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La casa – Evil Dead (2013): stessa storia, stesso posto stessa casa (che poi è uno chalet)

Lo ammetto candidamente, non avevo alcuna intenzione di tornare in questa casa (che poi è uno chalet), ma questo remake era nella lista dei compleanni e inoltre, sta per uscire un nuovo capitolo della saga di Evil Dead, che molti si augurano somigli tanto a questo rifacimento, io invece non so se incrociare le dita o disperarmi, nel dubbio metto mano alla mia motosega, si torna nel bosco!

La mia reazione, quando mi sono ritrovato costretto ad affrontare nuovamente il remake di “Evil Dead”.

Concettualmente, l’idea stessa di rifare l’originale Evil Dead e di rifarlo proprio nel 2013 è qualcosa che si meriterebbe lo smembramento, una trovata che andrebbe sotterrata e dimenticata nel bosco. Concedetemi il lusso di crogiolarmi nel mio amore per il film originale, la sua incredibile produzione, raccontata più volte, per me rappresenta la quintessenza della passione per il cinema: un budget inesistente di 375.000 fogli verdi con sopra facce di ex presidenti defunti, una banda di amici in un bosco, durante uno degli inverni più freddi a memoria d’uomo, senza nulla, nemmeno l’acqua per lavarsi dal sangue finto, armati solo di quella follia e della voglia di fare un film che avrebbe cambiato tutto, intento dire proprio tutto, all’interno del genere horror.

Per me ci sono titoli che non si possono rifare, talmente semina li che al massimo, puoi impararne la lezione, farla tua e applicarla, ma le logiche commerciali le conosciamo, sono le stesse che hanno spinto il giovane Sam Raimi nel bosco perché va bene l’arte, ma i film vengono fatti per essere visti e staccare biglietti al botteghino. Quindi da un certo punto di vista è quasi un sollievo che se remake doveva essere, per lo meno Raimi ha potuto avere un ruolo, un po’ come accaduto a Craven per il rifacimento del suo Le colline hanno gli occhi e non lo cito a caso, perché i due remake si somigliano, anche se per ovvie ragioni da questo, sono sparite le strizzate d’occhio allo zio Wes che invece abbondavano nel film del 1981, ma è davvero l’unica parte dell’iconografia di “Evil Dead” rimasta fuori da questa nuova versione, a cui di certo non manca l’amore per l’originale, bisogna dargliene atto.

Qualcuno ha detto a Raimi che nella vita bisogna avere Fede e lui ha preso la questione in parola.

Mettetevi nei panni di Fede Álvarez, uno che arrivava dai cortometraggi, tanto promettente da fare colpo su Sam Raimi (che lo ripeterò sempre, genio dietro la macchina da presa, ma come produttore non mi ha mai convinto) che ha deciso di affidargli niente, robetta, il remake di “Evil Dead”. Un altro bosco, un’altra banda di giovani, ma questa volta con un budget di diciassette milioni di fogli verdi con sopra facce di Ash Williams ex presidenti defunti e alle spalle, la Ghost House Pictures di Raimi nei panni di produttore insieme a chi, in quella casa (che poi era uno chalet) ci era stato davvero, ovvero Bruce Campbell e Robert Tapert.

Un sogno per chiunque cresciuto a pane e horror, non è un caso che Fede Álvarez abbia comunque fatto un lavoro solido, la strada maestra era già stata segnata da Raimi, si trattava di seguirla e il nostro uruguaiano, che nel tempo si è confermato come il gran paraculo che è, ha potuto brillare, messo nella condizione migliore in assoluto dal suo produttore, eppure dovreste sentirlo, avvertirlo nell’aria, mentre si muove rasoterra a super velocità puntando verso di voi con idee bellicose, c’è un “MA” in arrivo, anche bello grosso.

Io vi avviso, nei prossimi due paragrafi diventerò un po’ cruento, se siete impressionabili saltateli.

Il 2013 chiede il suo tributo di sangue, il film viene sceneggiato da Fede Álvarez, dal suo compare Rodo Sayagues e dall’allora prezzemolina Diablo Cody, perché più degli UFO o delle leggende metropolitane sui coccodrilli nelle fogne, di davvero inspiegabile a livello di allucinazione collettiva, per me resta solo il periodo di innamoramento che Hollywood ha avuto per la storia dell’ex spogliarellista diventata sceneggiatrice, che per quanto mi riguarda ha fatto più danni della grandine sui vigneti con i suoi lavori.

Capisco che individuare la paternità o la maternità delle trovate, in una sceneggiatura scritta a sei mani sia quasi impossibile, ma siccome i due compari Fede e Rodo hanno dimostrato di saper far gran casini mettendo le mani sulle altrui iconografie, mi viene naturale pensare che il resto sia farina del sacco di Diablo Cody, ecco perché i primi venti minuti dell’Evil Dead targato 2013 sono uno schiaffo in faccia all’intelligenza dello spettatore.

