Indovinate chi compie i suoi primi quarant’anni? Il vecchio Logan, è quasi ironico festeggiare il compleanno degli “…anta”, per un personaggio che non avrebbe dovuto superare gli “…enta”.
Se c’è un film che insieme a Soylent Green e Rollerball mi ha fatto innamorare della fantascienza distopica degli anni ’70, quello è sicuramente “La fuga di Logan”, ho ricordi abbastanza chiari di quando lo guardavo in tv da bambino e alla fine succede sempre che a cadenza quasi periodica io decida di rivedermelo. Il mito di questo film è cresciuto negli anni fino ad assorgere allo status di Cult, certo bisogna dire che Padre Tempo non è stato affatto buono con questa pellicola, ma per i suoi contenuti, più che per i manifesti segni del tempo, “La fuga di Logan” è sicuramente un Classido!
Alla base del film il romanzo omonimo del 1967, scritto a quattro mani da William Francis Nolan e George Clayton Johnson, i cui diritti di sfruttamento, dopo una serie di rimpalli, finirono nella mani del produttore Saul David, che affidò la regia a Michael Anderson (premio Oscar per “Il giro del mondo in 80 giorni” nel 1957) e una valigetta con 9 milioni di ex presidenti morti stampati su carta verde da utilizzare come budget. Il film è un discreto successo numeri alla mano, con 25 milioni si ripaga la produzione (per un confronto con i film moderni, moltiplicate pure per tre questi numeri), ma va sotto con perdite contro due altri film, usciti pochi mesi dopo: “Incontri ravvicinati del terzo tipo” e Guerre Stellari, non proprio la pizza con i fichi.
Ma prima di continuare, un po’ di tastini da schiacciare! Il Zinefilo si mette sulle tracce di Logan.
IPMP con la locandina italiana dell’epoca.
Questi due film cambiano la percezione della fantascienza presso il grande pubblico, contribuendo a mettere la parola fine al filone della fantascienza distopica, anche perché paragonando gli effetti speciali dei tre film, quelli di Spielberg e Lucas tengono magistralmente botta, mentre quello di Michael Anderson è invecchiato malamente. Ma il film, resiliente come il suo protagonista, piazzò la stoccata definitiva, portandosi a casa l’Oscar per i migliori effetti speciali, questo riassume più di mille parole l’utilità di quel premio.
Il 23esimo secolo sembra un plastico di Bruno Vespa. |
Anno 2247 i sopravvissuti ad una guerra nucleare (“Nuculare, si dice Nuculare” Cit.) vivono in un’enorme e tecnologica città protetta da una cupola gigante, la loro vita è gestita da un super computer che fornisce alla popolazione cibo, confort e protezione. C’è solo una particolarità: nessuno degli abitanti ha più di 30 anni.
Tutti i cittadini hanno in comune una cosa: una pietra incastonata nel palmo di una mano. Se ve lo state chiedendo vi rispondo subito: no, non serve come le conchigliette di Demolition Man ha un’altra funzione. La pietruzza ha un colore, in base al quale divide la popolazione in caste, i primi sono i gialli, ragazzini che vivono un po’ alla selvaggia relegati agli strati inferiori che allo scoccare dei 14 anni, possono accedere alla civiltà.
Fantasmi formaggini? Ci fate vedere la pietruzza sulla mano? |
Subito dopo abbiamo la squadra dei verdi (non ancora maturi…), poi ci sono i rossi che non sta ad indicare la loro appartenenza politica, ma il fatto che sono prossimi a compiere 30 anni. Gli ultimi sono i guardiani, impegnati a mantenere l’ordine e a braccare i pochi che tentano la fuga, li riconoscete perché sono vestiti di nero, cosa che mi fa pensare che i colori non siano stai scelti a caso.
Un lavoro che ti permette di stare tutto il giorno in pigiama. |
Ad ogni modo, se la pietra rossa inizia a lampeggiare, non vuol dire che sono rimasti senza benzina, ma che hanno raggiunto la fine del vostro ciclo vitale ed è giunto il momento di assorgere, attraverso un rito, alla prossima vita, infatti tutti gli abitanti sono identificati da un nome seguito da un numero, per capirci, tipo Rocky 5 o Rambo 4, perché, di fatto, sono dei seguiti di un fenotipo umano che con estrema gioia accolgono a braccia aperte il rituale di passaggio, lanciandosi di loro spontanea volontà in questa gloriosa procedura. Avete presente il documentario con i Lemming che si gettano dalla scogliera? Stessa cosa.
