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La morte ti fa bella (1992): le donne che rivissero due volte

Mi chiedo spesso come mai Robert Zemeckis non venga mai citato quando si parla dei registi più influenti degli anni ’80 e ’90, forse ha la sfiga di essere ricordato solo per il-film-che-sono-tre, ma il suo contributo alla settima arte è stato fondamentale, persino con un film più “piccolo” come questo, che compie i suoi primi trent’anni.

Occhio a come utilizzo l’aggettivo, “Death Becomes Her” da noi adattato in “La morte ti fa bella” è il classico titolo che più o meno tutti ricordano con piacere, strappa una risata e viene presto messo da parte nella memoria collettiva, posso capire il perché, Bob Zemeckis arriva da un filotto notevole come i tre Ritorno al futuro intervallati da un classico intramontabile (ma anche quello, mai abbastanza celebrato) come Chi ha incastrato Roger Rabbit, soltando un anno dopo questo film avrebbe mandato a segno quello che è tipo, boh il film preferito di tutti, oltre ad uno dei suoi più popolari, ovvero “Forrest Gump” (1994). Quindi capisci perché “Death Becomes Her”, incastrato tra tutti questi grandi nomi finisca sempre per passare un po’ inosservato, ingiustamente a mio parer perché è il film che fa da ideale ponte tra la prima e la seconda parte della filmografia di Zemeckis, oltre ad essere il titolo che mette in chiaro la sua passione per l’horror.

Nel 1991 il buon vecchio Bob aveva preso parte al film per la tv “Incubi” (Two-Fisted Tales) co-diretto insieme a signori come Richard Donner e Tom Holland (non proprio la pizza con i fichi), infatti “La morte ti fa bella” nasce come potenziale seguito di “Racconti dalla tomba” (1972), ispirato ai fumetti della serie “Tales from the Crypt”, che per altro era uno dei film di Halloween preferiti dal regista (storia vera).

 Bob Zemeckis intento a pensare a quanto horror infilare nella sua nuova commedia.

Quando Zemeckis mise le mani sulla sceneggiatura firmata da Martin Donovan e David Koepp non se la lasciò sfuggire, la critica ad Hollywood e al culto della propria immagine, sembrava riportar il vecchio Bob ai tempi dei suoi primi lavori, firmati con l’altro Bob (Gale), ma l’atmosfera generale da fumetto della EC Comics, proprio la casa editrice che pubblicava “Tales from the Crypt” fecero gridare a Zemeckis: «MIO!», il fatto che copione porti la firma di David Koepp poi, ha generato un piccolo aneddoto divertente: mentre lo sceneggiatore era al lavoro su questo film con Zemeckis, stava anche cercando di cavare un dinosauro dal buco, ma la sua prima bozza per Jurassic Park aveva un finale deludente, per questo il buon vecchio Bob gli diede una pacca sulla spalla è un buon consiglio, riassunto nelle parole «Hold onto your butts», letteralmente un invito a stringere il muscolo più voluminoso del corpo umano, una frase che a Koepp piacque così tanto da diventare una delle più memorabili del film di Spielberg (storia vera).

Che la trama fosse dinamite lo avevano capito tutti, anche Meryl Streep intervistata sulla “stranezza” del soggetto (rispetto a quelli solitamente selezionati dall’attrice), ha dichiarato che era davvero troppo valido per farselo scappare e parliamo di una che proprio come Bob, stava all’apice assoluto di una carriera mai messa in discussione, anzi sono piuttosto sicuro che il ruolo “pop” per cui tutti ricordano Meryl Streep, ovvero la sua Miranda Priestly di “Il diavolo veste Prada” (2006), non sia altro che una versione addolcita della Madeline Ashton di “Death Becomes Her”, che non a caso è una sorta di citazione hitchcockiana fin dal nome (molto simile) visto che a suo modo è “La donna che visse due volte”, anche perché Zemeckis ha più volte dimostrato di amare il cinema di Alfred Hitchcock e lo omaggia ogni volta che può, anche qui, guardate la scena delle scale salite con il vassoio in mano, ricorda volutamente quella analoga di “Il sospetto” (1941).

Un gran inizio di film, con le notevoli musiche di Alan Silvestri.