Il prologo è efficace ma già didascalico, serve solo a tranquillizzare il pubblico sul fatto che si, anche in questa versione abbiamo un professore che ha precedentemente fatto a pezzi la famiglia, mentre studiava il libro rilegato in pelle che non si chiama Necronomicon, perché già Raimi ha passato i suoi beni casini con i diritti sul nome, quindi evitiamo.

Un personaggio talmente intelligente che appena trova un libro maledetto, comincia a leggerlo.

In un film nel 2013 un gruppo di ragazzi non può semplicemente passare un fine settimana in uno chalet nel bosco, devono avere una motivazione per forza, il che stona con l’anno di uscita del film (più avanti ci torniamo, creo un po’ di suspence), quindi sotto con la sottotrama di Mia (Jane Levy) che vuole darci un taglio con la DROCA, perché l’hanno già presa per i capelli una volta e non potrà sopravvivere ad un’altra defibrillatore, dettaglio che la trama ci tiene a ribadire salvo poi sbattersene al momento opportuno.

Questo crea una dinamica per cui, la protagonista fatto na, se vede cose strane che effettivamente ci sono, resterà inascoltata, anche se la prima apparizione del maligno poi, è una sorta di Anti-Maya, un suo Doppelgänger malvagio che mi auguro, i tre amigos Fede, Rodo e Diablo (scelta forse per il nome d’arte, mi viene da pensare) non abbiano messo nel mucchio puntando ad un METAFORONE sulla lotta alla dipendenza della ragazza, come Fox Mulder, voglio crederci.

I primi venti minuti dell’Evil Dead targato 2013 sono pura ansia da prestazione: la protagonista Maya entra in scena seduta sul cofano della Oldsmobile Delta 88 coloro beige, la mitica “The Classic” che compare in tutti i film di Raimi, qui gettata a prendere ruggine nel bosco e anche qui,
spero non sia un METAFORONE, ma non ne sono poi così sicuro.

Evil Dead è un classico, ma non quanto The Classic!

Non può mancare un ciondolo, una doppietta in bella mostra e qualcuno (Eric, interpretato da Lou Taylor Pucci, quello intelligente del gruppo perché ehi, ha gli occhiali!) che legge il libro e scatena il male, quindi sotto con lo stupro arboreo e tutti quegli altri dettagli con cui arredare questa casa (che poi è uno chalet), per dirvi dell’ansia, una delle immagini che compaiono sul libro-spigone non è altro che una strizzata d’occhio alla locandina originale di “Evil Dead”, tutto, TUTTO pur di leccare il cul… Ehm, assecondare produttori e fanatici della saga.

Venti minuti per mettere in moto la mattanza, in un film che ne dura novantuno (novantasei nella versione estesa che aggiunge ben poco) sono una bella zavorra, poi però bisogna dire che quando la mattanza inizia, Fede Álvarez mette in chiaro che quando si tratta di sangue e violenza, sa davvero fare il suo.

«Noi qui galleggiamo ed anche voi galleggerete, infatti tutti gallegger… Ehm scusate, remake sbagliato»

Oltre a scimmiottare la “Shaky Cam” marchio di fabbrica del suo produttore e mentore, Álvarez ci dà dentro con violenze assortite anche sul vecchio cane di nome Grandpa (e quando era giovane come lo chiamavano ‘sto cane? Young? Baby?), quindi sotto con lingue rese biforcute a colpi di taglierino, sparachiodi che non lasciano un centimetro di corpo senza una ferita e utilizzi alternativi del taglia pane elettrico, per una mattanza mai finita che sale in cattedra e si prende il secondo atto del film, quello oggettivamente più riuscito, perché riesce a ridare valore all’orrore incatenato dentro alla botola, inventandosi anche una scena efficace, forse l’unica vera aggiunto all’iconografia di Evil Dead firmata da Álvarez.

Mi riferisco alla riuscita sequenza della ragazza che si affetta porzioni abbondanti di faccia, un orrore annunciato dal montaggio sonoro, da quel rumorino di seghetto che anticipa l’orrore molto bene, dimostrazione che Álvarez è tutto tranne che uno sprovveduto, ah se solo non fosse un tale paraculo con la propensione a tirare il freno a mano auto sabotandosi i film!

«Signò ho fatto un etto e mezzo, che faccio, lascio?»

Mi rendo conto che in un film horror, uscito in sala nel 2013, tutto questo quantitativo di sangue e violenza non era certo la normalità, da qui a gridare al capolavoro, per questa operazione di ristrutturazione della casa, fatta con tanti, tanti, tanti soldi (soprattutto nel confronto diretto con il primo edificio del 1981), abbia suscitato grida di giubilo, ma oltre ai primi venti minuti del film, il problema di questo rifacimento arriva quando è ora di concludere, ed è qui che come sempre, Álvarez si allinea alle direttive del mercato e del suo produttore, auto sabotando un film che nel secondo atto, aveva dimostrato di poter camminare sulle sue gambe.

