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La Casa – The Evil Dead (1981): nessun posto è bello come casa mia…

1981. Il 15 Ottobre, proprio come oggi, in un cinema del Michigan sta per essere proiettata la prima del film, il regista (anni 20) e il protagonista (anni 21) sono un po’ in tensione. Non per il loro esordio, ma perché la seconda bobina della pellicola non è ancora arrivata, una corsa disperata e un volo aereo da New York e il montatore del film (anni 27) arriva di corsa per consegnare il rullo in tempo. Il film viene proiettato, gli spettatori in sala assistono a qualcosa di MAI visto prima. Il montatore era un ragazzo del Minnesota di nome Joel Coen, regista e protagonista del film, due amiconi di nome Sam Raimi e Bruce Campbell. Il film, anche se quel giorno fu presentato con il titolo provvisorio “The book of dead”, è ovviamente “The Evil Dead” da noi “La Casa”. Classido? Il più facile della mia vita.
 

Ma prima di arrivare alla corsa disperata di Joel Coen, bisogna fare un passo indietro, per trovare i fondi e convincere qualcuno a produrre “The Evil Dead” Sam Raimi e Bruce Campbell nel 1978 hanno prima sfornato un corto intitolato “Within the Woods”, quattro ragazzi, uno chalet e delle entità maligne che lì costringono ad un assedio, la trama è quasi identica a quella di “Equinox” diretto da Jack Woods (occhio al cognome) nel 1970, per tutti i dettagli su questa gustosa somiglianza, vi rimando all’intuizione dell’Investigatore Lucius.

Se Sam Raimi abbia mai visto “Equinox” non è importante, perché il corto convinse il produttore illuminato Rob Tapert, che sganciò la bellezza (si fa per dire) di 350.000 ex presidenti spirati stampati su carta verde per produrre il film, armati di (letteralmente) un pugno di dollari e quintali di talento, i due amici si misero al lavoro… Prossima fermata, storia del Cinema, anche se loro ancora non lo sapevano.

I compagni di scuola che avreste sempre voluto avere.
La rivoluzione cominciò nel 1979, data di inizio delle riprese del film, come location si sceglie uno Chalet nel Tennessee, per due ragioni, la casa sperduta tra le montagne aveva una (abbastanza) comoda strada sterrata per raggiungerla, inoltre da quelle parti gli inverni sono più miti che nel Michigan. Peccato che… Quell’anno fu uno degli inverni più rigidi mai visti nel Tennessee e uno dei più caldi in Michigan… Non è sempre così?

Greetings from Tennessee… Venite a passare i vostri week-end qui da noi!

Forti di una sceneggiatura di ben 50 pagine (12 introduttive, il resto efferatezze di vario genere) si parte tutti per il Tennessee, il casting è stato fatto mettendo annunci nelle bacheche dei campus universitari, ai quali stranamente rispondono delle ragazze anche carine, come Betsy Baker (che interpreta Linda) e Theresa Tilly (Shelly nel film), anche se sul set si sono presentate con i rispettivi (e immagino enormi) fidanzati, come ha candidamente ammesso Sam Raimi anni dopo, venuti a controllare che da quelle parti non si girasse un porno o uno snuff movie.

Si parte come voi o io partiremmo per la gita in montagna, con mezzi propri, l’auto dei ragazzi nel film è la mitica Oldsmobile Delta 88 del ’73 colore beige (o giallo chiaro a seconda di chi la guarda) la giardinetta della famiglia Raimi che è comparsa in praticamente tutti i film del regista, un’icona con i pneumatici che era già mitica prima di diventarlo davvero, infatti era già soprannominata “The Classic”.

La rombante e smarmittante ‘The Classic’ in tutto il suo splendore.
Se vi siete mai chiesti chi siano i due campagnoli che salutano i cinque ragazzi in auto all’inizio del film, sono proprio Sam Raimi e Rob Tapert, per calarsi nel ruolo (il primo di mille mila camei di Raimi) i due si sono tagliati i capelli a vicenda per sembrare più redneck (storia vera).
Sam Raimi è il più giovane dei grandi Maestri dell’Horror, si trova in un bosco con i suoi amici e non è interessato ad una storia con letture di secondo livello come i film di Hooper o Craven, ancora meno a riletture in chiave politica che Carpenter o Romero, lui vuole solo girare e nel film questa cosa è chiara, perché anche rivedendo “La Casa” oggi qualcuno potrà ironizzare sugli effetti speciali, ma nessuno che guarda un film e sa cosa guardare, può mettere in dubbio una cosa: la tecnica registica di Sam Raimi, un talento puro come il primo amore,  una consapevolezza e un controllo dei propri mezzi totale, assolutamente irreale per un ragazzo di 20 anni, con la capacità di dare clamorosi coppini in testa a metà dei suoi colleghi più anziani, ma totalmente privo di spocchia. Dopo aver visionato “Within the Woods” i produttori si aspettavano un ragazzo incazzato con il mondo, una specie di metallaro dedito a venerare Satana nel suo scantinato. Si stupirono di trovarsi di fronte il giovane Sam, uno normale dai modi educati, che ancora oggi è uno dei pochi registi americani che non dirige con berretto da baseball in testa, ma in giacca, camicia e cravatta (storia vera).

