Sapete chi compie i suoi primi trent’anni ed è ancora un film fresco come una birra appena uscita dal frigo? Bravi, proprio “La storia fantastica”, non lo avete mai visto? Preparatevi a morir! … No, dai, scherzo. Per questo compleanno abbiamo organizzato per voi un Blogtour di grande prestigio!
Iniziamo con il pezzo di Lucius sulle pagine del Zinefilo, Continuiamo con la locandina italiana d’annata su IPMP. Ultima, ma non meno importante, il post della CineCivetta!
Quando dici “La storia fantastica”, le reazioni sono sempre fondamentalmente due: ci sono quelli che ti guardano e dubbiosi ti chiedono «Ma parli de “La storia infinita”, vero?» e gli altri, invece, a cui vengono gli occhi a forma di cuore e partono a descriverti la loro scena preferita, c’è solo da scegliere perché nel film non mancano.
“La storia infinita” ha traumatizzato un’intera generazione nata e cresciuta negli anni ’80, ma mi rendo anche conto che per essere un cult generazione, “La storia fantastica” viene ricordato da una porzione di pubblico molto minore, probabilmente perché è stato replicato in televisione per un numero limitato di anni prima di diventare ospite fisso dei palinsesti pre e post Natalizi. Quelle repliche televisive hanno fatto sì che fosse sufficiente essere nati un anno dopo, per aver perso il treno, almeno, questa è l’idea che mi sono fatto, sotto con le vostre teorie ed esperienze nei commenti!
Trova le dieci piccole differenze. |
La confusione tra i due titoli è tutta italiana, anzi “Italiota” perché fin dalla locandina in uno strambo Paese a forma di scarpa, le hanno tentate tutte per mettersi in scia al Fortunadrago di Wolfgang Petersen del 1984, in realtà, il titolo originale del film è “The Princess Bride” proprio come il libro da cui è tratto, “La principessa sposa” di William Goldman pubblicato nel 1973, autore anche dell’ottima sceneggiatura del film, ma non parliamo certo di uno qualunque, è lo stesso che ha scritto la sceneggiatura di cosette come “Butch Cassidy” (1969) o “Tutti gli uomini del presidente” (1976) e poi, vabbè, anche “Wild Card”, ma torniamo al film, anzi no, torniamo al libro!
Tutto inizia con un libro e non è tanto per dire, perché quando il giovane Fred “Ragazzino degli anni ‘80” Savage (quello del telefilm “Blues Jeans”) è inchiodato a casa con la febbre a smanettare con il suo joystick (ma non in QUEL senso!), riceve la visita del suo analogico nonno, e se il nipote è un idolo di un vecchio telefilm, come nonno non può che avere un’altra icona del piccolo schermo, il tenente Colombo in persona, Peter Falk.
«Ah, già, quasi dimenticavo di leggerti la storia» (Quasi-cit.) |
“Basta smanettare il Joystick del Commodore64 che poi diventi cieco! Ti leggo un libro, perché ai miei tempi i libri erano la nostra tv” e da qui inizia la storia del biondo Westley (Cary Elwes) innamorato della principessa Bottondoro (azzeccato adattamento dell’originale “Buttercup” che mi fa pensare a tutto tranne che a una principessa delle favole). I due si amano senza dirselo mai, Westley risponde solo “Ai tuoi ordini”, ma è come se dicesse “Ti a…” “Oohhh, ma che palle nonno non sarà mica una “Storia di baci””, per usare le parole esatte del nipote, prima di iniziare a “Whatsappare” con gli amici sull’I-telefono. Solo che sfiga! È il 1987 gli smartphone non saranno ancora inventati, quindi zitto e STACCE che la storia comincia sul serio.
Se non avete mai visto questo film, state tranquilli che passerete i primi venti minuti a chiedervi dove avete già visto la biondina carina che interpreta Bottondoro, potete pensarci pure un anno, tanto fino ai titoli di coda fatti come piacciono a me, una carrellata di tutti i protagonisti con il nome dell’attore che lo interpreta alla moda di Predator. Ma se non volete arrivare fino alla fine del film, vi dico io chi è, Robin Wright in versione 1.0 prima che la chirurgia la straformasse nella bellissima marziana tutta eterea che è ancora oggi.
Provate un po’ voi a passare anni a litigare con Sean Penn, poi ne riparliamo. |
Però, a ben pensarci, forse “La storia fantastica” non è un titolo tanto sbagliato, il piccolo Sebastian era protagonista lui stesso del libro che leggeva in La storia infinita, mentre Fred Savage e insieme a lui noi spettatori, siamo tutti insieme ad ascoltare nonno Colombo come fruitori finali di quella che è davvero una storia fantastica, nel senso fantasy (ma anche no) del termine.
Se il film risulta fantastico sul serio, dobbiamo ringraziare il regista Rob Reiner, lo stesso di quella bomba clamorosa di This is Spinal Tap che un giorno sulla Bara Volante dovrà fare la sua comparsa per forza, ma anche di un altro classico ultra noto, “Stand by Me – Ricordo di un’estate” (1986).