L’idea che le creature infernali evocate dal libro, lavorino sulle paure dei protagonisti è una finezza che viene presto gettata via (tre sceneggiatori e nessuno in grado di svilupparla il risultato sono tante viscere ma poca tensione, quel senso di malsano che Raimi sapeva evocare, complice anche il formato 16mm ma soprattutto il suo talento, qui manca del tutto, sacrificato in favore della fiera del sangue finto che prevede che l’emoglobina (circa 700 galloni di sangue finto utilizzati, storia vera) piova da tutti i lati, anche dal cielo come in un pezzo famoso degli Slayer.

Quando la trama sembra avviata, con David (Shiloh Fernandez) e la sua camica blu nominato sul campo nuovo Ash, il genio! No, facciamo che siamo moderni, anche se era molto più moderna l’idea di un “Final boy” nel 1981, noi ci mettiamo comunque la “Final girl”, anche se ci tocca defibrillarla perché è morta, defunta, kaput! Fredda, piedi avanti, ha tirato i calzini. Eppure niente, i tre sceneggiatori si inventano la resurrezione più scema mai vista, tutto pur di giustificare la nuova protagonista a cui beh, bisogna staccare un braccio per forza perché il canone della saga lo impone, quindi via con il finale dove Álvarez letteralmente sbraga, infilandoci dentro anche la “frase maschia”, quella che un Ash Williams troppo terrorizzato nel 1981 non avrebbe mai pronunciato, però dopo essersi esibito in una lotta in uno scantinato allagato (che strizza l’occhio al pozzo de L’armata delle tenebre) vuoi un buttarci dentro anche un po’ di smargiasseria direttamente dal secondo capitolo? Massì, tanto molti Evil-Fan (o presunti tali) i primi due film se li confondono, quindi vale tutto!

Mi sembra di averla già sentita questa, il finale me lo ricordo.

“Evil Dead” targato 2013 sfoggia un atto centrale molto riuscito, a molti è bastato proprio perché offriva al pubblico tutto quello che ci si aspettava, anche se riadattato secondo le leggi di mercato correnti, un’opera di restauro fatta con tutti i soldi del mondo, per un edificio che funzionava proprio
per il suo essere rustico, spigoloso e malsano. Ma il problema in questo caso potrebbero avere radici più profonde, perché con i suoi quasi novantotto milioni di dollarazzi portati a casa, questo remake non ha cambiato di una virgola lo scenario o anche solo dato una scossa alla saga di cui porta il nome, per assurdo la sfortuna serie tv in questo senso, ha contribuito molto di più di questa operazione che è un grosso omaggio ai produttori, spontanea come una ventenne del 2013 (Jessica Lucas) con una maglietta degli MC5 (tutto credibilissimo) oppure come infilare a forza un «GROOVY!» di Bruce Campbell dopo i titoli di coda, giusto perché i fan possano gioie della presenza-non-presenza di The King.

Riconoscilo dal mento

Oltre a lanciare la carriera di Fede Álvarez (e ancora non sono convinto che sia stato un bene) questo film non ha portato grande contributo, eppure molti fan sono pronti a sperare nel fatto che il nuovo “Evil Dead” ci somigli, capisco perché, un po’ di sano sangue in un altro horror destinato ad uscire in sala in un alto numero di copie, nel 2023, lo attendiamo tutti caldamente, ma il problema sta a monte.

Se questo remake fosse uscito nel 2011, in occasione del trentennale del primo film i problemi sarebbero stati gli stessi, ma dopo il 2012, dopo che i due compari Drew Goddard e Joss Whedon hanno messo alla berlina per sempre l’idea stessa di libri sacrileghi letti nel bosco e di fine settimana passati tra amici e demoni, ha ancora davvero senso? Per me no, nessuno.

Lo sapete anche voi, non esiste miglior remake, seguito o reboot del film di Raimi di questo, STACCE!

Per quanto mi riguarda questo “Evil Dead” è il classico titolo che piace a molto pubblico, quello che vuole rivedere sempre lo stesso film, però nuovo, un’ossessione che non campirò mai che altrove, ha generato tante oscenità come i live action della Disney (lo stesso film, però nuovo!), perché come dicevo lassù, certi film non hanno bisogno di seguiti (tanto che anche quelli ufficiali firmati da Raimi, sono quasi delle nuove
versioni della stessa storia originale), alcuni titoli sono talmente dei classici che insegnano lezioni che invece di essere ripetute a pappagallo, da studenti con tanta voglia di passare per primi della classe come Fede Álvarez, avrebbero raccontata da chi può dimostrare di aver fatto davvero propria la lezione. Per rendere seriamente omaggio a quello spirito anarchico e alla pura gioia di raccontare storie horror, magari infreddoliti e sporchi di sangue (finto) dalla testa ai piedi, bisogna portare in scena la stessa gioiosa follia di Goddard e Whedon, il vero remake di Evil Dead per me sarà sempre quella loro casetta nel bosco.

Per quanto riguarda il nuovo “Evil Dead” invece, ne riparleremo a breve su queste Bare, fino ad allora, vi ricordo lo speciale… Groovy!

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