Non riesco a pensare ad un modo migliore per portare avanti la “Spooky season”, il mese di ottobre, quello storicamente dedicato al genere preferito di questa Bara, con l’iniziativa che comincia oggi.
Dico sempre che Mario Bava è patrimonio nel nostro cinema, mai abbastanza celebrato, non come meriterebbe, considerando che quest’anno con il numero tre come ultima cifra mi offre la concreta possibilità di trattare non uno, non due, non tre ma quattro film di Marione, quindi le prossime domeniche non prendete appuntamenti abbiamo un rubrichetta!
Padre Tempo è il miglior critico cinematografico del mondo perché può valutare sulla lunga distanza, ma anche contestualizzare i film all’interno del momento storico, ovvio che nel 1963 il film di Bava fosse figlio delle influenze, se non delle mode del momento. Fin dal titolo è chiara l’ispirazione, d’altra parte Hitchcock ha diretto due “L’uomo che sapeva troppo” (1934 e 1956) lo spunto è quello non si scappa, ma allo stesso tempo anche i “Krimi” tedeschi che in quel periodo andavano fortissimi, ma la grandezza di Bava è semplice da riassumere, lui non copia nessuno, crea, sono gli altri al massimo, che nei decenni successivi avrebbero imitato il suo stile, Padre Tempo lo sa bene.
La trama ruota intorno all’americana Nora Davis (Letícia Román) che atterra a Roma per le vacanze ma già sull’aereo passa i suoi guai, per via di un vicino di posto spacciatore, che le rifila un intero pacchetto di quelle sigarettine piene di DROCA, oh signora mia dove andremo a finire, la DROCA capisce? Quella che fumi e diventi pazzo! Anno 1963, tenetelo a mente, anche per gli sviluppi della trama.
In compenso il resto della “vacanza” non sarà tanto meglio, l’anziana signora che ospita Nora ha un malore, la ragazza per aiutarla esce in piena notte in cerca di aiuto e a Trinità dei Monti viene derubata e colpita alla testa credendo di assistere ad un omicidio, prima di perdere conoscenza.
Ovviamente non le crederà nessuno, giusto un po’ l’italiano meno italiano di sempre, il dottor Marcello Bassi, interpretato dal mitico John Saxon, risposta “di genere” al Gregory Peck di “Vacanze Romane” (1953).
Con l’aiuto del dottore e di alcuni ritagli di giornale, Nora scoprirà presto che ciò che ha visto è la replica perfetta di un omicidio avvenuto nello stesso luogo anni prima, un lavoretto fatto per mano del Killer dell’alfabeto, che in passato ha già mietuto tre vittime, ed io vi ricordo che è una trama derivativa proveniente dall’anno 1963, perché se avete visto più di due film negli ultimi sessant’anni, dovreste aver già notato che Nora di cognome fa Davis con la “D”, quarta lettera dell’alfabeto.
I tentativi di difendersi da parte della ragazza sono spesso bizzarri, come il corridoio trasformato in una “ragnatela” di fili tesi, allo stesso tempo anche i tocchi di umorismo, quasi sovversivo, tutti figli dell’anno 1963 e del tocco irriverente di Bava, che fa tornare in voga il proto-MacGuffin delle sigarette piene di DROCA solo nel finale, per farle finire provocatoriamente in mano ad un pretino, dopo aver idealmente svolto il loro compito, quello di far sospettare al pubblico del 1963 che la protagonista, fumata, si sia sognata tutto.
Perché “La ragazza che sapeva troppo” è uno dei titoli che consiglio a tutti per avvicinarsi al cinema di Bava? Per la sua semplicità e per la sua importanza sì, ma non perché sia uno dei suoi più belli, derivativo, ingenuo come i suoi sessant’anni dimostrano spesso, con una soluzione del Giallo ad effetto ma non impossibile da intuire, eppure la bellezza del film sta proprio nel suo essere un archetipo, anzi, di aver ridefinito un archetipo che ancora oggi sessant’anni dopo, è spesso la base di moltissimi film anche contemporanei.
È innegabile che Mario Bava con questo film abbia definito le coordinate, sia visive che geografiche da cui poi sia il Giallo all’italiana che molto Horror successivo (visto che i due generi sono cugini) hanno pescato a piene mani, di solito guantate da assassino.
Roma sullo sfondo, ma raccontata dal punto di vista di stranieri, qui Bava codifica tutto quello che poi Dario Argento rifarà nella sua carriera, basta guardare il modo in cui Bava ritrae la città, come se fosse un luogo sospeso in un non-tempo, infinito e a tratti anche spaventoso quando le strade si spopolano, il genere era ormai codificato, con un solo piccolo ma fondamentale titolo, Mario Bava, dopo aver inventato il gotico italiano e lo Slasher, ha creato anche il Giallo all’italiana e ancora tutti noi (e tanti registi) diciamo grazie, anzi diciamo Classido!
Da italiche abitudini di allora, si sono messi in sei a scrivere il film (Ennio de Concini, Sergio Corbucci, Elena De Sabata, ma poi ancora Mino Guerrini, Franco Prosperi e lo stesso Bava), ma non è certo la storia la forza di “La ragazza che sapeva troppo”, la vera efficacia sta tutta nella regia di Bava, che mette nero su bianco (letteralmente) tutti i canoni di un genere popolarissimo qui da noi, ma per assurdo molto più amato all’estero.
Pensate all’archetipo della ragazza giovane in un posto nuovo e straniero, sola contro gli eventi strani che dovrà affrontare, Mario Bava lo ritroviamo nei film di Argento certo, ma anche in titoli ben più moderni come Ultima notte a Soho, dove è chiaro che stiamo ancora assistendo agli effetti a lungo termine dei semi sparsi in giro da Mario Bava, mica male per quello che non è nemmeno uno dei suoi film migliori della filmografia no? Per quelli bisognerà attendere gli anni successivi o se vi va, domenica prossima, dove avremmo un altro compleanno da festeggiare, sono in missione per conto di Mario Bava.
Sepolto in precedenza domenica 8 ottobre 2023
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