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La chiesa (1989): terreno sacro per i cultori di Horror

In uno strambo Paese a forma di scarpa siamo sempre stati bravissimi a strizzare il limone, se un titolo aveva successo, nessuno meglio di noi era in grado di cavalcarne il nome, qualche esempio? I numerosi seguiti apocrifi de La Casa di Sam Raimi.

Non che con Dèmoni sia andata tanto meglio, lo abbiamo visto anche nei post dedicati al seguito ufficiale del film di Lamberto Bava, che in maniera più o meno truffaldina, si è ritrovato papà non putativo di un’infilata di altri demonietti che con i due film originali, non avevano nulla da spartire, se non il becero tentativo di sfruttarne il successo. Sto pensando a nomi come “La casa dell’orco” (1988) uscito per il piccolo schermo e diretto da Lamberto Bava oppure “Demoni 3” (1991) di Umberto Lenzi. In realtà il terzo gemello, diverso, di questa ideale non-trilogia esiste, ed è proprio “La chiesa”.

Quante candele ci sono in questa foto? Tanto non le vedrà nessuno.

Dopo il cinema e il grattacielo, perché non ambientare tutto in una chiesa? Un veto che è stato posto da Michele Soavi, già presente sul set proprio del primo film, ma anche di molti titoli di Dario Argento, che in quanto produttore, si ritrova il nome sparato in locandina a caratteri cubitali, come per i libri di Stephen King, si legge quasi meglio l’autore (in questo caso produttore) che il titolo dell’opera.

La prima bozza del film, firmata da Dardano Sacchetti si intitolava proprio “Dèmoni 3”, solo che l’allora Fininvest, fece a Lamberto Bava la classica proposta che non si poteva rifiutare, la regia televisiva di un titolo destinato a diventare un classico dei palinsesti (notturni) dell’attuale Mediaset, ovvero “Fantaghirò”, che è il motivo principale per cui le porte di questa chiesa, si sono spalancate per Soavi, subentrato alla regia e interessato a fare il suo film, risultato che va detto, gli è riuscito fino ad un certo punto, ma questo non cambia il fatto che ho sempre adorato questo titolo, eroe di “Notte Horror” e prima ancora, del videonoleggio.

Avrei voluto avere l’infanzia di Asia Argento e per certi versi, l’ho avuta.

La sceneggiatura ufficiale, con nuovo titolo e prologo medioevale porta la firma di Franco Ferrini, la leggenda vuole che Argento abbia sborsato parecchi soldi per far sparire la firma di Sacchetti, anche se nella sua struttura, qualcosa dell’infezione di “Dèmoni” è rimasta, perché inutile nascondersi dietro ad un dito, in questo film succedono cose, perché sì, perché fa figo, i rimaneggiamenti si vedono tutti e se considero ancora questo film un piccolo culto, una delle ultime volte in cui il nostro cinema di genere ha mosso la coda prima della fine, quella che si è portata via tutto, lo dobbiamo in buona parte proprio alla regia di Soavi.

Il nostro non solo ha dovuto provarle tutte per prendere – invano – le distanze da Dèmoni, ma ha dovuto patteggiare anche con un produttore ingombrante, non solo per il nome sulla locandina, per fortuna nella sua fase più fanta-horror, quella che non ha di certo garantito copioni cartesiani ma per lo meno, era la più creativa e anche quella che preferivo di Argento.

Lo spunto iniziale del film è molto figo, la leggenda ci tramanda che sia stato ispirato al Conan di Milius, anche se vagamente un po’ di Monty Python io ce li vedo, quindi in ogni caso bene così: un’armata di cavaliere teutonici assalta un borgo popolato da streghe o presunte tali, anche se i segni sulle piante dei loro piedi dovrebbero essere la pistola fumante, il male di scatena con un bel po’ di morti ammazzati, nel tentativo di sigillare il Male di quel luogo per sempre, i nostri erigono una chiesa, quella del titolo. Sotto il nome di Dario Argento in locandina, dovreste notarla.

