Poniamo il caso di uno scenario apocalittico, qualcuno rapisce le persone a cui voglio bene, le appende in sospeso sopra un enorme tritacarnone gigante e mi concede cinque secondi di tempo per dire il titolo del mio film preferito, allo scadere del tempo, taglia la corda che la gravità faccia il suo lavoro. In una condizione del genere, voi cosa (scusate… COSA) rispondereste? A questa fatidica e semi-impossibile (per un cinefilo) domanda io ho due possibili risposte, che potrei dare di getto senza vergognarmi dopo, la prima è “La Cosa” di John Carpenter. Classido? Embè, dopo questa premessa mi sembra il minimo, no?
Per la prima volta in carriera, John Carpenter non si ritrova a dover bussare porta a porta a tutte le case di produzione del circondario, proponendo soggetti e sceneggiature dei suoi film, no questa volta è una casa di produzione, per altro una delle più grandi, a contattare il Maestro. La Universal dopo aver acquistato i diritti del film prodotto da Howard Hawks nel 1951 “La cosa da un altro mondo” e del romanzo originale “Who Goes There?” di John W. Campbell del 1938, era alla ricerca del regista giusto per produrre il film.
Scartati vari candidati, tutti intuiscono che Carpenter è l’uomo per questa missione, anche perché Giovanni è cresciuto nel mito del regista Howard Hawks, Distretto 13 è quasi un remake in chiave urbana di Un dollaro d’onore e se vogliamo proprio dirla tutta, i bambini di cui Jamie Lee Curtis si prendeva cura durante la notte di Halloween, in tv guardavano vecchi film in bianco e nero, tra i quali proprio “La cosa da un altro mondo”.
Carpenter accetta il lavoro, inizia la pre-produzione del film e mentre termina di girare 1997 Fuga da New York, raduna la sua squadra, per mettersi al lavoro sul remake di un film a cui teneva molto, pronto ad amministrare il budget più sostanzioso della sua carriera di regista, 15 milioni di ex presidenti deceduti stampati su carta verde. Per chiunque un’inezia, Carpenter, abituato a strizzare i centesimi, non fa una piega e ha ben chiaro chi potrà dare valore al mucchio di denaro.
Dopo l’esperienza sul set di 1997 Fuga da New York, Giovanni vuol nuovamente Dean Cundey e Todd C. Ramsay al montaggio, mentre per gli effetti speciali, forte della loro precedente collaborazione in The Fog, Carpenter fa arrivare sul set, l’uomo con il nome più bello della storia, l’allora 22enne Rob Bottin.
Per il ruolo del protagonista, il risoluto R.J. MacReady, Carpenter vorrebbe Clint Eastwood, ma anche questa volta, come per il ruolo di Jena Plissken, Clint risponde picche, senza perdersi d’animo Giovanni chiama nuovamente il suo amico e attore feticcio, Kurt Russell. Segnate tre, per le collaborazioni tra questi due signori e il tassametro corre.
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«Ma come ti sei vestito?» , «Tranquillo, io e il regista siamo amiconi, potevo venir giù anche in tuta» |
Carpenter cerca di convincere altre sue vecchie conoscenze come Donald Pleasence, Lee Van Cleef e Issac Hayes, ma per precedenti impegni nessuno di questi accetta, il cast intorno a Kurt Russell, quindi, si completa di volti poco nomi, ma assolutamente adatti al ruolo, come Wilford Brimley (visto in “Il mio nome è Remo Williams”), Keith David e Donald Moffat.
Per girare i (pochi) esterni del film, cast e troupe si trasferirono alcuni giorni in Alaska, dove le lunghe attese venivano riempite andando sullo slittino (storia vera). Del set Alaskano Carpenter ricorda l’estrema difficoltà, non tanto a girare, quanto a reperire la birra! Eh, cavoli, questi sono problemi seri della vita!
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«La brutta notizia è che abbiamo finito la birra. Quella buona e che siamo uno in meno con cui dividerla» |
Per quei due al mondo che sono appena precipitati sulla Terra dal pianeta natale della Cosa, la trama parla di un gruppo di ricercatori in una base scientifica americana in Antartide, il primo giorno di inverno, un elicottero pieno di Norvegesi incazzati raggiunge l’avamposto Yankee inseguendo e cercando di uccidere un tenero husky. L’elicottero precipita, i Norvegesi ci lasciano la pelle e un po’ increduli (“Può darsi che siamo in guerra con la Norvegia!”) gli Americani accolgono il cagnone insieme agli altri già presenti nella loro base.
