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La famiglia Addams (1991): para pa pam (schiocco di dita, schiocco di dita)

Il New Jersey è una palude nebbiosa e anche un po’ lugubre, da questa landa desolata il più delle volte scherzata dai vicini Newyorkesi, sono arrivati il vendicatore tossico della Troma, Bruce Springsteen e il disegnatore Charles Addams.

Nonno Charles, il patriarca della famiglia Addams.

Addams, nato a cresciuto a Westfield, con il tempo ha sviluppato una predilezione per il disegno, i fumetti e l’umorismo nero, normale quando abiti in un posto come il New Jersey. La svolta è arrivata con le sue prime vignette pubblicate sulle pagine della testata The New Yorker, in particolare il colpo grosso per Addams arrivò nel 1938, quando cominciò a disegnare le strisce a fumetti di una famiglia, chiaramente ispirata alla sua, caratterizzata da un umorismo nerissimo e una smaccata presa per i fondelli allo stile di vita dei borghesi americani. La famiglia in questione, come quasi tutti i protagonisti, non aveva nemmeno un nome, ma il successo di pubblico fu così travolgente che per mettere in commercio una linea di giocattoli ispirata ai personaggi, toccava battezzarli (su suolo sconsacrato ovviamente), così nacquero Morticia, Gomez, Mercoledì e Pugsley, che originariamente avrebbe dovuto chiamarsi Pubert, prima che il nome scelto da Addams non venne bocciato perché eccessivamente provocatorio (storia vera). Chissà perché, non riesco a fare altro che immaginarmi Charles Addams impegnato a ridacchiare davanti alla reazione del consiglio di amministrazione, che stava per investire soldoni in un pupazzetto di nome Pubert.

Fumetti, anche i più gotici hanno iniziato così.

Inutile girarci attorno, la famiglia Addams è patrimonio della cultura popolare, il quantitativo di gadget, gli adattamenti animati e soprattutto lo storico telefilm degli anni ’60 con Carolyn Jones e John Astin, hanno reso questi personaggi parte di quei ricordi condivisi con cui siamo tutti cresciuti, non credo di conoscere nessuno che non abbia mai sentito parlare di questi degli Addams, oppure che non li apprezzi.

Ma qui tocca prendere una posizione netta, signore e signori vi chiedo cortesemente di rivolgere il vostro sguardo lassù al nome del blog? L’indizio in questione dovrebbe farvi vagamente intuire il mio rapporto con “La famiglia Addams”, perché chiunque può apprezzare i personaggi creati da Charles Addams, ma qualcuno come il sottoscritto vive in un costante “Stato di Addams” dal giorno della sua nascita.

Nessuno qui ha mezza intenzione di pensare ai bambini.

Per pallore e mono cromaticità del guardaroba (a lutto) potrei tranquillamente essere il cugino scemo della famiglia, ma la verità ha radici ancora più profonde, a Casa Cassidy abbiamo uno zio ovviamente ribattezzato Fester, perché del tutto identico (lampadina compresa) all’originale (storia vera). Per questo e per un milione di altri dettagli posso dire che qualcuno con “La famiglia Addams” può farsi quattro risate, qualcun altro invece ci vive in questo mondo fatto di umorismo nero e trovate gustosamente macabre.

Se anche tu hai uno zio così, sei uno di noi.

Di fatto l’umorismo di Charles Addams è un classico, ribaltare al contrario quello che viene considerato normale da beh, i “normali”. Il tipo di umorismo su cui zia Cassandra Peterson ha basato tutta la sua carriera (e il personaggio di Elvira), oppure Alice Cooper, che conclude i suoi concerti augurando buona notte e incubi orribili a tutti, insomma prima di fare la conoscenza di zio Tibia e del guardiano della cripta, tutti noi abbiamo sbattuto il naso contro “La famiglia Addams”, anche se il telefilm degli anni ’60 per certi versi si prendeva delle libertà sulla gestione dei personaggi. Infatti non era strano vedere gli Addams fare della satira politica, questo perché i personaggi di Charles Addams sono talmente universali da adattarsi ad ogni nuova epoca, restando sempre loro stessi, infinitamente gotici e mostruosi.

