Percorrendo una strada è piuttosto normale imbattersi in qualche casa, quella che visiteremo oggi è particolarmente bizzarra, vi avviso, bentornati a… Craven Road!
Non voglio girarci troppo attorno, so che “La casa nera” è un titolo che divide, molti lo considerano un film a suo modo di culto, per altri, invece, è un Craven minore abbastanza truculento, ma non il primo titolo che ti verrebbe in mente da consigliare a qualcuno che volesse fare la conoscenza del cinema del maestro di Cleveland. Da parte mia, ho una posizione chiarissima: se voi mi dite “La casa nera” è facile che io esploda a ridere per riflesso condizionato (storia vera).
La prima volta che ho visto questo film, avrò avuto circa tredici anni, non ero tanto più vecchio di Grullo, il protagonista del film che ho scoperto aver cambiato soprannome in questi anni, dopo il ridoppiaggio del film ora si chiama Matto. Come un ragazzo che giocava a basket con me tempo fa per altro (storia vera).
«Sei strano Cassidy, ma quelli che frequenti non sono certo da meno» |
Ai tempi un mio amico ed io (ciao Beppe!) guardavamo film a ripetizione, lui non aveva una gran propensione per gli horror, ma finivamo comunque a guardare titoli grondanti sangue, “La casa nera” lo avevamo registrato in tv pescandolo da qualche passaggio televisivo, uno di quei film di cui non sapevamo nulla della storia e guardandolo… Beh, siamo impazziti. Sì, perché il mio compare per stemperare la tensione di tutte quelle manine che uscivano dalle intercapedini della casa del film, ha iniziato ovviamente a fare battutine, ma secondo voi io potevo essere da meno? Risultato finale: tra un’esultanza per ogni nuovo morto e sottolineando l’innumerevole numero di volte in cui nel film qualcuno pronuncia la frase «Brucia all’inferno!» (ci sarebbero gli estremi per un gioco alcolico), per noi “La casa nera” è diventato un piccolo culto, uno di quei film da citare e ricordare, proprio in virtù del pomeriggio passato con questo film.
Leroy e le sue grandi lezioni di vita. |
I buoni consigli di nonno Booker (Bill Cobbs), lo strano cappello e l’ancora più strano destino di Leroy (Ving Rhames), lo strano finale del film con “zombie” in strada come nel video di “Thriller” di Michael Jackson, sono tutti elementi che ci hanno fatto appassionare al film, basta dire che per vicinanza anagrafica con Grullo (o Matto? Vabbè, con il protagonista) la frase di Leroy: «Hai un’età sfigata, troppo grande per giocare, troppo piccolo per scopare, sei fottuto in ogni caso» è diventata una sorta di tormentone per noi, anche se la ricordavo diversa ad essere onesto, come sono piuttosto sicuro che il “mostro” dentro la parete si chiamasse (con buona dose di umorismo nero) Rauco e non Blatta, me lo ricordo perché al mio amico chiesi: «Com’è che si chiama? Glauco?» e da allora è rimasto Glauco, non so se è la mia memoria che m’inganna (probabile) oppure il ridoppiaggio è passato come pialla anche sul povero Glauco.
Possono chiamarti come vogliono, per me sarai sempre Glauco. |
Sta di fatto che ho un’affezione particolare per “La casa nera”, un film in cui zio Wessy ha cercato di tirare le fila di molti elementi chiave del suo cinema, applicandoli ad un’atmosfera da favola, perfetta per il cinema horror, perché di fatto le fiabe sono state la prima forma di racconti dell’orrore, quindi il colto professor Craven non ha fatto altro che riportarci all’origine del genere.