Il resto della trama ve la spiega il Norvegese: «Det er ikke en bikkje, det er en slags ting! Det imiterer en bikkje, det er ikke virkelig!», non ci avete capito niente? Tranquilli, nemmeno MacReady e così, l’ammonimento (“Non è un cane, è una sorta di cosa! Imita un cane, ma non è reale!”) determina le azioni degli uomini, che vengono assimilati e sostituiti dalla creatura aliena, in un clima di ansia e crescente paranoia, non sono più in grado di distinguere chi è ancora umana. Paura? No? Dovreste.
Ah, a proposito di Norvegesi, nel video che viene ritrovato nella base artica, uno di quelli che si intravedono nel filmato, è il cameo di John Carpenter, quindi aguzzate la vista, o come dicono i Norvegesi, Agutten dek vistuken… See, vabbè, buona notte!
Girate le scene in esterno, la trama prevede che una tempesta di neve, costringa i protagonisti a chiudersi nella base, assediati (come in Distretto 13) dalla Cosa e dal clima di paranoia serpeggiante. Tutti gli interni sono stati girati ad agosto nella soleggiata Los Angeles, nei set allestiti all’interno degli studios prontamente refrigerati e costantemente mantenuti sotto zero, per rendere visibile il fiato gelato dei protagonisti. Kurt Russell ancora ricorda bene il numero record di influenze accumulate da tutti i membri del cast.
L’unico che non si è ammalato è stato Jed, l’husky protagonista delle prime scene, per altro un attore eccezionale, non guardava mai né Carpenter né tanto meno la macchina da presa, evidentemente anche lui era onorato di essere diretto dal Maestro!
Gli omaggi di Carpenter al film di Howard Hawks sono molteplici, partendo dal logo del film, la luce che passa attraverso uno “Strappo” è identico a quello del film del 1951, ma da qui in poi i due film prendono due strade molto differenti, dimostrazione che i remake si possono fare, ma non credo sia un caso se quelli che io considero i due migliori remake della storia del cinema (questo film e “La Mosca” di David Cronenberg) siano stati diretti da due Maestri del cinema.
Come molte pellicole di fantascienza degli anni ’50, il film prodotto da Howard Hawks era una metafora della paura americana più in voga allora, la minaccia Comunista. Infatti, nel film, i coraggiosi uomini (e una donna, la segretaria Nikki Nicholson) sconfiggevano la cosa tranquillizzando il pubblico pagante. Anche l’alieno aveva un look decisamente poco spaventoso, una specie di uomo-carota che, su suggerimento di Howard Hawks, il regista Christian Nyby inquadrava il meno possibile.
Carpenter, invece, ha idee molto diverse, anche se la scena della “Bara”, il blocco di ghiaccio da cui i Norvegesi hanno scongelato la creatura aliena, è quasi identica a quella del film originale, il resto della pellicola cambia completamente tono, avvicinandosi molto di più al romanzo originale di “Who Goes There?” di John W. Campbell.
Se per Hawks gli umani, coalizzandosi, potevano sconfiggere la terribile minaccia, Carpenter porta in scena tutto quello che pensa della razza umana: metti insieme un gruppo di persone in un posto isolato, introduci un alieno mutaforma e quello che otterrai è il caos più totale, una follia di persone pronte ad accusarsi e scannarsi una con l’altra, nel disperato tentativo di sopravvivere, togli la ragione e riduci al minimo il sostentamento tecnologico, quello che si ottiene è un gruppo di barbari paranoici. Qualche anno dopo, per bocca del suo personaggio più famoso, Carpenter avrebbe riassunto questa tesi con una sola frase: «Benvenuti, nel regno della razza umana.»
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«Non avere paura, siamo umani», «E questo dovrebbe tranquillizzarla?» |
Per Carpenter l’orrore è sempre stato celato dietro qualcosa di apparentemente normale, dalla maschera di Michael Myers, a “Il Signore del male” , dove il male possedeva i protagonisti, passando per gli alieni di “Essi vivono” celati da un travestimento da umani, per arrivare allo “Starman” che anche se non malvagio, nascondeva comunque la sua condizione di alieno dietro sembianze umane.
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«Se questo è un travestimento, è il peggior costume da Zorro che io abbia mai visto» |
“La Cosa” è la quinta essenza di questo concetto Carpenteriano, se Halloween è una favola nera basata sull’uomo nero e Jack Lanterna, allo stesso modo l’Husky in fuga dai Norvegesi (quindi la Cosa) è il lupo delle favole, che travestito riesce a celare la sua natura minacciosa… Facendo le feste ad uno degli americani, dannati quadrupedi! Sempre così ci fregano, due feste un po’ di scodinzolare e poi i trovi a doverli portare a far pipì tre volte al giorno, tzè!
