ladro” (1956) venne bollato come un film fin troppo realistico, poco hitchcockiano,
forse anche per questo il film successivo di Sir Alfred Hitchcock puntava ad
essere molto più personale, oltre che, vabbè, robetta… Un classico della storia del
cinema.
non fu semplice, la riassume alla grande François Truffaut nel fondamentale “Il
cinema secondo Hitchcock” quando intervistando il grande Maestro, il regista di “Effetto notte” (1973) sostiene che
il romanzo originale, “D’entre les morts” (1954) di Pierre Boileau e Thomas Narcejac, sarebbe
stato acquistato lo stesso in Francia, perché dopo il successo di I diabolici
che attirò l’attenzione proprio di zio Hitch, i due scrittori cominciarono a
battere sui tasti come indemoniati per pubblicare di nuovo qualcosa di analogo,
un soggetto che la Paramount acquistò al volo proprio per offrirlo ad
Hitchcock.
l’adattamento non fu una parte semplice del processo: la prima stesura di Alec
Coppel venne bocciata dal regista, nel tentativo di sbrogliare la matassa, la
Paramount affidò il compito a Samuel A. Taylor che con le solite ingerenze da
parte del regista inglese, sfornò la sceneggiatura di “Vertigo”, il titolo
definitivo che soppiantò “From among the dead”, traduzione letterale del titolo
del romanzo da cui è tratto.
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Lo riconoscete? Pronti via, il cameo di zio Hitch. |
titolo riprende vari elementi, non ultimo la mia, visto che scrivere di un
classico come questo, uno tra i più analizzati e studiati della vasta
produzione hitchcockiana un minimo di giramento di capo me lo procura, quindi
un po’ lo comprendo Jimmy Stewart che qui interpreta l’avvocato e poliziotto John
Ferguson, detto Scottie per gli amici, che non solo soffre di vertigini, ma a
suo modo è perso in una vertigine amorosa che lo porta ad affrontare le svolte
del suo inconscio, una vicenda per sua natura circolare più di una spirale e
dove uno degli indizi è rappresentato da un ritratto con una donna con un’acconciatura
a spirale, insomma “Vertigo” è un titolo così azzeccato per questa pietra miliare
che in uno strambo Paese a forma di scarpa, non potevamo che stravolgerlo, per
una volta non per forza facendo enormi danni.
titolo tutto orientato al protagonista maschile e ai suoi turbamenti, nella
versione italica l’attenzione è rivolta all’oggetto del suo desiderio, “La
donna che visse due volte” non è solo un titolo chilometrico come da moda
italiana del tempo, ma anche dannatamente evocativo, quindi non mi resta che aggiungere
il mio contributo alla leggenda, il logo rosso dei Classidy!
domani per parlare di un altro fil… Non me la cavo così, vero? Forza,
affrontiamo le vertigini allora. Come vedremo più avanti zio Hitch non ha
proprio potuto contare su tutti i nomi che avrebbe voluto per realizzare questo
film, però i suoi pretoriani non sono mancati, le musiche del compositore Bernard
Herrmann combinate al talento di Saul Bass, aprono il film con alcuni dei
titoli di testa più iconici di tutta la produzione hitchcockiana, un primo
piano strettissimo sui dettagli del volto di una donna, la bocca, il naso, gli
occhi, fino alla pupilla che si trasforma nella spirale della già citata
vertigine, mentre siamo ancora imbambolati da questo esperimento di ipnosi, Hitchcock
pronti via, fa iniziare il suo film in corsa sui tetti, la regola dei cinque
minuti iniziali, quelli che determinano tutto l’andamento della pellicola,
rispettata alla perfezione.
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Per i titoli di testa, non abbiamo badato a spese, anche la colonna sonora oggi! |
che scotta (ah-ah) impegnato ad inseguire un ladro in fuga, il suo collega
poliziotto inciampa, resta appeso al cornicione e poi precipita nel vuoto,
davanti agli occhi del protagonista che non è riuscito a salvarlo, un trauma che
lo segnerà per sempre, provocandogli l’acrofobia che lo costringerà a rinunciare
al distintivo.
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“Beam me up, Scottie” (quasi-cit.) |
quando il suo ex-compagno di college, Gavin Elster (Tom Helmore), un grosso
imprenditore locale, gli chiederà come favore di sorvegliare sua moglie Madeleine
(Kim Novak), vittima di bizzarre ossessioni, la donna si identifica con la bisnonna
materna Carlotta Valdés, ritratta in un quadra con una crocchia di capelli a
spirale in testa, morta suicida a ventisei anni, ovvero la stessa età di Madeleine.
Che poi, oh, se non fosse per le influenze nefaste della parente trapassata, lo
scalino successivo è sempre “Il club dei 39 del 27”, Janis, Jimi, Jim,
Kurt, Amy, quindi io le paranoie di Madeleine un po’ le comprendo.
