “Robin Hood” (1973),
quindi per quello che mi riguarda il meglio della produzione Disneiana.

Prova di accuratezza No. 1: i dalmata sono teledipendenti.

Ora, non ho pretese di fare il Piero Angela della
situazione, ma pensateci un attimo: nella savana che si estende a perdita
d’occhio, uno dei predatori più letali è il velocissimo Leopardo con il suo
arrogantissimo manto “animalier”. Nella giungla verdastra, le strisce arancioni
della tigre non aiutano a mimetizzarsi, al massimo a disorientare le prede e
poi ci sono i Dalmata… Dei cani che ancora non si sono decisi se essere bianchi
o neri (in alternativa, disponibili anche bianco e fegato) come in un pezzo di
Michael Jackson. Cosa ci insegna tutto questo? Che se Madre Natura nella sua
saggezza, dona ad un animale un manto che lo rende piuttosto vistoso, non lo fa
per aiutarlo a nascondersi, ma solo per sottolineare a tutti gli altri che se
vedete strisce, pallini e pois, quelli in pericolo siete voi!

Andare in giro con un Dalmata al guinzaglio dovrebbe essere
considerato sport estremo, visto che sono dei tiratori compulsivi in grado non
dico di staccarti gli arti, ma per lo meno di contribuire all’allungamento
degli stessi. Inoltre, aggirarsi per le strade con un macchiazza ti rende un
bersaglio mobile per un paio di tipologie di pubblico: appassionati di calcio e
bambini.

Prova di accuratezza No. 2: sono animali fisici e dormono uno sopra l’altro.

I primi li riconosci anche in base alla loro “fede”
calcistica, per alcuni il tuo amico a quattro zampe sarà “il cane della Juve”
(anche se è bianco con i pois fegato) per tutti gli altri sarà un bel cane,
malgrado i colori, ma i bambini sono quelli che verranno attratti dal vostro
Dalmata come calamite, i più giovani e futuristi vi daranno del “Poupatro” che
io inizialmente pensavo fosse una di quelle parole scherzo tipo «Poupatro»,
«Cosa?», «Suuuuca!» in realtà ho poi scoperto essere questo attrezzo qui. Ma soprattutto il coro di voci dell’Antoniano
che si alzerà al vostro passaggio invocherà La carica dei 101, con Dina
additata come un “Pongo” (mai una “Peggy”), perché lo standard disneiano impone
i maschi molto macchiati con le orecchie nere e le femmine con sei pois totali
e le orecchie bianche. Su Internet fanno proteste per ogni tipo di
rappresentazione nei personaggi nei film, ma non sentirete mai un “Dalmatista”
farlo, il Dalmatista medio non ha tempo per le polemiche, deve badare al cane
evitando quelli che gli dicono «Poupatro», «Cosa?», «Suuuuca!».

“Cassidy non si dicono certe parola, potrebbero leggerci i bambini”

Per questo “La carica dei cento e uno” non è un film, è uno
specchio, non un Black Mirror, direi
più un Black and White Mirror della vita di un padrone e del suo servitore, in
cui il padrone è ovviamente quello con i Pois. Rudy Radcliff è uno scapolone
che vivacchia di musica fino al giorno in cui al suo cane Pongo non prendono i
cinque minuti di sistemarlo per la vita, quindi tirandolo al guinzaglio
(ovviamente come un matto) lo trascina al parco dove rispettivamente conoscono
le loro anime gemelle, Anita e la sua cagnetta Peggy. Quindi, se pensate che la
scena dei protagonisti legati insieme dai guinzagli possa essere solo
un’esagerazione ad uso cinematografico, vi assicuro che con la loro giocosa
goffaggine i Dalmata possono fare questo e altro!

Prova di accuratezza No. 3: campioni di “laccio Californiano” al guinzaglio e tiratori compulsivi.

“La carica dei cento e uno” è un film che non risparmia ai
più piccoli l’idea della morte, se pur edulcorata (parliamo comunque di un film
del 1961), quando alla nascita degli otto, dieci, undici… Quindici cuccioli, il
piccolo Lucky sembra non farcela, ma i macchiazza hanno più vite che macchie,
quindi prima di darli per spacciati, pensateci due volte perché sono dei
passaguai di prima categoria!

Fun fact: nel film si possono contare ben 6.469.952 di macchie. Pongo 72, Peggy 68 e 32 per ogni cucciolo.

I diciassette Dalmata (lo vedete che è il loro numero?),
quindici cuccioli e due adulti, incarnano alla perfezione molte caratteristiche
del macchiazza medio, ad esempio sono teledipendenti, attaccati alla loro casa
come pochi (infatti i protagonisti di questo film fanno di tutto per tornarci),
ma soprattutto hanno sempre fame… Se pensate che i cani vivano per mangiare voi
non avete mai visto in azione la fame atavica del Dalmata, quindi per quello
che mi riguarda, il personaggio più significativo di tutto il film è il paffuto
Rolly.

Prova di accuratezza No. 4: una fame atavica!