Ancora una volta, ma in modo ancora più marcato che in The Fog, Carpenter porta in scena una storia con echi lovecraftiani, la Cosa è il tipo di male assoluto venuto dall’infinito e pronto a conquistare il mondo, tipico dei racconti del solitario di Providence. Creature pronte a tutto pur di sopravvivere, anche a “possedere” gli umani come succedeva nel racconto “L’Abitatore del buio” per altro, una delle storie horror più spaventose che mi sia mai capitato di leggere.
Poi ditemi cosa volete, al cinema sono pochi (pochissimi) che sono stati in grado di mostrare l’orrore, talmente atroce da non poter essere descritto, tipico dei racconti di H.P. Lovecraft, Carpenter è stato il migliore di tutti ad adattare questo tipo di orrore per il cinema, una delle forme d’arte più visive in assoluto, lo ha fatto con questo film, ne Il Signore del Male e in Il seme della follia, tre titoli che non a caso compongono la cosiddetta “Trilogia dell’Apocalisse”, in quant… Cassidy! Smettila di fare il professore e torna a scrivere del film di oggi!
Ah, sì vero! Scusate, rientro subito sul tema della fantascienza parlando delle differenze tra “La Cosa” e l’altro grande classico Sci-fi Lovecraftiani, il capolavoro di Ridley Scott, Alien. Come dicevo, parlando di Dark Star, Carpenter e la saga di “Alien” hanno avuto dei punti di contatto, anche qui, entrambe le creature protagoniste dei rispettivi film sono pronte a tutto pur di sopravvivere, la differenza sostanziale è unica ma significativa, il più grande mistero dell’umanità… Le donne!
L’orrore in “Alien” è efficace anche perché colpisce direttamente le certezze sessuali degli spettatori, le creature disegnate da H.R. Giger, sembrano uscite dagli incubi post-peperonata di uno psicologo Freudiano. I “Facehuggers” sono inseminatori a forma di vagine (dentate), mentre la testa a forma di fallo degli Xenomorfi non credo necessiti di una seduta dall’analista per essere interpretata. L’apice è la scena con protagonista John Hurt (detto Giovanni Ferito) più ferito che mai, durante quello che a tutti gli effetti è un traumatico, drammatico e grondante sangue, parto maschile… Gulp!
A mitigare tutto questo orrore capace di mandare in tilt le certezze dei maschietti (ma non solo) abbiamo Ellen Ripley, donna forte con cui le spettatrici possono immedesimarsi, ma anche di bell’aspetto e nel finale del film, pure poco vestita, quando Sigourney Weaver si infila dentro la tuta spaziale con micio e poco altro addosso. La buona (e pure bona diciamolo…) vince, l’alieno cattivo e sessualmente ambiguo viene sconfitto e i fanatici della teoria del Gender possono tirare un sospiro di sollievo… Nel film di Carpenter invece, NO!
La Cosa nel suo tentativo di imitare gli umani, trasforma toraci maschili in vagine dentate, mozza braccia e violenta corpi nel più drammatico e atroce dei modi possibili, il finale del film, non è consolatorio, manca anche totalmente di una presenza femminile, nel doppiaggio italiano del film, MacReady dopo aver perso a scacchi contro il computer, gli versa dentro il resto del JB con ghiaccio dicendogli «Sei un lurido baro!» (maschile).
Anche se a dirla tutta, nella varie interviste, Carpenter ha sempre dichiarato che la Cosa del film, era un essere femminile (sempre se si possa distinguere il sesso di una creatura aliena del genere), se così fosse, per il pubblico, in particolare quello maschile, il film di Carpenter non offre davvero nessuna via di scampo.
Il senso di angoscia e di paranoia che pervade il film è ottenuto da Carpenter anche grazie agli effetti speciali, come sempre nei film del Maestro, la paura nasce dalla scontro tra il visibile e l’invisibile, per la prima volta in carriera Giovanni mostra in maniera più esplicita l’orrore, ma è innegabile che il risultato finale sia efficace allora come oggi, anche perché gli effetti speciali di Rob Bottin sono invecchiati alla grande!
