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La pazza storia del mondo (1981): bello essere il re (della comicità)

Venti milioni di anni fa, una creatura simile alla scimmia
si levò in piedi e divento l’uomo, uno di quegli uomini a sua volta si levò in piedi
consapevole che ridere rappresentava una forma di sopravvivenza emotiva, ecco
perché siamo qui oggi, consapevoli del fatto che non possiamo sprecate… Tutto
quel Mel!

Facciamo l’elenco: musical di Broadway, film in costume, Western, Horror, film muti e thriller alla Hitch. Cosa manca al
Maestro Mel Brooks per poter dire di essersela amorevolmente presa con tutti i
generi cinematografici? Il film storico, quello epico in stile D.W. Griffith e
Cecil B. DeMille. Avere dalla sua Albert Whitlock, che con i suoi mascherini
dipinti, anche noti come “matte paintings”, aveva concesso a Brooks di avere
manicomi a strampiombo sulle scogliere in Alta Tensione, rappresentava una grande risorsa per poter andare ovunque nel mondo e nel tempo, senza
mai lasciare Hollywood.

Fu così che con gli occhi puntati sulle sue ambizioni e una
mano sul portafoglio, Mad Mel potè cominciare a lavorare sulla sua nuova
commedia, una parodia della Storia con la maiuscola, un progetto ambizioso
realizzato da assoluto monarca della comicità, infatti per la prima volta dai
tempi di Il mistero delle dodici sedie,
Mel Brooks scrisse la sceneggiatura in solitaria, senza un gruppo di lavoro
pronto a sfornare gag a mitraglia, considerando che comunque “La pazza storia
del mondo” rappresenta 92 minuti di fuoco di fila di trovate comiche di ogni
tipo (dallo slapstick, al musical passando per frasi e trovate diventate di
culto), questo vi dice di che razza di macchina da commedia sia quel pazzarello di
Brooklyn.

A metà tra il Bro-fist e il taffetà di gomito.

Brooks, avendo sposato quella ragguardevole donna che è
stata Anna Maria Louisa Italiano, meglio nota con il suo nome d’arte di Anne
Bancroft, ha sempre avuto un legame speciale con questo strambo Paese dalla
forma già ironica di suo, proprio com’è quanto meno ironico, leggere nell’autobiografia
di Mel (edita qui da noi per la nave di Teseo) che il suo amico Ezio Greggio è
il Johnny Carson italiano, facendogli un enorme complimento. Sta di fatto che
malgrado il legame con l’Italia, proprio qui da noi il film uscì in sala
mozzato di una parte del suo titolo originale, ovvero “History of the World,
Part I”. Proprio quel “Parte uno” è una trovata comica che dà subito l’idea
della volontà di grandiosità del film e poi, nel corso del tempo, è diventata sempre divertente, visto che con il passare degli anni, la famigerata “Part
II” è diventata qualcosa di mitologico, ma anche un modo per rendere il titolo
originale un vero spasso.

“La pazza storia del mondo” è diviso in cinque parti più una
conclusione finale, ognuna di esse attraversa un momento storico, li vediamo uno
per uno? Cacchio siamo qui per questo!

Però poi ci siamo evoluti. Forse.
Preistoria
L’inizio è epico, quelle scimmie, i nostri progenitori,
oltre a far felice lo simmiologo DOC in me, sembrano uno sfottò ai primi minuti
di “2001 odissea nello spazio” (1968), dopodiché quasi come omaggio alla serie
radiofonica “The 2000 years man” che ha reso celebre il Maestro e il suo grande
amico e collaboratore, il leggendario Carl Reiner, si torna alle origini anche
della comicità. La difficile vita dei primitivi viene raccontata da Mel Brooks
attraverso una serie di gag splastick, basata proprio su un umorismo fisico e
visivo, dalla scoperta del fuoco fino al primo artista della storia (ruolo
affidato a Brooks al suo primo datore di lavoro, Sid Caesar che lo lanciò con
il suo “Your Show of Shows”) che affronta il suo nemico naturale, il
primo critico della storia, che piscia – letteralmente! – sull’arte altrui.
Nasce l’arte! Un minuto dopo hanno creato una tastiera per poterla criticare meglio.