Quando pensate di aver avuto una brutta giornata pensate a Bruce Campbell.
La produzione del film fu appena appena complicata, giusto due righe… Lo chalet era molto piccolo, i mobili vennero costruiti dal falegname presente sul set, nel tentativo di dare un minimo di credibilità e far sembrare quella casa “La Casa” del titolo italico, il resto lo fece Sam Raimi, girando tutto in 16mm sì, ma regalando alle immagini una profondità di campo pazzesca, anche dopo 1876 visione del film, ogni volta mi colpisce il fatto che lo chalet sembri vivo, come se dietro ogni porta possa uscire qualcosa pronta ad ucciderti. La costante di TUTTE le volte che ho visto queste film (non propriamente poche) è il fatto che mi viene voglia di gridare ai protagonisti di allontanarsi dalla finestre aperte, per evitare che da quel buio possa uscire qualcosa… Lo faccio davvero giuro!
Allora poco casino lì sotto! Sto cercando di parlare di un classico!
Siccome in famiglia tutti abbiamo qualcuno esperto di bricolage, lo stesso vale per la famiglia Campbell: fu Dan, fratello di Bruce a costruire la terrificante botola, protagonista di alcune delle scene più di strizza di tutto il film, la scala lunga due metri fu infilata in una buca scavata apposta, per dare l’illusione che ci fosse davvero una cantina, le scene ambientate lì, vennero girare dopo, nel garage di Rob Tapert, addobbato a cantina, qui Bruce Campbell girerà la scena del ritrovamento del fucile, o quella fantastica inquadratura a girare, che inizia con Bruce/Ash che gira la testa per guardarsi intorno, fa una panoramica completa della cantina e ritorna sul volto del protagonista, un po’ come se fossimo noi spettatori a guardarci intorno in cerca di minacce, esattamente come fa Ash. Visto di peggio in vita mia.
Il poster strappato di “Le colline hanno gli occhi” fa parte dell’arredamento della cantina, un omaggio/Sfottò a Wes Craven, che anni dopo ha ricambiato il favore, infatti in “Nightmare dal profondo della notte” si vedono delle scene di “The Evil Dead”.

Dritto di Sam Raimi e colpo di rovescio di Wes Craven.
L’esordio alla regia di Sam Raimi è un film completamente visivo, fatto proprio per lanciare in faccia allo spettatore immagini potenti, nella prima parte la tensione è serpeggiante, ma già forte nel suo manifestarsi (le inquadrature rasoterra lungo il bosco) e dopo la mattissima scena degli alberi stupratori, il film esplode, il sangue inizia a scorrere copioso senza fermarsi fino alla fine, l’intento era proprio quello di far scattare una reazione nello spettatore, farlo scappare disgustato dalla sala o inchiodarlo terrorizzato allo schermo. Rob Tapert ancora oggi racconta di un suo amico, che portò una ragazza al loro primo appuntamento al cinema a vedere “La Casa”, risultato: la fanciulla salta sul tipo alla prima scena di paura e resta abbracciata a lui tutto il tempo. Per la nuda cronaca i due sono ancora sposati oggi (storia vera).

Horror: Aiuta le persone ad avere matrimoni felici dal 1981.
Ma veniamo al punto: tante persone quando guardano “The Evil Dead” per la prima volta, ridacchiano degli effetti speciali, ma secondo la mia esperienza, provate a far vedere il film a chiunque, sentirete gli inevitabili commenti su quanto il make up sia datato (non si può fare molto), ma ci saranno anche un sacco di persone che (ma tu pensa!) dovranno rispondere al telefono/andare in bagno/controllare la posta/bagnare i fiori, proprio durante le scene più spaventose, sono pronto a metterci dei soldi. Io stesso, anche dopo mille mila visioni, quando inizia la cantilena della posseduta Linda («Noi ti avremo, noi ti avremo, non ci sfuggirai, quando dormirai…») ancora oggi ho i brividi, e non sono tanti i film in grado di farmi questo effetto.