Fletto i muscoli e sono nel vuoto! (Cit.) |
Logan 5 (Michael York) è un guardiano che crede nel sistema, insieme al suo socio Francis 7 (Richard Jordan) passa le sue giornate a far rispettare regole e regolamenti, fino a quando non si imbatte in Jessica 6 (la guardabile Jenny Agutter), convinta che il mitico Santuario oggetto di miti e leggende esista davvero, un luogo fuori dalla cupola in cui la vita può continuare oltre l’implacabile lampeggiare della gemma.
«Questo è il futuro? Sembra un centro commerciale di Sabato pomeriggio» |
Logan 5 viene incaricato di fare un po’ di doppio gioco per stroncare queste piccole forme di ribellione e, mentre insieme a Jessica 6 discende i piani sotto la megalopoli, Logan capisce di aver vissuto tutta la sua vita all’interno di una grande menzogna e di iniziare la sua fuga… Da qui il titolo del film, l’avreste mai detto?
Iniziamo dalle note negative che, in fondo, è una sola, anche se significativa: rivedere “Logan’s run” quarant’anni dopo la sua uscita ci ricorda che in uno scontro uno contro Padre Tempo nessuno ha mai avuto la meglio, dovrei dirvi “Invecchiato male”, ma sarebbe largamente riduttivo.
La megalopoli è palesemente un plastico da fare quasi rivalutare quelli di Bruno Vespa (ho detto quasi), le pistole laser dei guardiani? Guarda caso, ad ogni sparo, colpiscono sempre una parete dietro ai protagonisti, dov’era stata precedentemente posizionata una carica che fa tante belle scintille, pistola puntata, scintilla, pistola puntata, scintilla, roba che a confronto le sparatorie dell’A-Team sembravano dirette da John Woo.
Han Logan Shot first. |
Ma il momento in cui la sospensione dell’incredulità casca dal divano, tenendosi la pancia dal ridere, è la scena di Box, senza ombra di dubbio il robot più pietoso mai visto la cinema, uno scatolone che traballa in equilibrio precario su ruotine radiocomandate, tutto ricoperto di superfici riflettenti, nemmeno fosse una palla da discoteca degli anni ’70 e una capoccia posticcia ricoperta di stagnola. Non vi dico l’imbarazzo, ho quasi litigato con la mia sospensione dell’incredulità, perché con le sue risate mi copriva i dialoghi del film.
Posso dirvi che nella seconda metà del film, le location migliorano molto, ce n’è almeno una piuttosto famosa ricostruita più che decentemente, non posso dirvi quale perché non voglio rovinarvi la visione, ma, in ogni caso, vale la pena fare lo sforzo di andare oltre questi effetti speciali (premiati con l’Oscar ci tengo a ricordarlo) imbarazzanti, perché i contenuti e le idee del film sono tante e ancora attuali, partendo proprio dallo scatolone Robby Robot.
Negli anni ’70 anche i Robot avevano sfere specchiate da discoteca. |
Che sarà brutto e imbarazzante come quando spunta fuori la foto di classe delle medie, ma è una macchina resa folle dal logorio del tempo che, malgrado tutto, continua a seguire ciecamente gli ordini che le sono stati impartiti, un brutto cliente con cui non vorrei avere mai a che fare. Aggiungo una nota personale: se mai dovessimo arrivare ad avere un bell’adattamento cinematografico dei romanzi della Torre Nera di Stephen King, spero che chiunque sarà incaricato di realizzare Blaine il mono, si vada a rivedere questo film, anche solo per imparare dai suoi errori.
Dalle mie bimbo-visioni, conservavo ricordi ingigantiti di questo film, ad esempio, la scena del rituale, la ricordavo come una roba pazzesca di colori e gente che svolazzava qua e là ed, in effetti, la coreografia circense è ancora oggi la più complicata mai realizzata sul set di un film, per il me stesso bambino di allora, trent’anni erano un tempo infinitamente lungo, ora che anche la mia pietra lampeggia rosso sento i messaggi del film ancora più necessari e condivisibili.