Un inizio di film riuscitissimo, reso ancora più epico dalla
voce narrante, va detto che il nostro doppiaggio ha sempre fatto adattamenti
più che decenti con i film di Brooks, con le commedie quasi una rarità, ma questo in particolare, che
funziona anche in Italiano, andrebbe gustato in originale per non perdersi il “Part
I” del titolo, ma anche per il narratore: Orson Welles.

Brooks è riuscito a contattare il leggendario regista
tramite un suo amico, perché se non fosse chiaro, Mad Mel è amico di tutti,
soprattutto del direttore creativo della BBC, Alan Yentob, che gli concesse di
incontrare il regista di “Quarto Potere” (1941) molto in là lungo il viale del
tramonto, quando ben pagato, accettava ogni lavoro, infatti per venticinquemila
bigliettoni verdi con sopra facce di ex presidenti defunti (tutti in contanti
però, condizione non negoziabile), Welles registrò tutte le parti da narratore a lui
assegnate, in un paio d’ore buona la prima, senza nemmeno bisogno dei cinque
giorni previsti in sala di registrazione. Ma la parte divertente resta la
risposta di Welles alla domanda di Brooks: «Come spenderai tutti quei soldi
ora?», «Sigari cubani e il miglior caviale beluga disponibile». Sembra una
battuta scritta dal Maestro Mel, ma in realtà è storia vera.

E vissero per sempre felici e contenti.
Bibbia
Questa porzione di film non è nemmeno un vero capitolo, più
che altro una singola gag, talmente riuscita da funzionare alla grande anche in
solitaria. Mel Brooks, rendendo onore alle sue origini, si cala nei panni di
uno degli ebrei più celebri dell’umanità, ovvero Mosé impegnato a portare giù
dal monte le tre tavole con i quindici comandamenti ricevuti da Dio per donar…
Oops! Dieci comandamenti! Abbiamo facilitato il lavoro a Charlton Heston.
Magari uno dei comandamenti perduti era: tu non guarderai film di GIEI GIEI Abrams.
Antica Roma
Per questa porzione di film Mel Brooks si è impegnato
decisamente di più, sfornando trovate a getto continuo, molte basate sulle
scritte in latino, scherzando sul palazzo di Cesare che somiglia parecchio a
quello omonimo di Las Vegas oppure all’ufficio di collocamento dell’Antica
Roma, pieno di gladiatori senza lavoro e comici, disoccupati per definizione.
Jabba spostati, fai largo a DeLuise!

Qui Brooks interpreta Comicus, il cui agente trova un
incarico per esibirsi a corte dell’Imperatore Nerone (Dom DeLuise con girovita
in espansione, quindi perfetto per la parte) e soprattutto di sua moglie, la
regina Nympho, nome omen.

Il solito ruolo tra il comico, il fuori di testa e il piccante per la bravissima Madeline Kahn.

Dopo essere stato il primo a riuscire a far mettere un piede
ad Hollywood all’esplosivo Richard Pryor come sceneggiatore di Mezzogiorno e mezzo di fuoco, il Maestro
Brooks questa volta non avrebbe ascoltato ragioni, il ruolo dello schiavo etiope
rimasto invenduto Josephus doveva essere di Pryor. Puoi giocare con la Storia
dell’umanità, ma con la Sfiga con la maiuscola, non puoi davvero patteggiare, per
via di un incidente domestico Pryor venne portato d’urgenza al centro ustioni
dell’ospedale di Sherman Oaks e non poté prendere parte al film, lo stesso
problema che Brooks aveva già dovuto affrontare proprio per il casting della
sua parodia Western.

Questa volta fu Madeline Kahn a indicare al regista il
sostituto ideale, l’attrice aveva lavorato a teatro con Gregory Hines, un comico che aveva esordito con il padre e il
fratello nel trio Hines, Hines and Dad a cui bastò un provino per entrare nei
panni di Josephus, spassoso nella parte del (finto) eunuco, ancora magro perché
tagliato di fresco.

