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La metà oscura (1993): il momento più spaventoso è sempre prima di iniziare a scrivere

Arriva sempre il momento in cui bisogna fare i conti con il proprio lato oscuro ed è proprio questo il protagonista del nuovo capitolo della rubrica… Lui è leggenda!

Per George A. Romero (provate a dire per casa sta la “A”? Amore, bravi!) il lato oscuro della sua filmografia sono stati gli anni ’90, un periodo tormentato in cui se per la Leggenda prima era difficile trovare fondi per i suoi film, in questo decennio è diventato quasi impossibile. Forse solo grazie ai suoi amici Romero è riuscito davvero a dirigere qualcosa: Due occhi diabolici, diretto a metà insieme a Dario Argento. L’altro film è una tappa obbligata per ogni Maestro del cinema horror: adattare per il grande schermo un romanzo di Stephen King!

Anche se, ammettiamolo, la Leggenda si era già esibito in questa specialità, Creepshow era un classico nato proprio dalla collaborazione con zio Stevie e bisogna dire che Romero aveva già cercato di portare alcuni dei romanzi del suo amico scrittore al cinema, purtroppo senza riuscirci mai davvero.

A lungo e dopo una nutrita pre-produzione, Romero si era messo al lavoro su un adattamento di “IT”, scritto a quattro mani con lo sceneggiatore Lawrence D. Cohen (quello di “Carrie” di Brian De Palma), tutta fatica inutile perché Romero, impegnato sul set del remake di “La notte dei morti viventi” (1990) di Tom Savini, si è visto sorpassato a destra nelle preferenze da Tommy Lee Wallace, in una miniserie televisiva che più o meno tutto il pianeta ricorda.

Zio George se la ride, perché un paio di attori notevoli li ha portati a casa.

Persa l’occasione di portare sul grande schermo “Pet Sematary” (storia vera!) che con i suoi ritorni dal mondo dei morti sarebbe stato molto nelle corde di zio George, nel 1993 la Leggenda ha dovuto un po’ accontentarsi di quello che passava, non tanto il convento, ma la bibliografia del suo amico. Non so quanti scrittori abbiano potuto contare su adattamenti firmati dai più grandi Maestri del cinema come ha potuto fare Stephen King in vita sua, ma ho sempre trovato curiosa l’assegnazione tra romanzo e regista, vi faccio un esempio.

“La metà oscura” con i suoi strani gemelli protagonisti e il suo approccio molto organico alla vicenda, sembrava fatto dal sarto per uno come David Cronenberg che, però, aveva già dato ottima prova di sé portando al cinema La Zona Morta che con il suo alto contenuto politico, poteva essere perfetto per un contestatore nato come George A. Romero, forse esiste una realtà parallela in cui i due grandi Maestri si sono scambiati i titoli come figurine, ma io vivo in questa quindi giusto di questa posso scrivere.

In generale, “The Dark Half” è poco ricordato, citato ancora meno quando si parla di adattamenti Kinghiani e il più delle volte ricordato come una merdina, così, tanto per non girarci attorno. Una fama ingiusta per quello che ancora oggi è una degli adattamenti più fedeli al romanzo originale ad oggi, forse giova ricordarlo, perché quasi tutti i libri di zio Stevie sono diventati dei film, ma non è che fossero tutti pesche e crema, eh? Sul serio, non fatemi aprire questo capitolo perché potremmo andare avanti per ore!

A contribuire alla brutta fama di “La metà oscura” sicuramente hanno contribuito anche le solite difficoltà in fase di produzione del film, purtroppo l’unica vera costante che ha sempre fatto da zavorra alla carriera di Romero. La casa di produzione con cui la Leggenda aveva già fatto a capocciate per Monkey Shines, la Orion è andata a zampe all’aria nell’inverno del 1990, giusto in tempo per la fine delle riprese del film.

Con tutti questi pennuti, speriamo di non finire come Mel Brooks in “Alta tensione”.

A quel punto, zio George non ha più avuto alcun controllo su tutta la post-produzione del film, montaggio compreso. Nel 1992 la pellicola era ancora in un limbo produttivo, ma già quasi ripudiata dal suo regista che non condivideva alcuni dei tagli apportati ai primi 105 minuti di girato e non sapeva ancora che tipo di tono la Orion avrebbe voluto dare al finale del film, che uscì in pochissime copie solo nel 1993 incassando nove milioni di ex presidenti spirati stampati su carta verde, al netto di quindici milioni di spesa, dovuti in parte alla grafica computerizzata utilizzata per generare lo stormo di passeri protagonisti del finale del film (utilizzare veri pennuti per quella scena è stato considerato troppo pericoloso per gli attori), ma anche quella manciata di giorni in cui la produzione è rimasta ferma, aspettando di veder tornare sul set l’attore protagonista Timothy Hutton, secondo Romero parecchio ingestibile in quel periodo.

