A volte il meglio lo abbiamo avuto in questo Paese e purtroppo ancora tante persone nemmeno lo sanno. Festeggiare i primi sessant’anni di un classico come “La maschera del demonio”, vuol dire celebrare uno dei più grandi registi della storia del cinema, uno dei miei preferiti, il grande Mario Bava.
Ci sono quelle carriere che si aprono con un grande titolo e poi continuano, sempre all’ombra di quell’enorme successo iniziale, che getta la sua lunga ombra su tutta la filmografia come l’obelisco di “2001 odissea nello spazio” (1968). Anche se Mario Bava aveva già largamente contribuito alla regia di film come “I vampiri” (1957) e “Caltiki il mostro immortale” (1959), non accreditato per nessuno dei due, il suo esordio ufficiale resta questo film, che non solo è una pietra miliare, ma a ben guardare per Mario Bava è stato solo il primo di una lunga serie di titoli incredibili, che oltre ad avere avuto un peso specifico incredibile nella storia del cinema, sono diventati modelli di riferimento.
Ci sono nomi di tutto rispetto tra gli appassionati dei film di Mario Bava, un regista che di certo non è stato profeta in patria, i Francesi (come in un film di Woody Allen) sono stati i primi a riconoscere il talento del regista, mentre film come “Cani arrabbiati” (1974) ha fatto da spunto a buona parte della carriera di Quentin Tarantino che infatti ne va pazzo. Senza “Terrore nello spazio” (1965) non avremmo mai avuto Alien (come ci ha raccontato Lucius), mentre “Reazione a catena” (1971) ha contribuito a creare il genere Slasher. Ma tra i generi cinematografici inaugurati da Mario Bava aggiungete anche il gotico Italiano, che ha avuto un periodo breve ma intenso, iniziato proprio con “La maschera del demonio”, un film che non posso che aggiungere tra i Classidy!
“La maschera del demonio” ancora oggi dopo sessant’anni è un punto di vista differente sul mito del vampiro, ispirato al racconto “Il Vij” di Gogol’, il film ha saputo distinguersi dalla tradizione dei film gotici della Hammer, ma anche da quelli americani ispirati ai racconti di Poe e diretti da Roger Corman. Il film di Bava è molto più esplicito, oltre ad essere ancora estremamente curato, per certi versi potremmo dire che il film ha contribuito non solo ad inaugurare il (breve) periodo del gotico Italiano, ma con le sue dosi di violenza, è il film che ha preso per la manina il gotico e lo ha portato in un campo nuovo e più grande, quello dell’Horror.
Cosa dico sempre dei primi cinque minuti di un film? Ne determinano tutto l’andamento. Immaginate di essere uno spettatore in sala nel 1960 e di ritrovarvi davanti la scena d’apertura di “La maschera del demonio”, una sequenza che ti trasporta di peso nel mezzo del 17esimo secolo, un luogo dove la guerra contro quelle creature del male note come vampiri è normale quanto respirare. Mario Bava ci porta tutti nel mezzo di una caccia alle streghe e quando arriva la soggettiva della maschera calata sul volto della bella Barbara Steele, sembra quasi che stia chiudendo il coperchio della bara anche su tutto il pubblico. Sono i primi cinque minuti della carriera da regista di Bava e il suo film, non solo è iniziato alla grande, ma è già entrato a far parte dell’iconografia popolare.
Sarà pure la prima, ma di certo non l’unica scena diretta, montata e fotografata a regola d’arte del film, “La maschera del demonio” è pieno di passaggi incredibilmente belli, potrei citare il piano sequenza all’interno del castello, quello con cui in un solo lungo movimento di macchina da presa, Mario Bava ci presenta l’incarnazione della vampira, la principessa Katia Vajda al pianoforte, per poi passare su suo fratello impegnato a pulire il fucile per poi arrivare al padre di Katia (Ivo Garrani) davanti al caminetto, ma la regia di Bava ha una modernità che sembra non risentire del passaggio degli anni, la panoramica che permette al pubblico di vedere il contento delle cripta, esattamente come viene vista per la prima volta dai due dottori, oppure la sbirciata dentro il vetro sulla tomba, un modo pulito e dinamico di muovere la macchina da presa che rende il film proprio bello, lo so non è un commento estremamente tecnico, ma ci sono pochi altri registi che mi affascinano con la loro tecnica come sapeva fare Mario Bava, magari ne parleremo ancora su questa Bara.
Il ritmo del film poi è impeccabile, il racconto si snoda agile grazie ad un ottimo montaggio passando attraverso passaggi della trama anche molto canonici, in fondo lo sappiamo che il giovane dottore e Katia coroneranno il loro amore, però il film riesce a giocarsi elementi in parti uguali ironici, erotici e anche estremamente violenti.