Cosa vi dico sempre dei primi cinque minuti di un film? Bravi, sono quelli che ne determinano tutto l’andamento e sono anche convinto che il prologo di “Death Becomes Her”, si uno dei migliori inizi di film mai firmato da Zemeckis, che in un attimo riesce a presentare tutti i personaggi a partire proprio da Madeline Ashton (Meryl Streep), attrice che ha già abbondantemente imboccato il viale del tramonto impegnata ad esibirsi a Broadway nel 1978, in uno spettacolo da cui il pubblico scappa e con tutto l’umorismo nero con di cui questo film è carico, viene definito come un modo per resuscitare i morti, che poi è più o meno l’andamento della carriera di Madeline, letale mangiauomini che raccoglie le reazioni opposte di due spettatori in particolare, da una parte una disgustata Helen Sharp (Goldie Hawn perfettamente a suo agio nel ruolo, che non a caso regala una delle sue prove migliori di sempre), scrittrice che conosce Madeline dai tempi della scuola e che si è fatta soffiare diversi amanti dalla rivale e il suo nuovo fidanzato, il Dr. Ernest Menville, interpretato da un entusiasta Bruce Willis, distantissimo dai personaggi rocciosi che lo hanno reso famoso, infatti qui l’idolo della Bara Bruno, è stato chiamato per sostituire il ben più istrionico Kevin Kline ma posso dirlo? Mai sostituzione fu più azzeccata, perché questo resta uno dei ruoli comici più riusciti di Willis.

Su questa Bara ci sarà sempre un posto speciale per Bruno, in bocca al lupo eroe!

“Death Becomes Her” è il punto perfetto di equilibrio di tutto il cinema passato e futuro di Zemeckis, infatti dopo la filastrocca di Madeline («Rugosa rugosa piccola attrice, fa che non si veda la cicatrice»), il prologo procede velocissimo con dei balzi in avanti di sette anni in sette anni, come se Bob fosse di nuovo a bordo della Delorean, Madeline seduce e sposa il brillante chirurgo e in poco tempo lo consuma, a colpi di Bloody Mary a colazione per attenuare gli effetti della sbronza della sera prima, Ernest finisce a fare il becchino l’impresario funebre, avete presente Six Feet Under? Stessa cosa, l’uomo affascinato da un’attrice decaduta, finisce a truccare i cadaveri per prepararli al funerale, che per certi versi è l’ultimo palcoscenico per chiunque, perché l’umorismo nero in questo film abbonda e le critiche al mito dell’apparenza di Hollywood volano come stilettate.

Non si parla mai abbastanza di quanto sia elegante ed efficace la regia di Zemeckis.

Con lo stesso brio Zemeckis riporta in scena Helen Sharp mettendo in chiaro quanto la sua mente si sia spezzata, Goldie Hawn ingrassata e sfatta sembra una Annie Wilkes che gongola a veder morire la sua rivale in un suo vecchio film (finto, girato apposta da Zemeckis), ma dopo tutti questi viaggi nel tempo, in “La morte ti fa bella” si fa largo l’altro elemento chiave della carriera di Zemeckis, il suo continuo sperimentale con le tecniche digitali, che ha reso possibili i vari “Beowulf” (2007) e “Benvenuti a Marwen” (2018) futuri, ma anche solo gli incontro “in digitale” di Forrest Gump con svariate personalità della politica e dello spettacolo.

Ben prima delle sue streghe, Zemeckis qui porta in scena un “Eva contro Eva” (1950) in salsa horror che ha anticipato la moderna ossessione per il botox e la chirurgia estetica, quella in grado di trasformare le attrici in bambole tutte identiche nell’aspetto, ossessionate nel cercare di fermare gli effetti di Padre Tempo sui loro volti e corpi, perché si sa che ad Hollywood (e non solo), un attore può invecchiare, diventare brizzolato (segno di fascino) o perdere i capelli (segno di virilità) ma per le attrici no, le donne sono destinate ad essere eternamente perfette oppure venire dimenticate. Infatti proprio come fece un altro Bob piuttosto bravino a dirigere (Aldrich), anche Zemeckis ha preso due attrice prossime agli ‘anta per il suo film satirico nei confronti di Hollywood.

Se la Baby Jane di Bette Davis si trasformava in una grottesca bambola (come quelle che la raffiguravano in gioventù, quando era famosa), anche Madeline ed Helen diventano due bambole, per di più nel finale bambole rotte, destinate a vivere insieme odiandosi come le sorelle del capolavoro di Aldrich, ed è proprio la trasformazione uno dei punti di forza di “La morte ti fa bella”.

«Allora in tutti questi anni avremmo potuto essere amiche…» (cit.)

Dopo aver tentato di tutto per contrastare gli effetti di Padre Tempo, anche sposarsi un chirurgo, l’unica soluzione resta il rimedio estremo, affidarsi alla magia della conturbante Lisle von Rhoman, una nudissima Isabella Rossellini che a sua volta ha utilizzato come sostegno il corpo di Catherine Bell come controfigura in molte delle inquadrature più audaci (storia vera).