«Dualità, capito no? Come me sul set di questo film, affetto da personalità multipla»

Sta di fatto che anche rivedendolo per questa rubrica, tutte queste difficoltà non si notano moltissimo, certo la storia ha un discreto problema di ritmo nel secondo atto, però (come detto) è uno degli adattamenti più fedeli al romanzo originale, forse anche perché la Orion, in mancanza di Romero e del suo montatore di fiducia Pasquale Buba (fidato collaboratore del regista in molti dei suoi film, mancato, purtroppo, a settembre dello scorso anno) evidentemente hanno preferito seguire il libro, ma questa è una mia teoria che non sono riuscito a provare perché il materiale su questo film scarseggia.

“The Dark half” è stato il romanzo con cui lo stesso Stephen King ha fatto i conti con il suo pseudonimo, Richard Bachman, anzi “Tricky Dicky” come spesso si riferisce alla sua identità fittizia con cui per anni lo scrittore del Maine ha pubblicato romanzi con meno numero di pagine, ma con temi ben più tirati, come il bellissimo “La lunga marcia” (1979) che mi sono letto tutto d’un fiato mentre facevo la visita militare ed è forse anche la ragione per cui sono stato riformato (storia vera), ma anche l’ottimo “L’uomo in fuga” (1982) da cui è stato liberamente tratto L’Implacabile.

Non so voi, ma a me i romanzi di Bachman piacevano, proprio perché erano scritti con uno stile così diverso da quelli di King. Lo so che può sembrare strano, ma è anche il motivo per cui roba moscia come “Blaze” (2007) non funzionava, perché era palesemente scritto (specialmente il finale caramelloso) con lo stile di Stephen King. Un vero sdoppiamento di personalità che lo stesso King ha voluto trasformare in narrativa Horror, il giorno in cui un suo “Fedele lettore” ha mangiato la foglia svelando che zio Stevie e Tricky Dicky erano la stessa persona.

«Ecco altro materiale per l’investigatore bibliofilo»

“La metà oscura” tratta proprio di questo, ma trasforma ogni elemento in puro horror, attribuendo al processo della scrittura qualcosa di sovrannaturale, Romero da autore che ha sempre scritto e non solo diretto i suoi film, dimostra di trovarsi subito a suo agio, la prova sono… Bravi! I primi cinque minuti del film che sono davvero ottimi e capaci da soli di convincerti a seguire le vicende di Thad Beaumont e George Stark fino alla fine.

1968 (guarda caso l’anno dell’esordio da regista di Romero) il giovane Thad ama scrivere con le sue matite “Black beauty” malgrado i mal di testa lancinanti che si rivelano essere un corpo estraneo all’interno del suo cervello, i resti assimilati in fase di gestazione di un gemello mai nato, di cui nel cranio del ragazzo rimangono giusto un occhio cieco, una parte di narice e due denti (uno anche cariato). Una trovata così efficace che fa urlare di paura una delle infermiere in sala operatoria e fa pensare che ad Ash Williams è tutto sommato andata meglio, il suo gemello malvagio è spuntato da una spalla almeno!

Crescendo Thad (Timothy Hutton) è diventato un autore di romanzi apprezzati più dalla critica che dal pubblico, che per anni ha portato a casa il pane e il companatico dedicandosi a letteratura molto meno ricercata, romanzacci Pulp scritti sotto lo pseudonimo di George Stark. Storie piene di morti ammazzati e un duro come protagonista che parla con l’accento del Sud, guida una Toronado nera e si fa chiamare Alexis Machine, non proprio roba con cui vinci il premio Strega, ecco.

George Stark se ne frega dei vostri adesivi da auto a forma di famiglia!

Per liberarsi di un ricattatore che chiede denaro per tenere la bocca chiusa (interpretato da Robert Joy, che tornerà a lavorare con Romero e quindi in questa rubrica) Thad su consiglio della moglie Liz (Amy Madigan) dichiara pubblicamente di essere George Stark e organizza una simbolica cerimonia di sepoltura per il suo pseudonimo, con tanto di lapide con su scritto: “Non tanto un bravo ragazzo”. Anche qui, mi torna in testa la cantilena di Ash, un bravo ragazzo! Un bravo ragaz… Ok, la smetto.

«Bel lavoro socia», «Sempre meglio interrato che in una Bara Volante no?»