Ma le influenze di “La casa nera” sono tante, ormai con questa rubrica abbiamo imparato che zio Wessy era uno a cui piaceva parecchio romanzare i fatti legati alle genesi dei suoi film, ad esempio, per questo stando alle sue affermazioni sembra che Craven si sia ispirato ad un fatto di cronaca (mi sembra il caso di aggiungere nera). Wes aveva conservato un vecchio articolo di giornale che descriveva degli eventi accaduti nel 1978: alcuni scassinatori di colore si infilarono in una viletta per ripulirla, solo per trovarci dentro un paio di bambini costretti a vivere in casa dai genitori senza poter mai uscire. Non ho trovato conferme su questo fatto, ma immagino che Craven fosse un lettore di giornali accanito, uno di quelli che legge tutto fino all’ultimo trafiletto dell’ultimo articolo, visto che aveva già dichiarato che anche l’idea per Nightmare gli era venuta leggendo un articolo di giornale.
‘Cause this is thriller, thriller night (cit.) |
Bisogna dire che alla sua uscita nel 1991, “La casa nera” è stato anche un discreto successo al botteghino, costato solo sei milioni di fogli verdi con sopra facce di ex presidenti defunti, questa fatica di Craven portò a casa più di trenta milioni restando tra i film più visti per dieci settimane di fila (storia vera). Anche se, fatemi togliere questo sasso dalla scarpa, avranno ridoppiato il film, ma il titolo italiano resta veramente piatto.
Mi rendo conto che sia un classico per il nostro mercato, hai un horror? Tu piazzaci dentro una casa nel titolo e non puoi sbagliare! Ma qui il concetto è proprio stato travisato, la casa nel film è l’unica abitata da una famiglia di bianchi, in un quartiere interamente nero (e poverissimo), quindi al massimo avrebbe dovuto essere “La casa bianca”, forse avrebbe creato un po’ di confusione con l’altra casa bianca piuttosto famosa, ma considerando chi la occupa oggi (uno toccato tanto quanto Wendy Robie e Everett McGill, la mamma e il papà psicopatici di questo film) forse sarebbe stato anche il titolo più azzeccato.
Direttamente dal sottoscala, i titoli di testa del film come da tradizione. |
Continuo a pensare che l’originale “The people under the stairs” sia molto migliore, non solo perché quando nella camera di Alice spunta il braccetto pallido che le restituisce la forchetta, da spettatori viene istintivo cambiare posizione sulla poltrona, ma anche perché è proprio il titolo giusto del film. Come abbiamo visto anche in questa rubrica, per Craven l’orrore arriva sempre da un mondo che è adiacente al nostro, spesso molto simile, ma con un piccolo elemento di differenza che genera l’orrore, in L’ultima casa a sinistra era la differenza di ceto sociale tra le due ragazze e la banda di violentatori arrivati dal ghetto, in Le colline hanno gli occhi, le due famiglie opposte si scoprivano identiche nei modi violenti, mentre in Nightmare l’orrore arrivava dal mondo onirico, nel pieno del sonno quando siamo più indifesi.
In “The people under the stairs”, Wes craven (anche sceneggiatore) si diverte a ribaltare completamente la prospettiva, mantenendo fede alla sua idea di orrore che emerge da sotto una facciata di perbenismo. Questa volta i protagonisti sono i poveri che vivono nel ghetto, i cattivi invece sono una famiglia di bianchi ricchi che praticano tra le altre cose cannibalismo e incesto, giusto per non farsi mancare niente.
La delicatezza di zio Wessy, alcune tematiche non le manda certo a dire. |
Anche la figura del cane di famiglia viene ribaltata, questa volta il miglior amico dell’uomo è il suo incubo peggiore, se Bestia, il pastore tedesco della famiglia di Le colline hanno gli occhi, difendeva i suoi padroni dai malvagi, qui il Rottweiler è il cane da guardia degli psicopatici dentro la casa. Insomma, l’iconoclasta Wes Craven si conferma ancora una volta, cercando di infilare nel suo film buone dosi di politica e critica sociale: i ricconi che vivono nella casa affamano il quartiere con lo scopo di sbattere tutti fuori di casa, solo per vendere a persone “per bene” (ovvero: persone bianche). Non credo nemmeno sia un caso se alcune delle “persone che vivono sotto le scale”, come intrattenimento abbiano solo un piccolo televisore che trasmette le notizie dei bombardamenti sull’Iraq della prima guerra del Golfo.