Rob Bottin, dai non ridete, Rob Bottin, ho detto non ridete dai! Ti ho visto tu laggiù che ridevi, ti fa ridere il nome Rob Bottin? Beh, in effetti fa ridere, non fa ridere il suo eccellente lavoro, anzi, fa una paura fottuta, perché senza usare computer grafica, ma solo tanti fantastici effetti speciali vecchia maniera, il grande Rob ha saputo portare sullo schermo uno dei mostri più assurdi, spaventosi, originale e ancora inimitato della storia del cinema.
Howard Hawks utilizzava una fotografia oscura per celare l’uomo-Carota del suo film, Carpenter può permettersi di mostrare ogni dettaglio, ogni atroce trasformazione, mentre toraci si trasformano in tagliole e teste umane si staccano diventando abominevoli creature ragno. Rob Bottin allora 22enne ha saputo fare un lavoro enorme che ha superato brillantemente la prova del tempo, il tutto sporcandosi le mani e gettandosi nel lavoro a capofitto, per la scena dell’autopsia, ha utilizzato veri organi di animali, mentre i tentacoli che Clark vede nella gabbia dei cani, erano delle fruste in gomma manovrate direttamente da Rob.
Il risultato è un nemico mai visto prima, se nell’altro grande remake, ovvero “La mosca” di Cronenberg, l’andamento della mutazione è chiaro (da umano a mosca), ne “La Cosa” è impossibile intuire quale sarà la forma finale della creatura. In film come Halloween e lo Squalo, il mostro è sfuggevole alla vista, ma chiaro nella forma e nella minaccia, invece la Cosa non solo non ha una sua forma, ma potrebbe nascondersi ovunque, anche nella persona accanto a te.
In una condizione come questa, è facile provare empatia per i componenti della spedizione artica, facendo il tifo un po’ di più per R.J. MacReady, un po’ per l’ottima (un’altra!) grande interpretazione di Kurt “L’Ingrugnato” Russell, un po’ perché il personaggio è quello con il piglio più risoluto di tutti. Ma si può davvero fare il tifo per qualcuno che potrebbe essere la Cosa? Ed è proprio qui che il film di Carpenter dimostra di essere l’enorme capolavoro che è, anche dopo un milione di visioni. Il film risulta ipnotico, io stesso ho rivisto il film qualche giorno fa e malgrado (causa visioni numero 80.000 nella vita) sappia bene chi è la Cosa, ero di nuovo lì, incollato allo schermo a soffrire con i protagonisti. Quella che Carpenter sa evocare forse non è vera paura, ma sincera angoscia, dalla quale non esiste via di scampo.
La paura dell’altro ricalca l’angoscia che solo le malattie sanno evocare, non è un caso che l’AIDS abbia fatto la sua prima comparsa proprio nei primi anni ’80, lo stesso Carpenter, leggendo le notizie sulla diffusione del virus dell’HIV, fu il primo a notare i sinistri punti di contatto con il film alla quale stava lavorando.
Il Maestro ha una gestione dei tempi e degli attori millimetrica, anche dopo 80.000 mila visioni, è impossibile notare una sbavatura, o anche il più piccolo indizio su chi potrebbe essere la Cosa, ogni volta che assistiamo al test del sangue, è inevitabile restare incollati allo schermo, in ansia R.J. MacReady avvicina il ferro arroventato ai campioni di sangue.
Come sempre, quando si parla di Carpenter, non si può non parlare delle colonne sonore dei suoi film, anche se per questa volta, a curare le musiche non è stato il Maestro in persona, ma un compositore minore, poco conosciuto, direi un esordiente, un tale di nome Ennio Morricone, difficile che ne abbiate sentito parlare.
I due Maestri si incontrarono (brevemente) a Roma, ascoltando la storia del loro incontro (di cui un po’ ho già parlato QUI), entrambe le parti convengono su un punto, ovvero che la richiesta di Carpenter fu chiara, “Stay simple”, una colonna sonora minimale e semplice. Morricone dimostra di essere il professionista che è, mandando a segno un infilata di pezzi davvero Carpenteriani nell’atmosfera.
Arrivato al montaggio Carpenter, abituato a pochi pezzi, si ritrovò con fin troppe tracce da utilizzare, e decise di lasciare inutilizzati pezzi del Maestro Morricone, cosa che fece, come dire… Incazzare come un bufalo (ecco l’ho detto) il grande compositore. Quello che possiamo dire è che le musiche nel film funzionano alla grande e dopo molti anni, il lavoro di Morricone ha pagato i suoi dividendi, sono sicuro che tutti quanti sapete che l’ultimo film di Tarantino, è stato fortemente influenzato dal questo capolavoro di John Carpenter, nella colonna sonora composta da Morricone, fanno parte anche due dei pezzi lasciati indietro da Carpenter (per la precisione Eternity” e “Bestiality”), considerando che il Maestro Ennio Morricone ha vinto il suo primo Oscar proprio grazie a questa colonna sonora, forse ora sarà un po’ meno arrabbiato con Carpenter.