«Tagliare? Ma che scherziamo? Calma, ragioniamo!»

La pazza fuga dei personaggi prevede molte trovate comiche
(parecchie pruriginose, più avanti ci torniamo) e apparizioni del Mosè di
Brooks ma soprattutto un finale di capitolo davvero divertente. Con una trovata
tipica del suo umorismo in puro stile Brooklyn ed estremamente legato ad uno
come il Maestro, che organizza spesso cene di quello che lui ha ribattezzato “Il
club dei mangioni di New York”, in cui vengono invitate tutte le buone
forchette del mondo dello spettacolo, il nostro Mad Mel manda in scena uno dei
passaggi più memorabili del film, la sua versione dell’ultima cena, dove lui si
ritaglia un ruolo da cameriere e imbucato nel celebre quadro di Leonardo.

Altman, Pitì, tanti hanno citato l’ultima cena al cinema, ma nessuno come Brooks!

La trovata più divertente? Aver assegnato a John Hurt il
ruolo di Gesù (la battuta in cui lo chiama per nome, sollevando gli occhi al
cielo è stata improvvisare e poi ripresa da TUTTI quelli che hanno usato JC in
un ruolo leggero e comico), attore che aveva già avuto legami con Brooks, visto
che aveva ricevuto una candidatura come miglior attore protagonista,
sepolto sotto il trucco di John Merrick solo l’anno prima in “The Elephant Man”
(1980) di David Lynch. Cosa centra con Brooks questo bellissimo film drammatico?
È stato uno dei primi prodotti dalla Brooks Film, casa di produzione fondata
insieme alla moglie Anne Bancroft, che per prendere le distanze dai film
comici, ha tenuto a battesimo sia Lynch che l’altro grande David, prediletto di
questa Bara, ovvero Cronenberg con il suo film su un insetto, o una roba
Kafkiana di quel tipo. Doppietta niente male per uno specializzato in commedie
no?

Inquisizione spagnola
Nessuno si aspetta l’inquisizione spagnola (cit.) tanto meno in un film di Mel
Brooks, uno dei momenti più oscuri della storia dell’umanità, una persecuzione
anche ai danni degli ebrei. La prova che solo chi scherza può dire che il re
è nudo oltre a chiarire a tutti il fatto che da Tomás de Torquemada (sempre Mel
Brooks) non ci cavi nada!
Nessuno si aspetta l’inquisizione spagnola, non in musica almeno!

Questa memorabile porzione di film rappresenta la parte
musical che è un momento di passaggio chiave per un film di Mad Mel, che qui
trova il modo di trasformare l’inquisizione spagnola in un grande numero musicale, come quello che avreste potuto trovare in un vecchio film della MGM,
con tanto di ballerine che si tuffano in piscina e un motivetto che vi si pianterà in testa per un milione di anni,
almeno finché non vi convertirete anche voi… Eretici!

Rivoluzione francese
Forse l’unica porzione di film con una trama su cui
sono costruite le trovate comiche, per altro vagamente ispirata al mistero della maschera
di ferro. Qui il sosia del perfido laido Luigi XVI (Mel Brooks), invece
di essere un prigioniero cosplayer di Victor Von Doom, viene pescato mentre è
intento a portare avanti il suo infamissimo ruolo di Garçon pipi, che non
richiede spiegazioni, anche se non parlate francese.

Ho sentimenti contrastanti nei confronti di questa porzione
di film, perché è essenzialmente tutta basata su trovate comiche sul
pruriginoso andante, anche troppo, non perché io sia un bacchettone, anzi, più
che altro perché risultano un po’ monotematiche, come la partita con gli
scacchi umani, che termina con tutti che si vogliono pappare la regina, eh
vabbè!

Questa vale come citazione scacchistica!

Eppure cosa vi devo dire? Allo stesso tempo è anche la porzione di film che contiene la singola battuta del Maestro Brooks che ripeto più spesso,
durante le mie giornate e qui sulla Bara, perché l’avete trovate (e
continuerete a farlo) in mille mila didascalie: «Bello essere il re…» solo
per lei, vale la pena di vedere tutto il film!