Scottie incontra la
donna per la prima volta in un ristorante di lusso, stupenda in un vestito non
a caso verde (lasciatemi l’icona aperta, più avanti ci torneremo, suspence!),
ovviamente se ne innamora perché, che cavolo, Kim Novak, è di una bellezza
selvaggia, impossibile restare impassibili, a meno di non chiamarsi Hitchcock Alfred,
Sir.
diceva lassù “La donna che visse due volte” è forse il film più personale del
Maestro del brivido, quello in cui la sua biografia va a braccetto con la trama,
i suoi complicati trascorsi con le donne e la magnetica attrazione per le bionde,
fanno del James Stewart di questo film – titolare di una prova cupa e disperata
davvero notevole alla sua quarta collaborazione con Hitch – l’alter ego perfetto
del regista che in quel periodo aveva due grossi problemi: la salute e Vera Miles.
minata dalla sua seconda (o terza? Fate voi) passione ovvero il cibo, costretto
ad una dieta ferrea dopo un’operazione alla cistifellea che ritarò l’inizio
delle riprese, Hitchcock era pronto a girare, ma a Vera Miles venne la
malaugurata idea di restare incinta e se vi sembra una frase scortese sappiate
che Hitch ne ha riservate all’attrice di ben peggiori, quando Truffaut nell’intervista
fiume del già citato libro tratta l’argomento, ha la fortuna di trovare un Hitchcock
che aveva già stemperato la furia, che bolla il tutto con un lapidario: «Poi ho
perso interesse per lei, il ritmo non c’era più», il maestro del brivido e l’altra
metà del cielo, storie tesissime.
Hitch, ma Kim Novak è un gran bell’accontentarsi, forse per noi spettatori
visto che oltre ad essere bellissima qui offre una delle sue prove migliori,
anche se a Hitch questa qua, refrattaria al reggiseno e fin troppo interessata a
dare spessore al suo personaggio (il regista dovette prenderla da parte e
spiegarle che il suo interesse principale non erano le sfaccettature dei
personaggi, ma il colpo di scena, l’effetto visivo finale, storia vera) proprio non piaceva, il tutto si riassume nella sua frase: «Almeno ho potuto
gettarla in acqua», delle storie tesissime con l’altro sesso vi ho già detto,
vero? Ok, andiamo avanti.
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“Un po’ più avanti Kim, ancora un po’, ancora un passo grazie…” |
due volte” è un film diviso in due metà, un dato di fatto che il titolo
italiano in qualche modo restituisce, quello che interessava ad Hitchcock era
raccontare gli sforzi di un uomo nel ricreare l’immagine di una donna morta e aver
dovuto rinunciare a Vera Miles (a cui comunque Hitch affiderà in ruolo chiave
nel successivo Psycho) deve aver motivato il regista. “Vertigo” ha un
ritmo bello largo e momenti molto evocativi, applicati ad un film curato nei
minimi dettagli, non mi riferisco tanto all’ossessione per le righe verticali
di Hitch che qui vengono riprese ovunque, dal campanile al drappeggio delle
tende al disegno sulle cravatte di Stewart, quando più che altro all’uso espressionista
delle forme e dei colori.
sono ovunque, messi lì a rievocare il doppio, tema chiave della storia, ma
anche il parallelismo tra l’acconciatura di Madeleine e la crocchia a spirale della
sua bisnonna nel quadro, come se l’immagine (l’inquadratura cinematografica)
diventasse una cornice alla cornice del dipinto, in questa trama che ricalca l’effetto
Pigmalione, perché di fatto è la storia di un uomo che s’innamora del
simulacro di una donna perfetta, arrivando a costruirne una perso nella sua
vertigine amorosa.
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Sir Alfred Hitchcock, arte su pellicola, 1958. |
un’icona dedicata al colore verde, la chiudiamo subito: Kim Novak entra in
scena in un elegante vestito verde, poi, quando Jimmy Stewart comincia a
pedinarla, la vediamo nel famigerato tailleur grigio che diventa uno dei
tasselli chiave dell’ossessione di Scottie, grigio, per altro, come le tomba dove
la donna vaga nel cimitero, un chiaro presagio di sfighe future.
gli Spoiler-fobici con me, che qui oggi con l’acrofobia del protagonista è già
un casino, poi il film ha più di sessant’anni, quindi sono sicuro che conosciate
tutti la sua trama, anche perché il già citato titolo italiano fa un po’ da paracadute.
Il colpo di scena che spezza in due il film è il volo dal campanile di Madeleine,
un momento di tensione ottenuto grazie alla regia di Hitchcock, zoom all’indietro
e carrello in avanti, in un’inquadratura che ha fatto scuola che per essere
realizzata all’interno della tromba delle scale della missione di San Juan
Bautista, il vero set per la celebre scena, avrebbe richiesto un sacco di fogli
verdi con sopra facce di ex presidenti defunti, il regista ottenne lo stesso
risultato grazie ad un modellino ultra dettagliato (ma molto meno costoso) che
gli permetteva di non dover nemmeno inclinare la macchina da presa, visto che
ha potuto ottenere lo spettacolare effetto desiderato mantenendolo in piano
(storia vera).