La magia del cinema applicata alla magia della trama, infatti “Death Becomes Her” ha saputo con sapienza alternare i vecchi trucchi meccanici ai nuovi ritrovati digitali, il risultato sono seni che si rassodano (non senza tocchi di umorismo) oppure la pelle dei protagonisti che ringiovanisce grazie ad un software sviluppato apposta per il film. Effetti speciali che una bella spallata alla categoria l’hanno data, basta dire che il “buco allo stomaco” di Goldie Hawn è stato utilizzato qualche anno dopo in “Pronti a morire” (1995) di Sam Raimi.

«Ho un buco in pancia, qua non si mangia, neanche gli avanzi, visto» (cit.)

La squadra di tecnici degli effetti speciali composta da Michael Lantieri, Ken Ralston, Doug Chiang, Doug Smythe e Tom Woodruff Junior per le loro meraviglie si sono portati a casa un premio Oscar, al resto invece ha pensato la sapiente regia di Zemeckis, mai abbastanza celebrata nella sua eleganza, che qui ci regala una Hollywood moderna che nello stile strizza l’occhio a quella barocca degli anni d’oro, per un finale in cui cinema e trama si mescolano ancora, d’altra parte non è proprio la settima arte quella che da sempre immortala l’immagine delle dive sul grande schermo congelandone eternamente al momento esatto in cui erano al massimo del loro splendore? Un’industria basata sui morti viventi, eternamente conservati sullo schermo.

Questo non lo sapeva fare nemmeno Regan MacNeil.

Il risultato finale è un Re-Animator per famiglie, dove Meryl Streep e Goldie Hawn sono le prime a divertirsi nel ruolo delle non-morte, che si sparano a pallettoni a brucia pelo e si contorcono la testa dal lato sbagliato dopo essere rotolare giù dalle scale, uno spettacolo di umorismo nero che ogni volta mi diverte perché come potete intuire dal nome del blog, è un tipo di umorismo che è molto nelle mie corde ma anche in quelle di Zemeckis, basta guardare la scena della visita medica con il dottore interpretato da Sydney Pollack per capirlo.

«Quando abbiamo fatto ‘La mia Africa’ avevi una cera migliore cara»

Menzione speciale per Bruce Willis, che sarà stato anche un “cambio cestistico” al volo, ma è uno dei motivi per cui il film funziona, l’attore che ha iniziato con le commedie per poi diventare famoso con i ruoli da duro, qui è un tonno in mezzo alle “Femme fatale” che viene salvato da un deus ex machina classico per Bob Zemeckis, ovvero il temporale, quello che gli permette di uscirne tutto sommato bene, perché il finale del film è l’ultimo sfottò del regista all’industria di Hollywood. L’unico modo per essere davvero eterni non è ricorrere a dei trucchi, diventando come gli Elvis e i Jim Morrison invitati alla festa di questo film, ma è vivere una vita come si deve, non è un caso se il film successivo del regista fosse quello dedicato alla vita del mister bravo ragazzo americano di nome Forrest, Forrest Gump.

Anche perché il primo finale è stato bocciato dopo le proiezioni di prova: inizialmente Ernest in fuga, avrebbe dovuto trovare rifugio nel bar dove lavorava Toni, una ragazza con cui aveva stretto amicizia interpretata da Tracey Ullman, insieme a lei l’uomo riusciva a inscenare la sua morte e a scappare via. Il film terminava con un altro balzo in avanti nel tempo, ventisette anni dopo in Europa Madeline ed Helen, ridotte ormai due bambole rattoppate grottesche, vedono un’anziana coppia che si tiene per mano su una panchina, li sfottono per la loro età ma non si rendono conto che la mano dell’anziano signore è più giovane del resto del suo corpo, perché si trattava proprio di Ernest.

Faust non è mai stato più sexy di così.

Questa malinconia di fondo non è piaciuta durante la proiezione di prova, quindi Zemeckis ha tagliato completamente dal film le parti girate da Tracey Ullman e ha optato per un finale davvero degno di “Tales from the Crypt”, come in un fumetto della EC Comics i buoni trovano soddisfazione e i cattivi pagano, una pena che passa attraverso la satira, perché si sa che orrore e commedia spesso vanno a braccetto e sono grato a Zemeckis, di aver abbracciato l’horror così apertamente nel corso del suo film.

«Vieni a giocare con noi? Per sempre» (cit.)

Insomma trent’anni per gli immortali sono un tempo breve, sono felice che questo compleanno sia arrivato in tempo per rendere omaggio non solo ad un film che riguardo sempre volentieri, diretto da uno dei miei preferiti e interpretato da due grandissime attrici in gran spolvero, ma anche per ricordare una delle tante prove riuscite della carriera di Bruce Willis, che tanto su questa Bara sarà sempre presente. Proprio come ha brillantemente raccontato Zemeckis, questo è il bello (e il brutto) della magia del cinema, la sua capacità di tenerti in vita… Per sempre se necessario!

Sepolto in precedenza mercoledì 13 aprile 2022

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