Quando il film uscì nella sale americane il 25 Giugno del 1982, fu un disastro al botteghino, portò a casa poco più di 3 milioni di ex presidenti stampati su carta verde, nel primo weekend e un totale di 19 (e spiccioli) in totale, piazzandosi al non proprio lusinghiero 42esimo posto dei maggiori incassi dell’anno, determinato il primo flop della carriera di Carpenter, primo, ma purtroppo non unico e, come si dice, quando piove grandina…
Oltre al disastro al botteghino, il Maestro ha dovuto subire anche una serie infinita di critiche negative, il suo film troppo cinico, cupo e pessimista ha avuto una grande sfiga, ovvero quella di uscire nella sale due settimane dopo un altro con un alieno tenerino e caruccetto che voleva solo telefonare a casa.
Il mondo, ancora incantato dalla magia del film di Steven Spielberg, guardava le stelle con il naso all’insù aspettandosi un visitatore armato di tanto amore, al massimo di un telefono via!
Quando si trovarono di fronte l’informe, disgustosa e disturbante creatura di Carpenter, nessuno era pronto a temere nuovamente il buio dietro le stelle, il clima di paranoia che ti porta a non fidarti nemmeno dei bipedi della tua specie, no, dopo E.T. davvero nessuno era pronto per il capolavoro di Carpenter. Come dice la frase più riuscita (e anche la preferita di Giovanni) di tutto il film: «La fiducia è una cosa molto rara oggigiorno.»
Un altro film cupo (e mitico) che risentì al botteghino dell’alieno di Spielberg (per altro mezzo plagio dello Skizz di Alan Moore, questo non lo dice mai nessuno!) è stato Blade Runner, uscito nelle sale lo stesso giorno de “La Cosa”… A me non capita mai di dover scegliere due film in sala così, però, eh!
Cavolo! Ma vi rendete conto di che danni ha fatto E.T. sto seriamente pensando che abbia fatto più male che bene al cinema, ah ma se lo becco quel piccoletto! … Aspettate un attimo, l’ho visto! Eccolo! Vieni qui piccolo bastardello… SBAM! STUMP! CRASHH!
Brutto bastardo ti gonfio di botte! Come non sei E.T.? Sei piccolo, marrone, se non sei E.T. chi sei? BAMBI!?! Che cacchio ci fai nel mio commento su “La Cosa”?? Vattene via! Hai già traumatizzato milioni di spettatori, via! Fammi tornare a commentare, ma se vedi E.T. digli che Cassidy lo sta cercando e appena lo trovo quel telefono glielo faccio ingoiare!
Cosa stavamo dicendo? Ah sì, eravamo arrivati alla parte triste della storia, con il flop al botteghino i critici cinematografici uscirono dalle gabbie per massacrare Carpenter, qualcuno arrivò addirittura a definirlo “Pornografo della violenza”.
Negli anni mi sono letto, guardato e ascoltato tutte le interviste a Carpenter possibili, ogni tanto questa cosa del “Pornografo della violenza” torna, a volte con il consueto approccio di Giovanni, roba del tipo “Ma’rimbalzi”, tante altre volte invece in maniera risentita e sdegnata. Dopo aver dichiarato che di tutti i film fatti, “La Cosa” è il suo preferito, non deve essere stato semplice digerire il fallimento.
Ma padre tempo alla fine cura (quasi) tutto, il film è andato a ruba per l’home video e negli anni è assorto allo status di capolavoro che merita, spesso è una parola abusata parlando di cinema, ma in questo caso è l’unica che bisogna utilizzare per parlare di questo film.
Il meglio l’ho riservato per la fine, tra tutti i finali Carpenteriani, in linea di massima piuttosto riusciti, quello de “La Cosa” è un apice assoluto, i due sopravvissuti sono lì al gelo, aspettando una fine inevitabile, i due si fissano, si studiano e anche a questo punto del film, il sospetto comunque è ancora presente, voi tenete d’occhio le nuvole di fiato gelato che escono dalle bocche sei personaggi, no, decisamente E.T. non è mai stato più lontano di così. Anche perché se passa di qui… «Be’… Che facciamo?», «Perché non aspettiamo qui ancora un po’ e vediamo che succede?»