No, non è Terry Gilliam, ve lo giuro.

Qualcosa tipo otto secoli dopo, il nuovo bibliotecario fatto a forma di Thomas Arana, al suo primo giorno di lavoro fa la conoscenza della figlia del sacrestano, Loth (Asia Argento) e prende posto, peccato che finirà molto presto a conoscere il segreto della chiesa e ad aprire il sigillo che trattiene il male, in una scena molto evocativa che è tutta farina del sacco di Soavi. Veder crollare la croce, con quella luce che arriva dalle profondità, forse dell’inferno, ti fa chiudere, se non un occhio, almeno a socchiuderlo sui difetti della non-trama, perché tanto quella non esiste e posso dirlo? Possiamo farne anche a meno.

Perché è proprio qui che gli innocenti visitatori della chiesa, una scolaresca, alcuni turisti, dei modelli impegnati in un servizio fotografico (in chiesa? Bah!) e un’anziana coppia di coniugi diventano i corpi in cui i dèmoni prenderanno posto, perché? Non si sa, se non che questo è quello che resta dalla prima stesura, la porzione da cui Soavi non è riuscito pienamente a prendere le distanze, creando una voragine logica che però garantisce per lo meno una mezza carneficina.

Se la ride, tanto mica è carne di ovino, che gli frega!

Dove Lamberto bava nei capitoli precedenti di questa non-trilogia ci dava dentro con i denti aguzzi delle creature, le trovate splatter e la macelleria, Soavi prova a giocarsela più di fino, senza però tirar via la mano quando necessario, anche qui ci sono cancellate in ferro battuto che impalano turisti o martelli pneumatici utilizzati in maniera del tutto incurante della sicurezza dei lavoratori. Il sindacato potrebbe avere molto da ridire sulla questione.

Le parti che ho sempre trovato più riuscite del film sono quelle dove Soavi rallenta, ci porta in un territorio sospeso tra il sogno e l’incubo, potendo permettersi anche citazioni notevoli, come quelle ad un celebre dipinto di Boris Vallejo.

Poi dicono che gli Horror non sono cul… Niente, questa mi è venuta fuori malissimo.

Va anche detto che si giocano un ruolo chiave anche le musiche, i Goblin, i preferiti del produttore, questa volta sono supportati dalle tastiere di Keith Emerson – non proprio la pizza con i fichi – che contribuiscono notevolmente alla riuscita finale, perché tra il numero sei, ripetuto ben più di tre volte alla macchina da scrivere e le visioni in cui qualcuno si strappa via la faccia, il film di Soavi sa giocarsi momenti Gore e d’atmosfera che mi hanno sempre fatto apprezzare questo film, anche se i due successivi titoli del regista personalmente li apprezzo anche di più, questo resta in quel limbo che sta tra il seguito non ufficiale ma con più carattere e il titolo di culto, una zona grigia che ho sempre amato, anche io che non frequento spesso la chiesa.

La vostra normale domenica in chiesa l’ho sempre immaginata un po’ diversa.

Quasi mi dispiace che sia sempre scelto da coloro che sono alla ricerca di cinema “Trash”, espressione da cinefili che odio, perché la si può utilizzare solo se stai guardando un film di John Waters, la mia formazione mi impedisce di paragonare i film, anche quelli più sghembi, alla stregua della spazzatura, figuriamoci questo che con il suo tripudio di ingranaggi finali, apparecchia il tavolo per una conclusione che ho sempre gradito, perché prima arriva il momento “Spaccatutto” e poi, tutto è sulle spalle della giovane Asia Argento.

Quel finale tipico da Horror, che lascia una porta (della chiesa) aperta per eventuali seguiti, non ha portato a nessun “La chiesa 2” ma nemmeno ad un “Dèmoni 4” ufficiale, quello che è arrivato per davvero purtroppo, è stata il Nulla che si è portato via la nostrana industria, quella che poteva generare film con questo su pianta stabile, quello è stato in vero finale da Horror.

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