Tu e la tua stramaledetta cantilena… Brrrrr.

Perché malgrado la giovane età, Raimi dimostrò di conoscere bene l’horror, i suoi trucchi e i suoi codici, di fatto il film non inventa molto a livello di contenuti, la storia è piuttosto standard, ma è nella messa in scena che è rivoluzionario: Raimi inizia ad infettare l’Horror con lo splastick (e raggiungerà il top nel capitolo successivo della trilogia), senza mai scadere nella parodia. Questa non è una Horror-Comedy come ne escono un soldo alla dozzina oggi, ma si tratta di innesti comici (o grotteschi) che lasciano totalmente inalterata la paura, quando “The Evil Dead” deve fare paura, lo fa. Forte.

Per noi oggi è abbastanza normale, ma non oso immaginare le reazioni in sala (dopo l’arrivo di corsa di Joel Coen) quando gli spettatori si trovarono di fronte questa roba, perché lo splatter come lo intendiamo oggi allora non esisteva, se lo è inventato quel ragazzino educato del Michigan, spingendo i corpi nel suo film a fare (e subire) cose pazzesche. Lo schema non è più adolescenti contro assassino inseguitore, ma l’orrore letteralmente entra dentro di loro, li possiede, i corpi vengono deformati, mutati, resi irriconoscibili, ridotti a brandelli e presi a mazzate nemmeno fossero cartoni animati, roba che Willy il coyote quando guarda “The Evil Dead” alza il cartello con su scritto «Auch!»

«Non ci volevo neanche venire in questo cavolo di chalet!»
Raimi dimostra di aver capito che chi guarda gli Horror, spesso reagisce ridendo alle scene e, quindi, lui amministra saggiamente entrambi i registri, ad esempio: la famigerata scena degli alberi, nella sceneggiatura era descritta semplicemente con un “Cheryl esce nel bosco e viene aggredita dagli alberi”, il resto, effetti speciali compresi, fu tutto improvvisato sul set, in un’escalation di grottesca violenza. Qualcuno riderà vedendo la scena, ma l’orrore, vien fuori dal momenti più o meno comici, quindi un attimo prima stai ridacchiando e quello dopo pensi “Gulp” perché è nella commistione di risate e brivido che “The Evil Dead” si guadagna il suo posto nella storia.
Il film è violentissimo, tanto violento che in Germania è stato censurato per anni e uscì per la prima volta solo nel 1993 (!), ma a differenza del seguito, molto più ironico, la violenza e il terrore non sono mai mitigati dall’umorismo. Lo stesso 20enne che si è dovuto inventare lo splatter, ha saputo smontare l’horror e ricostruirlo, rinnovandolo, rendendolo più simile a quello che conosciamo oggi, il tutto sempre orientato a voler girare, riempiendo lo schermo di immagini iconografiche create con davvero nulla: quattro amici in un bosco che non hanno niente da perdere, ma sono carichi di talento e di voglia di fare.

Vieni a vedere “La Casa” insieme a noi…
Bruce Campbell inizia qui il suo camminato per diventare “The King”, il suo Ash non è il personaggio iconico che conosciamo, al pari del libro, il Necronomicon direte voi… “Eh No!” (citando mio Zio), quello compare solo nel secondo capitolo, in questo film si parla di un antico libro sumero chiamato “Naturon Demonto” che, però, nel doppiaggio italico non viene mai citato… A proposito di doppiaggio: ogni volta che guardo il film mi sembra che gli amici del protagonista lo chiamino “Nash”, ma forse sono solo io che sono sordo, mi pare che gli unici a chiamarlo con il suo nome corretto siano i demoni… Il che se ci pensate è davvero inquietante.
L’Ash (senza la N) di questo film è uno normale, più interessato a passare un romantico fine settimana con la fidanzata, uno particolarmente caramelloso vista la scena del ciondolo (che prima lo turba a poi gli salva la vita), la prima volta che vede una delle creature, malgrado Scotty gli gridi di colpirlo lui fa quello che farebbero in molti nella stessa situazione… Resta paralizzato. Dovrà imparare presto a combattere per sopravvivere, in un curioso caso di “Final Boy”, vogliamo annoverare anche questa tra le novità inventate da Raimi?