Sarà capitato anche a voi di avere una strana famiglia… |
“La casa nera” “The people under the stairs” mette subito in chiaro la sua natura di favole (e romanzo di formazione) fin dai titoli di testa, una cartomante legge le carte al giovane protagonista (Brandon Quintin Adams) che avrebbe anche un nome abbastanza normale (per quanto possa essere considerato normale il nome Poindexter), ma che tutti chiamano Matto, “Fool” come la carta dei tarocchi… Che comunque è un nome migliore di Poindexter!
Secondo il galateo è importante utilizzare sempre la forchetta corretta. |
Le parole della cartomante ci dicono che se Matto riuscirà nell’impresa a cui è destinato diventerà un uomo e salverà il suo villaggio, solo che Grullo (niente, continua a piacermi di più il nome con cui l’ho conosciuto) è l’eroe di una favola moderna, quindi vive nel ghetto e non se la passa proprio benissimo. Sua madre sta morendo di cancro, sua sorella si prostituisce e nessuno ha un soldo per pagare le cure alla donna, l’unica soluzione per uno così non è vendere mucche per comprare che so… Fagioli magici come il protagonista di una fiaba, ma seguire il consiglio di un cattivo maestro (che comunque rispetto ai tizi nella casa sembra un santo) come Leroy. Il personaggio interpretato da Ving Rhames vuole Grullo per distrarre i ricconi bianchi che affamano il ghetto, per infilarsi insieme al suo compare Spenser (Jeremy Roberts) dentro e portargli via tutto, comprese alcune monete d’oro di cui ha sentito parlare. Trovo molto ironico che il modo in cui Leroy convince Grullo ad esordire con la vita criminale, sia dicendogli che i soldi non pioveranno certo dal cielo, anche se nell’ultima scena (quella ribattezzata alla “Thriller” di Michael Jackson) ci sarà proprio una pioggia di dollari, quindi l’effetto video musicale forse arriva da lì, una roba in stile Hip Hop, sapete no?
Il film è del 1991 è si capisce subito da un dettaglio: Twin Peaks aveva menato il suo colpo più duro sull’immaginario occidentale, anche zio Wessy non ne è stato immune, infatti per la parte dell’uomo e della donna (non hanno un nome, si chiamano solo madre e padre) che vivono nella casa ha voluto che Wendy Robie e Everett McGill riprendessero ruoli molto simili a quelli che ricoprivano nella serie televisiva di David Lynch e Mark Frost, solo vitaminizzati dalla cura Craven.
Loggia Nera? No, direi sangue rosso! |
I due attori non recitano andando sopra le righe, direi proprio che le righe le spezzano e poi le danno anche in pasto al Rottweiler. Wendy Robie sembra una pericolosissima invasata religiosa che ad ogni piè sospinto ricorda a tutti quanto è rovente l’inferno (anche quando cerca di fare il bagno alla figlia in una vasca di acqua bollente), ma allo stesso tempo è astuta e scaltra come un cobra incazzato, Everett McGill è il suo braccio armato (di fucile a pallettoni) sempre pronto a sguinzagliare il Rottweiler nelle intercapedini delle pareti, per dare la caccia a Blatta (anche se secondo me si chiama Rauco Glauco), senza farsi problemi a sparare fucilate alla pareti oppure ad andare in giro con una comoda tuta in pelle nera stile sadomaso… E poi il matto sarebbe il povero protagonista che finisce nelle grinfie di questi?
Wes Craven imposta questa atmosfera da favola del ghetto e piano piano inclina il pavimento sotto i piedi di Grullo di Leroy e di noi spettatori, facendoci scivolare in un mondo di follia che sta, appunto, sotto le scale, dietro le intercapedini dei muri della casa, un posto amministrato con regole sue (la statuetta delle tre scimmiette: non vedo, non sento, non parlo), in cui i figli della coppia perdono un arto se non obbediscono e vengono spediti in cantina, l’unico modo è filare dritto stando alle loro regole come fa Alice (Allison Joy Langer), educata e cresciuta dai due come la figlia perfetta, anche se la trama si giocherà poi alcune svolte sulla sua identità. Bisogna dire che chiamare la protagonista femminile Alice, come quella finita nel Paese delle meraviglie di Lewis Carroll forse è una trovata un po’ pigra, ma che mette ancora una volta in chiaro la natura da favola nera della storia.