Su questo principio nei primi anni ’90 la Orion Pictures, titolare dei diritti di sfruttamento della serie televisiva cercò di rilanciare la famiglia Addams al cinema, credendo molto in questo progetto, problema: la Orion stava già alla canna del gas e prima di dichiarare bancarotta cedette i diritti alla Paramount che invece non sapeva bene che farsene di una famiglia di strambo idi, protagonisti di un telefilm in bianco e nero vecchio di trent’anni.

«Guarda, ci sono dei normali tanti buoni proprio sotto di noi», «Fritti con olio bollente saranno anche più buoni»

Era di diverso avviso il produttore Scott Rudin. Definirlo illuminato sarebbe riduttivo perché il suo piano, come accade spesso con rilanci di questo tipo, era di riportare la famiglia Addams alle sue origini cartacee, per farlo affidò la sceneggiatura del film a Larry Wilson e Caroline Thompson, già responsabili della sceneggiatura di “Beetlejuice” (1988) e “Edward mani di forbice” (1990). Da qui la domanda più facile del mondo: perché Rudin non ha fatto il pacchetto completo arruolando lo stesso Tim Burton? Sarebbe stata la scelta più ovvia del mondo. Spulciando informazioni non ho letto di contatti tra la Paramount e Burton, probabilmente perché in quel periodo il regista con i riccioli era a libro paga per la Warner Brothers ed era già parecchio indaffarato. Ma per certi versi viviamo nel migliore dei mondi possibili, perché “La famiglia Addams” è stato l’esordio alla regia di Barry Sonnenfeld.

Miss Ricci, la mia cotta infantile mai superata.

Sonnenfeld era stato il direttore della fotografia di fiducia dei fratelli Coen per una vita, aveva già avuto occasione di metter ehm, mano, a qualche titolo grosso ed era pronto a fare il salto, inoltre in carriera il vecchio Barry ha dimostrato di avere una propensione per l’umorismo nero. Potremmo quasi considerare il rap di MC Hammer sui titoli di coda di questa film, con la sua, mi sembra il caso di dirlo, martellante “Addams family groove” una sorta di prova generale per quello che poi sarebbe diventato “Men in Black”, anche lui tratto da un fumetto e reso celebre da una canzone rap, tanto innocua quanto orecchiabile.

Siamo ragazzi semplici, vediamo il sangue e ci esaltiamo.

Senza ombra di dubbio se penso a due film che ho visto e rivisto milioni di volte nella mia vita, i due titoli con attori nero vestiti diretti da Barry Sonnenfeld, giocano in una categoria del tutto speciale. Ora ho un dubbio e la memoria non mi aiuta, avevo una vhs, una di quelle non proprio ufficialissime (immaginate Mano fuori dalla sua scatola fare il classico gesto universalmente noto come “Aumma aumma”), ora non ricordo se fosse di questo film o del suo altrettanto notevole seguito (si, arriverà anche quello su questa Bara, non chiedetemelo nemmeno, ormai sono lanciato), ma ho il sospetto di averle avute entrambe, perché sono film che ho mandato a memoria durante la mia infanzia. Ancora oggi potreste togliere l’audio ed io potrei recitarvi tutte le battute in italiano a memoria (storia vera), insomma… Classido!

“La famiglia Addams” si prende delle libertà rispetto alla striscia a fumetti e alla serie televisiva degli anni ’60, in questa versione del film, Fester non è lo zio di Morticia ma il fratello di Gomez, quindi per certi versi il film di Sonnenfeld è uno di quei “reboot” che applicano minime modifiche ai personaggi, che oggi come minimo provocherebbero la solita insurrezione popolare di nerd in rete, per fortuna trent’anni fa vivevamo tutti più tranquilli e nessuno si faceva venire la gastrite per queste trovate. Anzi sono piuttosto sicuro che grazie all’influenza di questo film, molti siano ancora pronti a giurare e spergiurare che nell’albero genealogico della famiglia Addams, Fester e Gomez siano fratelli.

Importante avere il pollice verde, oppure staccarlo a qualcuno che lo ha.