Quando (non era ancora) Re.
Il bello è che Campbell di recitare non aveva molta voglia, fu convinto dall’amico Sam, sulla base del fatto che Bruce era quello che piaceva alle ragazze, un po’ come accadde tra John Carpenter e Nick Castle. Che figata deve essere stato quel set? A parte la totale follia dei due amici, la mia storiella preferita è quella in cui Bruce fa la faccia drammatica e poi chiede al suo regista: “Com’ero? Convincente?” e Sam gli risponde: “La tua faccia drammatica è uguale a quella che hai quando sei sbronzo” (storia vera).
Proprio l’atmosfera quasi famigliare fu la base della riuscita del film: quel misto di follia e arte Zen di arrangiarsi. All’epoca uno dei fratelli di Sam, il grande Ted, aveva 15 anni e venne impiegato in praticamente ogni cosa durante la realizzazione, tipo far spuntare una mano dalle assi del pavimento per afferrare Ash, oppure farsi inquadrare le gambe al posto di quella di quella di Scotty, perché nel frattempo, l’attore che lo interpretava, Richard DeManincor aveva agguantato l’assegno e se l’era filata da quel branco di matti. Sì, perché gli attori sparivano dal tostissimo set e fu sfruttato il make up per sopperire alle assenze. Se Sam Raimi ha portato la macchina sul set, il registratore con la voce registrata che evoca il male era del nonno di Bruce Campbell, i due amici lo usavano per rimorchiare le ragazze… Se qualcuno è in grado di spiegarmi come, mi farebbe un piacere, sono anni che me lo chiedo.
Bruce riascolta le registrazioni delle sue conquiste amorose.
Un set povero e fatto tra amici, il sangue (usato a litri) fatto utilizzando un misto di sciroppo di melassa e caffè macinato, gli inquietanti occhi bianchi dei demoni erano delle spesse lenti a contatto di plastica, che provocarono più di una congiuntivite agli attori, anche perché l’addetto a metterle e toglierle era Bruce Campbell che girava per il set improvvisandosi oculista, magari imbrattato di sciroppo di melassa. La cosa
divertente che confessò Raimi è che da quelle lenti non si vedeva un’infiochettatissima, quindi il regista metteva un coltello in mano alle attrici e diceva: “Cammina avanti a te agitando il coltello”… All’amico Bruce, invece, diceva solo di non farsi colpire.
Incuranti del pericolo come solo due 20enni possono essere, alcune delle inquadrature più esaltanti del film (e sono tantine) sono state ottenute ignorando sistematicamente le regole della sicurezza, ma anche del buon senso. Quando il male si avvicina allo chalet velocissimo volando a pelo d’acqua, all’inizio del film? Sam Raimi, telecamera in mano sdraiato su un asse di legno e Bruce dietro a spingere immerso nell’acqua gelata.

Non è una scena di “Southern comfort” è Sam Raimi con il produttore e il resto della troupe.
La celeberrima inquadratura in cui l’oscura presenza striscia nel bosco rasoterra (per altro vista poi identica in “Arizona Junior” di Ethan e Joel Coen… No, non è un caso) ottenuta con la solita tavola di legno, la telecamera di Sam Raimi sopra e Bruce a correre come un disperato. Avete presente l’inseguimento con gli Speeder de “Il ritorno dello Jedi”? La versione low cost.
La più emblematica è la scena in cui Ash spara fuori dalla finestra, rivolto dritto di fronte alla telecamera… Ottenuta nel modo più facile del mondo: Bruce Cambell dentro a sparare, Sam Raimi e il cameraman fuori in direzione dello sparo. Pazzi, furiosi, ora, però, sono un po’ in ansia perché Bruce e Sam stanno bene, ma non ho trovato notizie sul cameraman.

“Ho sentito un rumore…. Non sarà mica il cameraman?”.
Ci devono essere poche cose più soddisfacenti per chi fa cinema, che girare con i tuoi amici, con totale libertà creativa, inventandoti tutte le soluzioni a problemi quotidiani sul set usando solo l’ingegno e l’incoscienza, ritrovarsi di notte, da soli al freddo e ricoperti di sangue finto, come i protagonisti del film. Quando si guarda “The Evil Dead” (il titolo italiano appiattisce e confonde, motivo per cui di questo film esiste una serie apocrifa) c’è chi ridacchia (pochino) per gli effetti speciali, c’è chi va in bagno quando Linda inizi a cantare (se arriva in tempo…), c’è chi giustamente si esalta giustamente per il talento registico sovrannaturale di Sam Raimi,  per me “The Evil Dead” è questo, ma soprattutto il caso più emblematico di come si fa il Cinema, come dovrebbe sempre essere fatto: tra amici, con gioia, inventiva e follia, partendo dalla provincia per arrivare alla storia del Cinema… Sempre se Joel Coen riesce a correre abbastanza veloce.

Sam Raimi & Joel Coen, 15 Ottobre 1981
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