Non voglio rovinare la sorpresa a chi di voi non avesse mai visto il film, ma ci sono state poche pellicole capaci di riassumere concetti complicati come il fatto che un’ideologia possa costringere le persone, o un’intera società ad accettare come normali cose totalmente assurde, non solo trovo condivisibile la presa di coscienza e l’esplosione di libero arbitrio all’interno di un regime controllato di Logan, ma anche il modo in cui il film ribadisca il diritto dell’uomo anche a sbagliare, ad invecchiare, insomma alla vita, il tutto magnificamente rappresentato dal personaggio del mitico Peter Ustinov.
Old man look at my life, I’m a lot like you were… |
Ah! Peter Ustinov, sì, perché c’è anche lui nel film e fa anche una prova magnetica, il suo personaggio, accreditato solo come “Old Man” è la mosca bianca, è l’ultimo uomo della Terra, sopravvissuto di un’Era che non esiste più, che Ustinov interpreta con un candore e la leggerezza tipica di chi dice: “Sono vecchio e ne ho già viste tante” e che, in fondo, è felice di aver trovato finalmente qualcuno con cui chiacchierare, qualcuno che non siano i suoi numerosi gatti intendo.
“Una carriera di tutto rispetto, per finire a fare il gattaro del futuro, tzè!”. |
Il bello è che Ustinov sul set ha improvvisato quasi la totalità dei suoi dialoghi, citando a memoria poesia di T.S. Eliot, se devo dirla tutta, la mia scena preferita è quando Logan e Jessica vedendo per la prima volta un uomo anziano in vita loro, lo studiano e realizzano che un corpo umano può davvero ricoprirsi di rughe in quel modo, questo vi dice di quanto il potente il messaggio che sta dietro al film.
Michael York è perfetto nella parte di Logan, funziona perché ha il fisico di uno che potrebbe essere replicato in infiniti seguiti di se stesso, ma allo stesso tempo ha l’espressione “Ma che diavolo succede qui!” che è perfetta per il personaggio, occhi aperti perché fa un piccolo cameo Farrah Fawcett, anche se la scena risulta parecchio fine a se stessa.
Invece, nei (succinti) panni di Jessica 6, Jenny Agutter è perfetta, del tutto credibile nel ruolo di quella per cui uno potrebbe mollare tutto e partire, d’altra parte sperava di fare così in un altro film di culto, in cui lei era un’infermiera e il protagonista affetto da un caso grave di peli superflui durante le notti di luna piena.
Niente male per essere un seguito, molto meglio di “Nightmare 6”. |
Sulla scia del successo del film, William Francis Nolan pubblicò una serie di romanzi che portavano avanti la storia del personaggio, il primo dei quali “Il mondo di Logan” uscì nel 1977, lo stesso anno in cui la Marvel Comics produsse un fumetto ispirato al film durato sette numeri. Esiste anche una serie tv sempre dello stesso anno, durata una sola stagione da 14 episodi che, però, non ricordo proprio di aver mai visto.
Il peso specifico di questo film si misura anche in parte sul suo lascito, ad esempio, “The Island” diretto da Michael Bay nel 2005 ha svariate analogie con “La fuga di Logan”, basta dire che i due protagonisti (interpretati da Ewan McGregor e Rossella Di Giovanni) si chiamano Lincoln 6 Echo e Jordan 2 Delta, vi ricorda nulla?
«Fai ciao alle nostre brutte copie del futuro» , «Vorrai dire del passato» |
Da svariati anni si parla di un remake per questo film, i diritti di sfruttamento sono nelle mani della Warner Bros, il più accreditato per il ruolo di Logan sembra ancora essere Ryan Gosling, questo perché il più invasato all’idea di dirigere un remake di questo film è Nicolas Winding Refn, avete presente cosa potrebbe diventare nelle sue mani la scena del rituale? Sarebbe capace di dirigerla lisergica ed esagerata come nei miei ricordi d’infanzia!
Staremo a vedere se questo film vedrà mai la luce, visto il tema e la giovane età dei protagonisti, mi sembra davvero strano che nessuno laggiù nel bosco di Holly abbia mai preso in considerazione l’idea di rilanciare “Logan’s run” sotto forma di saga “Young Adult” in dodici comode parti, roba da farci rimpiangere il robot discotecaro ricoperto di stagnola! Insomma, se non lo avete mai visto, fate come Logan e correte, correte a vederlo, se, invece, lo conoscete facciamogli gli auguri di buon compleanno, sono quaranta Logan, alla faccia della pietra lampeggiante!