Se avessi dovuto pagare Brooks per ogni volta che l’ho usata, ora potrebbe permettersi davvero una corona.
La conclusione
Cercando di ripetere un po’ la gran caciara meta-narrativa
di Mezzogiorno e mezzo di fuoco (ma senza la
stessa anarchia) il finale termina con una fagiolata che mescola un po’ tutti i
personaggi, ma lo stesso Brooks si è reso conto che al suo “History of the
World, Part I” mancava qualcosa, infatti da vero genio ha piazzato la zampata:
il prossimamente del secondo capitolo!

Girato in fretta e furia, mettendo i famigerati baffetti e
la ancora più losca svastica sul braccio di un pattinatore professionista,
Brooks si è inventato momenti esilaranti come “Hitler sul ghiaccio” o il
funerale vichingo, fino al micidiale “Ebrei nello spazio”, che tra rabbini e
astronavi a forma di stelle di David, più che il trailer del prossimo film
storico di Brooks ha rappresentato le prove generali per un altro suo classico,
ovvero Balle Spaziali.

Ancora mille volte meno tragicomico di Episodio IX

“La pazza storia del mondo” è un fuoco di fila di trovate,
restare resi davanti ad un film così brillante è impossibile, eppure non è il
mio preferito del Maestro Mel Brooks, in tutta la sua produzione è quello che
si affida fin troppo alle battute pruriginose come detto, ma anche quello che
sembra più una lunga collezione di gag comiche, micidiali, geniali, a cui sono
completamente dedico come la già citata «It’s good to be the king!», però senza quella
struttura da vero film e senza quel tocco umano dato a tutti i personaggi, che
ha sempre permesso ai film di Brooks di essere per certi versi irripetibili
ancora oggi.

“History of the World, Part I” potrebbe essere il titolo
perfetto per chi non conosce Mel Brooks e vuole farsi un’idea di quanto
esplosivo possa essere il suo genio, ma ha un problema chiave, la scena dell’inquisizione
spagnola è mitica, ma va sotto bevendo dall’idrante contro quella dei Monty Python (Inghilterra 1 – Stati Uniti
0) e allo stesso modo, se confrontiamo la parte ambientata nell’Antica Roma del
film, non allaccia nemmeno le scarpe al molto più riuscito Brian di Nazareth (Inghilterra 2 – Stati Uniti 0).

Onore ai vincitori!

Se poi lo prendiamo come film corale, sulla vita, l’universo
e tutto quanto, il definitivo tre a zero è arrivato un paio d’anni dopo, con Il senso della vita. Per quanto
io possa voler bene a questo film, nella gara tra giganti della comicità, mi
sembra sempre meno riuscito nei confronti dei Python.

Poco male, con i suoi trentuno milioni di sesterzi
dollari portati a casa è stato un ottimo successo, oltre ad essere ancora oggi
uno dei film più citati e ricordati del Maestro Brooks, che ha tenuto quella
trovata comica, quel “Part I”, in sospeso come uno che conosce a menadito il
valore del tempismo quando vuoi far ridere. Non a caso, per la gioia di Douglas
Adams, quarantadue anni era il tempo giusto per Brooks per farci attendere la
sua battuta finale, alla sua verdissima età (visto che è un giovanotto nato nel
1926) proprio questo anno, anzi mentre sto buttando giù queste righe, per Hulu
sta uscendo la serie tv “History of the World, Part II”, non è una riga di
sceneggiatura come la frase di Welles, anche questa è storia vera perché con
Mel Brooks è tutto possibile, anche attendere la “battuta finale” per
quarantadue anni!

Inutile dirlo, a breve su queste Bare.

Ovviamente ne parleremo, perché è uno dei motivi per cui mi
sono finalmente convinto ad iniziare questa rubrica, ma prima vi
rimando all’appuntamento della prossima settimana, con un film non bello,
bellissimo! Non mancate, perché faremo le cose in grande, alla Bara volante
siamo fedeli solo a King Mel!

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