Anche perché, parliamoci chiaro, la mia fissazione per i cattivi cinematografici trova molto materiale
in questo film, la dimensione di un eroe è data dalla sua nemesi e i 101
Dalmata del film devono vedersela con una delle cattive più iconiche della
storia del cinema, una sorta di Amanda Lear dai capelli bicolore che risponde
al nome di Crudelia De Mon, azzeccatissimo adattamento italiano dell’originale
Cruella de Vil, che rende il nome più facile da pronunciare per le nostre
abitudini senza, però, perdere il diabolico gioco di parole del cognome. Temo
che razza di disastro sarebbe stato questo film doppiato secondo i canoni del
doppiaggio moderno che adatta il meno possibile.

Dritta nel Valhalla dei più grandi cattivi cinematografici di sempre.

Crudelia De Mon è talmente cattiva da guadagnarsi l’unica
canzone di tutto il film, un pezzo così orecchiabile da diventare uno dei più
riusciti di tutta la produzione Disneiana: Crudelia
De Mon, Crudelia De Mon farebbe paura perfino ad un leon
vi si piazzerà in
testa più di qualunque irritante tormentone estivo in salsa latino americana di
Giusy Ferreri, garantito al limone.

Crudelia Fury Road.

La crudele Crudelia (ah-ah!) vorrebbe abbastanza cuccioli
per farsi una bella pelliccia di Dalmata, il che la rende una cattiva ancora al
passo con i tempi nel 2020, vuole scuoiare cuccioli di cane, mi sembra chiaro
che nessuno potrebbe mai scambiarla per la protagonista, infatti i seguiti con
attori e la già annunciata versione in “live action” (che mi fa più paura degli
intenti della signorina De Mon) ruotano quasi tutti intorno a questo
personaggio che è stato impersonato anche nella versione del 1996 da una
bravissima Glenn Close, perché la mania dei rifacimenti con attori dei suoi
classici Disney non l’ha inventata certo negli ultimi anni, ora sta solo
grattando il fondo del barile.

Gaspare e Zuzzurro li ricordavo un po’ diversi.

Per mettere le mani sui cuccioli Crudelia De Mon da brava
“capa” affida il compito ai suoi sottoposti Gaspare e Zuzzurro Orazio
che portano avanti la tradizione degli sgherri disneiani del cattivo di turno
davvero alla grande, ma dove il film si conferma del tutto realistico è nella
banda di animali guidata dal Colonnello (un grosso cagnone da fattoria) affiancato dal Sergente Tibs (un gatto) che di fatto fanno
buona parte del lavoro sporco per salvare i cuccioli permettendo loro di
tornare a casa, perché di suo un Dalmata non farà quasi nulla per salvarsi la
vita, al massimo il contrario, il “Dalmatista” medio illuso vi ricorderà che
sono diventati la razza mascotte dei pompieri americani perché sono gli unici
quadrupedi pronti a lanciarsi nelle fiamme… Sì, ma perché sono privi
dell’istinto di autoconservazione non per altro!

Il gatto è il vero eroe della storia e lo dico da non gattofilo.

Da convivente di una macchiazza (perché i macchiazza non
hanno padroni) posso dirvi che vedere tutti quei cuccioli in fila a camminare
tra la neve ti fa disperare, poveretti, così esposti al freddo e senza nemmeno
un cappottino, loro che sono cani che appena la temperatura scende sotto i 20
gradi è già inverno, insomma questo film per chiunque è un classico, per chi ha
un cane diventa una pellicola in grado di parlarti quasi direttamente e per chi
ha un Dalmata, uno spaccato di vita vissuta. Infatti, proprio come i due
protagonisti (umani), quando questi portatori di caos a macchie entrano nella
tua vita, dopo non potrai fare altro che vedere macchie ovunque!

Vi costerò un botto di veterinario questa assenza di cappottini.

Questo spiega forse perché utilizzando la tecnica della
Xerografia (anche perché disegnare tutti quei pois sai che due pois?), il film
costò relativamente poco per gli standard dell’epoca e della Disney, quattro
milioni di ritratti di ex presidenti defunti stampati su fogli verdi che
trasformarono immediatamente il film in un successo al botteghino e una
macchina macina soldi ancora oggi, provate ad entrare in qualunque Disney Store
del pianeta e troverete lì a fissarvi, macchiazza su zaini e cartelle,
macchiazza peluche, albi da colorare (in bianco e nero), insomma, anche Disney si
è piegata al volere di queste “iene maculate” (cit.), ma vi ero debitore di un
mistero da risolvere, quello con cui ho iniziato e con cui concluderò.

Nero e bianco è uno sballo! (quasi-cit.)

Oltre alle somiglianze ovvie (sono tutti e tre, bianchi,
famosi e defunti), cos’hanno in comune Pablo Picasso, Marilyn Monroe e John
Wayne? Erano tutti e tre schiavi di Dalmata (storia vera). Il che ci porta ad
una conclusione: per avere un dalmata è obbligatorio essere eccentrici,
problematici e probabilmente toccati? No, però aiuta e poi provateci voi a
vivere con un cane che vale per 101, un tipo di esperienza che ti cambia la
vita per sempre ed ora, se volte scusarmi, devo andare a dare da mangiare al
cane.

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