Peccato che George Stark non ha nessuna intenzione di restare morto, certo, qualcuno dovrebbe spiegargli che si chiama come gli Stark di Giocotrono, non proprio personaggi con la propensione a rimanere vivi ecco, però il ragazzaccio se ne frega un po’ perché (forse) non ha mai letto i romanzi di un altro George (R. R. Martin) un po’ perché vorrebbe scrivere il suo nuovo libro, quello che agli consentirà di restare in vita magari a spese della sua controparte, il tutto mentre lo stormo di pennuti scatenati durante il giorno dell’operazione al cervello di Thad, sono tornati a volare e lo sceriffo Alan Pangborn (quel mito di Michael Rooker, qui particolarmente quieto) indaga sulle strane morti che ruotano attorno a Stark e tutte apparentemente imputabili a Beaumont.

Iniziamo da qui, lo sceriffo Alan Pangborn è un personaggio ricorrente nei romanzi di King, Romero è stato il primo a portarlo al cinema, ma lo stesso anno sarebbe tornato in un film, “Cose preziose” (1993) con il volto di Ed Harris che non solo è un attore Romeriano, ma è anche il marito di Amy Madigan che qui interpreta la moglie di Thad. Vi piacciono questi tipo di intrecci? Sappiate che il maledetto GIEI GIEI Abrams ci ha fatto su una serie televisiva intitolata “Castlerock” che malgrado tutto il mio affetto per “La Rocca” ho mollato a metà causa sbadigli e dove lo sceriffo Pangborn era interpretato da Scott Glenn.

«No sono soddisfatto con la tariffa che ho… Dannati call center!»

“The Dark Half” è un film diligente che inizia subito forte con una grande premessa e poi perde ritmo in attesa dello scontro finale tra Thad Beaumont e George Stark, entrambi interpretati dall’ex bambino prodigio Timothy Hutton che, malgrado il fatto nel 1993 la sua stella non brillasse più come un tempo, qui offre una della sua prove più ricordate dal pubblico, peccato che ad appiattirsi sia un po’ tutto il film.

La definizione che si legge più spesso relativa a questo film è “televisivo”, sono d’accordo fino ad un certo punto perché l’inizio è molto buono, ma nel finale gli effetti speciali digitali non tengono il passo con quelli vecchia maniera e Romero deve barcamenarsi tra continui campi e controcampi per giostrarsi un attore nei panni di due personaggi, il trucco di far indossare ad entrambi un berretto lo capisco, ma ammettiamolo non è proprio il massimo.

«Bel cappello dove lo hai preso?», «Forse dove tu hai trovato gli occhiali da sole»

Quello che per me affossa davvero il film sono le indagini che risultano troppo ripetitive e cadenzate solo da una serie di omicidi a mio avviso diretti tutti con il piglio giusto da Romero, ad esempio quando Stark taglia la gola ad una delle sue vittime e zio George ci mostra solo lo schizzone di sangue sullo specchio del bagno, un ottimo modo per risultare truculenti raggirando il visto della censura.

Quello con cui bisogna davvero fare i conti sono le aspettative forse, dai nomi di George A. Romero e di Stephen King forse ci si aspetta qualcosa di grandioso per forza, mentre “La metà oscura” è solo un adattamento molto diligente che non fa pesare allo spettatore tutti i problemi avuti in fase di produzione. Per me quello che veramente frega il film relegandolo tra le opere minori di Romero è una mancanza di temi Romeriani tipici, o per lo meno ad una prima occhiata.

Sì, perché di certo in “The Dark Half” non troverete la critica sociale fatta utilizzando il cinema di genere che, invece, è presente in tutti gli altri film del regista di Pittsburgh, ma se avete familiarità con la sua filmografia, almeno un tema caro al regista non manca, quello della perdita dell’identità.

«La perdita dell’identità sarebbe un problema? Della perdita della vita invece cosa ne pensi?»

I militari senza volto di La città verrà distrutta all’alba, i suoi amati zombie che con un morso possono trasformarti in uno di loro, indistinguibile nella massa da tutti gli altri, i cavalieri di Knightriders che per il loro sogno combattevano, l’identità e la sua perdita è un tema Romeriano che tornerà anche nel prossimo capitolo di questa rubrica e che in “Le metà oscura” è, ovviamente, centrale e ben rappresentato dallo scontro tra Thad Beaumont e George Stark. Non molto forse, ma unito al fascino del “Mistero della scrittura” e applicato ad un adattamento diligente, fatto di questo film sicuramente un titolo minore nella filmografia della Leggenda, ma meno peggio della sua brutta fama.

A proposito di film con una pessima fama che trattano nella perdita dell’identità, ci vediamo qui tra sette giorni, sarò ancora in missione per conto di zio George ma occhio! Perché nel week end e ve lo ripeto, nel WEEK END, Romero potrebbe avere ancora delle cose da dire e non ditemi che non vi ho avvisati per tempo.

Sepolto in precedenza venerdì 25 gennaio 2019

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