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So che Steven Spielberg e Sam Raimi apprezzereanno. |
gli apici surrealisti di “Io ti salverò” (1945), Hitch fa entrare il suo film
nel mito anche grazie alla scena dell’incubo di Scottie, un traumatico
risveglio tipo post peperonata che è uscito da questo film per diventare
patrimonio di tutti gli horror dal 1958 a scendere, giusto per sottolineare
quanti quintali di iconografia questo film abbia generato.
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“KEVIN!“ |
con il romanzo originale, è stata una soluzione imposta da Hitchcok al suo
sceneggiatore, quando Scottie conosce la donna bruna di nome Judy (sempre Kim
Novak), arriva un lungo dialogo in cui lei accetta l’invito a cena, solo dopo
aver messo in chiaro la sua identità, somiglierà anche alla defunta Madeleine,
ma di certo non è lei. Nel romanzo bisognava arrivare alle ultime pagine per
svelare il mistero, zio Hitch, invece, alla faccia delle lamentele della
Paramount, applicò uno dei suoi classici principi per tenere alta la suspence,
ovvero fornire al pubblico più informazioni che ai protagonisti della storia.
la lettera in cui confessa, come spettatori a metà film abbiamo la prova che
lei è la stessa Madeleine di cui Scottie si è innamorato, veniamo a conoscenza
del piano macchiavellico del marito Gavin Elster di sfruttare la fobia dell’amico
per fregare tutti insomma, Hitchock se ne sbatte del giallo classico da
risolvere solo nel finale e trasforma “Vertigo” in quello che lui desiderava
per questa storia.
Stewart, il bravo ragazzo d’America, di trasformare Judy nella defunta Madeleine
gettano un’ombra inquietante sul personaggio di Scottie, gli sforzi di vestire
la ragazza come l’amata trapassata, cinematograficamente parlando, sono
mostrati da Hitch come se l’uomo stesse cercando di spogliarla invece di
vestirla da capo a piedi. Ogni capo indossato è frutto di trattative e
compromessi, quando, poi, Judy cede anche sul colore dei suoi capelli, come
spettatori vediamo ritornare la Kim Novak che abbiamo visto in questo film,
trasformata nella bionda hitchcockiana perfetta o quasi, manca solo un dettaglio
e qui il colore verde torna prepotentemente di moda.
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trasformazione si completa, Hitchcock, non a caso, immerge Kim Novak nella luce
verde dell’insegna al neon fuori dalla finestra, per sottolineare attraverso un
utilizzo espressivo del colore il messaggio: non solo ora Judy è la nuova Madeleine,
ma l’ossessione del protagonista è sotto i nostri occhi. Se nella scena del
cimitero, quando Scottie osservava il suo oggetto del desiderio da lontano, il
regista attraverso dei filtri di nebbia, ottiene un riverbero (non a caso) verde
del sole, il tutto per sottolineare l’intreccio.
contrario della nuova Madeleine è curata dal protagonista con un’ossessione per
i dettagli da vero maniaco, l’uso del colore verde in quei due momenti chiave mette
in chiaro la volontà di Scotti di ricreare l’immagine di una defunta, in poche
parole di voler andare a letto con una morta, passare da acrofobia a necrofilia
è un attimo, non è un caso se dopo Scottie, il regista inglese non ci ha messo
molto ad arrivare a Norman Bates.
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“Baciami, stupido”, “Ehi ma quello era un film di Billy Wilder” |
Jimmy Stewart immobilizzato dal gesso e il più delle volte spettatore passivo
degli eventi, distanti da lui come gli appartamenti dei vicini di casa, qui lo
stesso attore interpreta un personaggio che al massimo deambula un po’ con il
bastone nella parte iniziale del film, ma è ancora più spezzato, pur ricoprendo
un ruolo attivo, qui è lui ad intervenire facendo vivere Madeleine per ricreare
il trauma, solo superandolo potrà essere libero e, infatti, proprio per questo, “Vertigo”
è uno dei film dal finale più cinico di tutta la produzione hitchcockiana,
oltre ad aver influenzato quei cinque o sei quintali di cinema venuto dopo
questa pietra miliare.
un protagonista tormentato da un incubo psichedelico o con un uomo maltrattante
e manipolatore devono qualcosa a questo film, in generale per temi e bionde
ossessioni, registi come Wright, De Palma e Verhoeven si sono
abbeverati alla fonte del Maestro della suspence, se poi io fossi una persona
particolarmente colta e preparata, dovrei mettervi su un raffinato riferimento
tra la bionda di Hitch e le Madeleine di Marcel Proust, ma siccome sono più un
tipo pane e salame, per darvi un’idea di a che livello questo film abbia
influenzato la cultura popolare, faccio un altro giro.
creata da Chris Claremont sulla pagine di “Uncanny X-Men” n. 168 (aprile
1983), di fatto è la donna di cui s’innamora Ciclope, capo degli Uomini-Pareggio,
prima di scoprire che si tratta di un clone della defunta (allora) Jean Grey,
primo grande amore del personaggio. A suo modo una donna che visse due volte con
un nome volutamente Hitchcockiano, questo per dirvi di quanto lontano è in
grado di proiettarsi l’ombra di un grande Maestro della settima arte e su
questa metafora, direi che potrei tranquillamente concludere il post con una bella… SIGLA!