Più che Alice nel Paese delle meraviglie, vista così sembra Cenerentola. |
Di nero in questo film è un po’ tutto, sicuramente anche l’umorismo, sì, perché se come amate il macabro, in “The people under the stairs” si ride parecchio, Wes Craven sembra essersi divertito ad infilare nel film tutte le trovate più gustosamente grondanti sangue, in particolare legate al Rottweiler di famiglia e alla sua particolare dieta a base di carne umana, quindi rivedendolo oggi, per ripassarlo in vista di questa rubrica, capisco anche perché alla prima visione con il mio compare da ragazzini ci siamo fatti della grasse risate, l’umorismo nero di Craven è ancora tutto qui da vedere.
Tranquilli, non morde… sbrana direttamente. |
“The people under the stairs” magari non sarà il primo titolo che viene in mente pensando a Wes Craven (anzi, togliere pure il magari dalla mia frase), ma riesce ad essere molto equilibrato nel gestire le tante anime della storia, in Sotto Shock zio Wessy era motivato a tentare di lanciare una nuova icona horror, andando per lunghi tratti anche un po’ fuori tema, mentre in questo film Craven resta concentratissimo e pur avendo nel calderone parecchi ingredienti, tutto funziona piuttosto bene.
Craven si schiera apertamente dalla parte delle persone povere (e di colore) e grazie all’atmosfera da favola nera, può permettersi di esprimere i concetti in maniera non per forza sottilissima, basta dire che l’unico bianco buono del film è Spenser che, comunque, resta un rapinatore. Una favola come Hansel e Gretel non perdeva certo troppo tempo a illustrarci le motivazioni dei personaggi negativi no? Per certi versi verrebbe da pensare che i genitori dei due bimbi tedeschi della favola dei Grimm, una volta aver disperso i figli tra i boschi, si siano comprati un fucile a pallettoni, un grosso cane da guardia (e magari una tuta in pelle sadomaso) e siano diventato simili alla coppia di genitori di questo film.
Ving Rhames nel cast e loschi figuri in tuta sadomaso., siamo sicuri che Tarantino non abbia pescato a piene mani da qui per Pulp Fiction |
Craven trova il modo di tenere in equilibrio una favola nera per ragazzi (pre-adolescenti) in cui per assurdo, non stona nemmeno il finale lieto e liberatorio (tipico anche questo delle favole) e in cui per tutto il tempo si patteggia completamente per i protagonisti, impegnati a restare vivi cercando di uscire da quella casa maledetta.
Blatta… Rauco… Oh, insomma Glauco! Diventa subito un personaggio per cui fare il tifo perché aiuta Grullo nella sua impresa ed è colui che si muove tra i due mondi, conosce tutti i passaggi nelle intercapedini e malgrado la menomazione fisica subita, continua a sfidare l’autorità rappresentata dalla coppia di psicopatici. Il film funziona proprio perché questi personaggi tanto assurdi sono così immersi in questa atmosfera da favola oscura da sospendere l’incredulità quel tanto che basta per godersi le abbondanti dosi di horror garantite da Wes Craven.
Mamma mia quanto mi manca questo adorabile pazzoide! |
Insomma, voi chiamatelo “La casa nera” oppure “The people under the stairs”, il protagonista chiamatelo Fool, Matto oppure Grullo e il suo compare Blatta, Rauco, oppure Glauco, ma questo film pur essendo uno dei titoli minori del maestro di Cleveland, resta sicuramente uno dei più riusciti. Un successo (anche al botteghino) che in qualche modo rilancia Craven, pronto a regalarci un beh… Nuovo incubo. La settimana prossima lo troverete sempre qui, su Craven Road. Per la locandina d’epoca del film, fate un salto sulle pagine di IPMP!