L’ironia tutta Italiana emerge in alcuni passaggi, ad esempio il pragmatico dottore anziano, che giunto alla locanda dice prima alla bambina di non temere i morti, che non possono nuocere più a nessuno, e poco dove si ritrova lui stesso trasformato in una creatura della notte, un novello vampiro che per intrufolarsi nel castello è costretto ad inventarsi una scusa “medica” (si fa per dire), per far sparire il crocefisso dalla stanza. Momenti divertenti mai macchiati dall’effetto parodia, è chiaro che Bava si stia approcciando all’iconografia dei vampiri in un modo diverso e più leggero, che non scade mai nell’involontariamente comico perché la sua maestria non lo permette.
Siccome gli Italiani hanno due cose che apprezzano per davvero (la seconda è il gotico), non è da sottovalutare l’elemento sessuale nel film, casto quanto volete perché in un film Italiano del 1960 non si poteva mostrare proprio tutto, però è anche vero che i vampiri vivono di sessualità e Bava gioca con questo elemento e con il doppio, un altro tema ricorrente del film. La principessa Katia Vajda e la vampira Asa hanno una forte carica erotica a differenziarle, bisogna dire che la sensualità di Barbara Steele in tal senso aiuta moltissimo a caratterizzare entrambi i personaggi.
Il film poi ha una componente violenta che non va sottovalutata, i primi cinque minuti di cui abbiamo già parlato sono una vera aggressione alle cornee dello spettatore, ma anche nel corso del film i momenti forti non mancano, la sbirciata al corpo marcescente sotto la tunica nera di Asa sarà anche solo un lampo, ma da solo è già molto più esplicito rispetto ai film gotici Inglesi della Hammer e quelli americani di Corman, per non parlare dei fori sul volto di Asa, che sono un costante “memento mori” che riporta alla mente la scena di apertura, che basta a tenere sul filo del rasoio il pubblico per tutto il film. Orrore e repulsione, Eros e Thanatos, Mario Bava gestisce il tutto alla perfezione e dovete solo mettervi comodi e scegliere il vostro momento preferito del film.
Personalmente non sottovaluterei l’entrata in scena di Barbara Steele, che compare dal nulla appena fuori dalla cripta avvolta in una tunica nera che la fa sembrare l’incarnazione delle morte, uno straccetto indossato per “scendere a pisciare” i due mastini infernali che porta al guinzaglio. Bellissima e terribile come potrebbe essere solo la Nera Signora, che al cinema abbiamo visto in tante forme, ma Barbara Steele è sicuramente stata una delle più sensuali.
Già Barbara Steele, perché non solo Mario Bava con questo film ha creato il gotico Italiano donandoli abbondanti dosi di violenza e portandolo per mano nel campo da gioco dell’horror più esplicito, Mario Bava ha plasmato anche un’icona come la Steele, attrice quasi esordiente allora 23enne, che ha fatto venire più di un capello bianco al regista nato a Sanremo. Tra la giovane età e il fatto che non parlasse mezza parola di Italiano, con un regista che non è mai andato a lavorare negli Stati Uniti (malgrado le offerte) perché non conosceva e non aveva voglia di imparare l’Inglese (storia vera), ma i due insieme sono riusciti in qualche modo a combinare per entrare lo stesso nella storia del cinema. Barbara Steele è rimasta marchiata a vita dalla maschera del demonio che Bava le ha calato sul viso, la sua carriera l’ha resta un’icona del cinema dell’orrore, proprio perché dopo il modo in cui sono stati portati sul grande schermo da Bava, i grandi occhi scuri dell’attrice non potevano più essere visti dal pubblico in ruoli troppo diversi. Un’attrice diventata leggenda tanto che registi come Jonathan Demme, Richard Stanley, David Cronenberg e anche Joe Dante, l’hanno voluta nei loro film, in quanto simbolo stesso di un intero genere cinematografico.
Avete notato? Tutti grandi nomi di registi stranieri, perché Mario Bava ancora oggi vanta il più alto numero di appassionati famosi, molto più di tanti altri registi, vi ricordate di un ragazzo di nome Tim Burton? Quando era sano di mente e faceva bei film, la sua filmografia era un altare costruito alla sua (e la nostra) passione per Mario Bava. Ci sarebbe materiale per un lungo post dettagliato, solo citando tutte le volte che Burton in carriera ha omaggiato Marione Bava nei suoi film. Per altro esiste anche il rifacimento di questo film, diretto nel 1989 dal figlio Lamberto Bava, di cui però non ricordo molto, forse mi ha distratto la scollatura di Eva Grimaldi.
Questo perché come dicevo lassù, a volte il meglio lo abbiamo avuto in questo Paese e nemmeno abbiamo saputo rendercene conto per davvero, il lascito di Mario Bava e di “La maschera del demonio” è più chiaro oggi che sessant’anni fa. Capite quindi che questo compleanno non potevo proprio perderlo, anche se spero di poter ospitare ancora i film di Bava su questa Bara, in fondo anche questo blog dal nome macabro (e scemo) deve qualcosa ad uno dei più grandi e sottovalutati registi della storia del cinema.
Sepolto in precedenza lunedì 16 novembre 2020
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