Cosa funziona di “The Addams Family”? Praticamente tutto, considerata la sua data di uscita, all’inizio degli anemici anni ’90, questo film ha fatto ancora in tempo a risultare strambo quel tanto che bastava da essere in pieno stile Addams, alcuni momenti divertenti del film, arrivano direttamente dal fumetto e quel modo di mettere alla berlina la vita dei “W.A.S.P.” yankee funziona alla perfezione. Le scenografie di Richard MacDonald sono quanto di più Burtoniano visto ad ovest di Tim Burton, quando questo aggettivo aveva ancora un’eccezione positiva e il regista una testa attaccata sulle spalle. Ma anche le musiche di Marc Shaiman funzionano alla grande, non sono solo una rivisitazione del classico tema principale, quello con il più famoso schiocco di dita della cultura popolare, prima che arrivasse un titano dalla pelle viola a cercare di oscurare il primato.

Cinque dita di violenza strafottenza.

Dov’è che “La famiglia Addams” passa dall’essere un buon adattamento, ad un film memorabile? Senza ombra di dubbio nella selezione delle attrici e degli attori, che non esito a definire geniale ma anche incredibilmente spericolata.

Anjelica Huston non era il tipo di attrice che sarebbe stato lecito attendersi in un film di questo tipo, ma la sua prova impeccabile in Chi ha paura delle streghe? Le è valsa il ruolo per cui il 90% della popolazione mondiale la ricorderà. Parliamoci chiaro, Anjelica Huston è una bellissima signora con la forma del volto ricalcata su quella del suo celebre papà, non proprio un profilo gentilissimo, ma nei panni di Morticia Addams guadagna quei sette o ottocento chili di “sesso a pile”, necessario a renderla perfetta per il ruolo, anzi oserei dire degnissima di portare avanti una tradizione di gotiche celebri come Carolyn Jones, la già citata Cassandra Peterson, fino ad arrivare più indietro fino a Vampira, ovvero la mitica Maila Nurmi. Inoltre a tutte le lettrici della Bara Volante (tutte e nove), quante di voi nella vita si sono beccate della “Morticia” per via di un guardaroba totalmente nero? Tante lo so, e sono sicuro che questo film è anche uno di vostri preferiti, perché gli Addams sono un concetto di famiglia allargata che abbraccia tutti noi stramboidi palliducci e grazie ad Anjelica, si lascia intendere che uno dei patriarchi della famiglia, sperso lassù nell’albero genealogico, potrebbe essere proprio papà John.

Nel mio vocabolario, “Morticia” è il migliore dei complimenti.

Ma se Anjelica Huston era una scelta poco convenzionale, cosa dovremmo dire di Raúl Juliá? Grandissimo e dimenticato attore splendido in titoli come “Il bacio della donna ragno” (1985), con una tradizione di ruoli torbidi e generalmente da cattivo “latino”, per via delle sue origini cubane. Il suo Gomez Addams non somiglia per nulla al tarchiato personaggio delle strisce a fumetti ed se eredita da John Astin la parlantina sciolta. Ma se ancora oggi Gomez è considerato generalmente un uomo di bell’aspetto e un amante “caliente” è proprio grazie alla prova di Raúl Juliá, che qui ci ha regalato il suo primo ruolo Pop, uno dove era nel pieno del suo talento e della sua forma fisica, per il secondo avremmo dovuto attendere il generale Bison di Street Fighter, quando ormai purtroppo la salute lo aveva già abbandonato.

«Fermi tutti! Cassidy sta parlando di me!»

Christopher Lloyd si è costruito una carriera grazie a spilungoni dinoccolati con lo sguardo da pazzi, che fossero essi Klingon, giudici che odiano i cartoni animati o scienziati di ritorno al futuro. Per un tracagnotto come Fester non sarebbe la scelta più ovvia, ma Lloyd ha risposto con una prova magnifica, rifiutando i trucchi prostetici per il naso (per renderlo più simile alla versione cartacea) ma decidendo di sua iniziativa di rasarsi la testa, risparmiando così tempo per una “pelata” finta da applicare ogni giorno con una lunga sessione di trucco (storia vera). Volete dirmi che riuscirete ad immaginare lo zio Fester senza la lampadina in bocca le espressioni facciali di Christopher Lloyd? Qui per altro in un doppio ruolo difficilissimo, non solo doveva essere un convincente Fester Addams, ma doveva essere anche Gordon, l’uomo che impersona Fester con tanta abilità da superare anche i sospetti dei suoi famigliari. A quanti attori è stato chiesto di calarsi in un ruolo, facendo un tale salto carpiato? Non molti secondo me e questo dice moltissimo dello straordinario talento di Christopher Lloyd.

Comodissima per leggere a letto.

