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La regina degli scacchi (2020): non vi facevo tutti fanatici di scacchi in questo modo

La miniserie Netflix che sta facendo diventare tutti dei Kasparov,
mi sembra giusto affrontarla come merita.

Prima che il vostro Blogger preferito Beppe Grillo Cassidy venisse al mondo, i suoi genitori passarono un lungo periodo in quella che allora si chiamava ancora Unione Sovietica. No, non sono figlio di due spie del KGB (credo…) ma è stata comunque una lunga permanenza per motivi lavorativi da cui sono tornati con una discreta resistenza al freddo, il gusto per un dito di Vodka dopo cena e gli scacchi.

Ho ereditato per corredo genetico almeno due di queste capacità ma badate bene, questo non fa di me un giocatore di scacchi esperto, anche se imparare le regole del “Nobil giuoco” su una scacchiera in legno russa è un po’ come imparare a giocare a basket con uno dei palloni originali del dottor James Naismith. Ribadisco non sono uno scacchista provetto, sono solo uno che sa giocare a scacchi, se volete un esperto del settore, vi suggerisco Lucius e il suo Citascacchi.

Questo fotogramma riassume tutta la serie Anya Taylor-Joy-centrica.

La passione per il “Nobil giuoco” è diventata improvvisamente di moda grazie alla bella serie originale Netflix, “La regina degli scacchi” creata da Scott Frank e Allan Scott, basata sull’omonimo romanzo del 1983 di Walter Tevis, un personaggio quanto meno interessante che gli appassionati di cinema dovrebbero conoscere, visto che ha scritto “L’uomo che cadde sulla Terra” da cui è stato tratto l’omonimo film con David Bowie, ma soprattutto “Lo spaccone” e “Il colore dei soldi”, che trovate come titoli anche nella filmografia di Paul Newman.

Il successo di “Lo spaccone” in particolare, fruttò parecchi soldi a Tevis che però aveva anche lui il gusto per la Vodka dopo cena, solo che più che un dito versato in un bicchiere, lui puntava direttamente alla bottiglia, inoltre lo scrittore, aveva una fissa per il gioco, oltre agli scacchi scommetteva su qualunque cosa, anche le corse degli scarafaggi, quindi potete immaginare come abbia speso tutti i soldi del suo primo romanzo di successo.

Era dai tempi di “The Social Network” (2010) di David Fincher che una biografia basata su un argomento piuttosto statico (lì era la creazione del Faccialibro, qui gli scacchi) non mi appassionava così tanto. Con la Wing-woman ci siamo bevuti i sette episodi della miniserie in un tempo ridicolmente breve, perché di suo è una serie estremamente curata nella ricostruzione dell’America degli anni ’50 e ’60, che ruota tutta intorno alla protagonista Elizabeth Harmon, interpretata dagli occhi marziani della lanciatissima Anya Taylor-Joy, l’unica donna sul pianeta che quando utilizza i filtri di Snapchat, si ritrova con una fototessera da patente.

Scacco matto ai filtri di Snapchat.

Ammettiamolo, dal punto di vista cinematografico (o televisivo, anche se questo romanzo avrebbe dovuto essere la prima regia del compianto Heath Ledger, storia vera), gli scacchi non sono proprio la Boxe, si tratta comunque di due persone ferme a ragionare davanti alle 64 caselle di una scacchiera, eppure questa serie inquadrando più la sua protagonista che i pezzi degli scacchi, risulta incredibilmente appassionante, non è necessario conoscere le regole del gioco per seguirla alla perfezione, ma la cura con cui sono state ricostruite le partite la percepisco anche io che sono una scimmia ben educata davanti ad una scacchiera.

“La regina degli scacchi” affronta il ruolo delle donne in un Paese, in un periodo storico e in una disciplina in cui non hanno mai avuto molta cittadinanza, non che nel 2020 – e in molti altri campi purtroppo – la situazione sia migliorata, però oggi forse ci sono più spettatori per questo tipo di storie, anche se a colpirmi davvero non è stata la parabola femminista, oppure il metaforone della vita come lunga e complicata partita a scacchi, quando più che altro il fatto che la serie tratti molto bene l’argomento di un vero talento destinato al grande successo, e a quello che succede quando poi finalmente il successo arriva.

“Non ci hai capito niente eh?” (cit.)

Elizabeth Harmon come Walter Tevis ha una leggerissima tendenza a sviluppare dipendenze (appena appena accennata eh?), che sia per il gioco degli scacchi, per le pillole colorate che la aiutano a concentrarsi meglio, ma anche per l’alcool. Di fatto “La regina degli scacchi” affronta temi visti e stravisti, per non dire proprio abusati, e per di più lo fa grazie ad una protagonista che ha l’arroganza di chi sa di essere più forte di tutti nella stanza, eppure anche per questo affascina, come Larry Bird che si presentava alla gara del tiro da tre punti dicendo: «Vediamo chi arriva secondo oggi» (storia vera).

Se ad Anya Taylor-Joy mancava un ruolo con cui fosse facilmente identificabile al grande pubblico ora quel ruolo è arrivato, ma per rendere appassionante un gioco che da fuori appare statico, utilizzando temi sempre attuali (poiché viviamo in un mondo molto bizzarro) e una protagonista che altrove potrebbe essere la cattiva della storia, beh vuol dire che hai davvero dei numeri. Inoltre sono molto felice di vedere il formato della miniserie auto conclusiva sempre più spesso e così bene.

Ed ora, correte tutti a leggere il post del Zinefilo dedicato a questa miniserie non troverete uno migliore nemmeno passando tutta Internet al setaccio.

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