Mi perdonino Pugsley e Nonna Addams, comunque davvero azzeccatissimi, così come l’idea brillante di affidare al Carel Struycken di Twin Peaks il ruolo del maggiordomo Lurch, ma io qui ho premura di calare la maschera e parlarvi della mia preferita. Christina Ricci arrivava dal successo di “Sirene” (1990), ma è con Mercoledì Addams che si è presa il mio cuore, immaginate uno stramboide nero vestito pallido come un Addams, grossomodo dell’età della Ricci (sono di poco più giovane) davanti a quella bimba con le trecce, che chiedeva di giocare al gioco “Esite un Dio?” oppure che chiedeva se i biscotti degli Scout erano fatti con veri Scout. Non mi sono mai ripreso, lo ammetto candidamente da allora Christina Ricci è ancora nella mia “Top Five” di cotte cinematografiche, anche nota come “Con chi vorresti restare bloccato in ascensore un paio d’ore il quindici d’agosto, senza conseguenze e postumi sulla lunga distanza?”, quindi non chiedetemi di essere oggettivo quando si tratta della Mercoledì Addams di Christina Ricci, ho viaggiato nella mia caverna interiore alla ricerca del mio animale guida, ed invece di trovarci un pinguino che dice «Scivola», io ci ho trovato Mercoledì Addams con in braccio una bambola decapitata, anzi se volete saperlo, la capoccia del pupazzo preferito del mio cane (unica parte che resta dopo anni di masticamento) si chiama Maria Antonietta, come la bambola di Mercoledì (storia vera). Ve l’ho detto che io vivo in “stato di Addams”, mica stavo scherzando!

Christina impegnata a defibrillare il mio cuoricino di pilota di bare.

La storia poi è un modo abbastanza originale di approcciarsi ai personaggi, cambiare così radicalmente Fester è del tutto funzionale alla trama, anche se nella prima stesura della bozza, Gordon avrebbe dovuto essere davvero un impostore, pare che furono anche le proteste di Christina Ricci (santa donna!) ad influire sul cambio. Quindi “La famiglia Addams” sceglie di raccontarci i protagonisti, dal punto di vista di un personaggio “normale” come Gordon, che fingendosi Fester redivivo e tornato dal temibile triangolo delle Bermude, cerca di raggirarli per accedere al loro tesoro di famiglia, ma allo stesso tempo ci mostra la vita di questi personaggi, che sono ricchi e quindi possono permettersi di essere considerati eccentrici (se sei povero, sei strambo e basta), ma che hanno anche tutta una loro scala di valori, ribaltati rispetto al canonico “American way of life” quanto volete, ma di certo questo li rende persone di cuore, anzi credo che ne abbiano almeno sette o otto, nella loro collezione.

L’altra “tradimento” al canone, è la scelta del tutto cinematografica di liberare “Thing” (da noi più conosciuta come Mano) dalla sua scatola, sfruttando lo schermo verde e l’abilità nel muovere le dita di Christopher Hart. Il risultato permette a Mano di essere ben più dinamica anche nelle iterazioni con il resto della famiglia («Brava Mano, dai una mano!»), ed è proprio grazie al tentativo di truffa del finto-vero-Fester che finiremo come spettatori ad affezionarci al modo di vivere degli Addams, una grande casata piena di personaggi bizzarri come le sorelle Flora e Fauna, oppure il Cugino Itt, ma anche di tradizioni di famiglia esaltanti, vi dico solo una parola: Mamuska! («… la farina del Diavolo va in crusca!»).

Classico istantaneo!

Insomma potrei stare qui diciotto giorni a raccontarvi per filo e per segno ogni scena di questo film (sapete che ne sarei capace), ma per festeggiare i primi trent’anni di questo film facendogli gli auguri, posso solo dire che per me tutto questo tempo è stato come passarlo in famiglia, se esiste questo blog lo devo anche un po’ all’essermi ritrovato completamente dell’umorismo macabro, nero e scemo di Charles Addams e dei suoi personaggi, così ben riproposti al cinema da Barry Sonnenfeld. Quindi dandovi l’appuntamento alla prossima settimana con il secondo film degli Addams, mi sembra giusto congedarmi ricordando il motto di famiglia in latino maccheronico: sic gorgiamus allos subjectatos nunc. Con delizia banchettiamo di coloro che vorrebbero assoggettarci. E non è tanto per dire.

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