Nella prima parte Reiner gioca con lo spettatore, sfruttando al meglio la struttura narrativa del film ed infrangendo puntualmente l’ideale muro che separa la lettura del nonno e la storia del libro, che diventa un film davanti ai nostri occhi. La mia scena preferita è quando Bottondoro cerca di fuggire dalla nave dei suoi rapitori gettandosi in acqua, nuotando tra le anguille carnivore, un momento di “paura” che Reiner (e nonno Peter Falk) interrompono all’apice del climax per assicurarsi di non fare troppa paura al nipote e a noi spettatori che grossomodo ai tempi, non eravamo tanto più vecchi di Fred Savage.
«Che cavolo stai dicendo Willis?» , «Guarda che quello era un altro telefilm» |
Un espediente che si diluisce con il passare della storia, dando proprio l’idea di quanto il coinvolgimento del nipote per le vicende dei protagonisti aumenti con il passare dei minuti che poi è proprio quello che succede a tutti noi quando un libro ci appassiona così tanto da farci dimenticare la realtà che ci circonda. Ma occhio, perché Rob Reiner e William Goldman hanno un altro asso nella manica, tenetevi l’icona aperta che più avanti ci torniamo.
Il bello di “The Princess Bride” è che dura 94 minuti, ma la sensazione è ancora quella di essere di fronte ad una storia di grande respiro, con un numero di trovate ed eventi tale di poter riempire una storia di tre ore, un risultato che si ottiene grazie a personaggi efficaci, uno migliore dell’altro.
Il biondo Westley parte per cercare fortuna per poter sposare la sua Bottondoro, ma sparisce e viene dato per morto e la bionda principessa controvoglia viene costretta a convolare ad ingiuste nozze con quel viscido bastardo del Principe Humperdinck (Chris Sarandon) che, però, non è troppo interessato a sollazzarsi con la bionda, in realtà vorrebbe solo farla fuori alla prima occasione utile, facendo ricadere la colpa contro gli storici avversari del regno di Gyllander, in modo da avere una scusa per rompere la tregua e iniziare la guerra. Un piano diabolico e geniale, tanto che Dick Cheney e George “Dabliù” Bush lo hanno replicato non troppo tempo fa, però con delle fantomatiche armi di distruzione di massa al posto di Robin Wright.
Quando un presidente e il suo vice, copiano da questi due, vuol dire che abbiamo un problema. |
Lo stronzissimo principe affida il compito del rapimento della principessa ad un professionista, l’astutissimo (e doppiato in siciliano senza provocare l’orticaria) Vizzini interpretato dalla faccia da schiaffoni da Wallace Shawn e supportato da due aiutanti controvoglia e qui preparatevi perché viene davvero giù il cielo su questo due nomi, lo spadaccino spagnolo Iñigo Montoya (Mandy Patinkin) e il gigante Groellan… Groenla… della Groenlandia, Fezzik, interpretato dai 2 metri e 24 per l’equivalente in chili di André the Giant. Boom!
L’unica speranza per la principessa è un losco figuro, una specie di Zorro senza mantello che è chiaro essere Westley redivivo e mascherato («È molto comoda, credo che in futuro la porteranno tutti») il più motivato di tutti che, di certo, non si fermerà davanti a niente per salvarla, nemmeno a dover sfidare i tre rapitori uno alla volta in tre gare: abilità con la spada, forza ed intelligenza. Inutile che vi dica siano una meglio dell’altra.
Una sorta di il lungo, il corto e il pacioccone. I ruoli lascio deciderli a voi. |
Se il rompicapo dei due boccali di vino di cui uno solo avvelenato contro Vizzini è uno spasso («Mai mettersi contro un siciliano quando si tratta di uccidere») ancora meglio è vedere il metro e ottantatre di Cary Elwes contro quella montagna umana di André the Giant trovare il modo per “Ammazzarsi come persone civili”.
Come un prurito fastidioso sulla schiena che non riesci a grattarti. |
Ma il mio scontro preferito è il duello di spada contro Iñigo Montoya che per quanto mi riguarda sta a “La storia fantastica” come Han Solo sta a Guerre Stellari. Va bene la trama principale, ma alla fine siamo tutti qui per assistere alla ricerca di vendetta di Iñigo contro l’uomo con sei dita, colui che sfregiò le sue guance, ma soprattutto uccise sue padre, in una frase che sentirete ripetere giusto un paio di volte in tutto il film, ma due proprio.
Dai quante volte l’avete ripetuta anche voi? Come se non vi conoscessi! |
La bellezza di “La storia fantastica” sta nel suo giocarsi pochissimi elementi puramente fantasy, tipo gli RTF (Roditori Taglie Forti) e forse la presenza del mitico Max dei Miracoli interpretato da un irriconoscibile Billy Crystal, protagonista di una scena che è stata diretta dalla seconda unità, perché il regista Rob Reiner davanti alla prova di Crystal scoppiò a ridere così forte, ma così forte da non poter più poter dirigere, era troppo impegnato a tenersi la pancia dalla risate (storia vera).
Sotto tutto quel trucco, c’è il fan numero uno dei Los Angeles Clippers (anche perché non sono tanti). |
Tutto il film si diverte a prendere amorevolmente per i fondelli i cliché delle favole, ma anche i film di cappa e spada con Enroll Flynn, infatti nel combattimento tra Zorro/Westley ed Iñigo Montoya i due chiamano le mosse di attacco e di difesa, usando i nomi di veri schermidori, un po’ come due provetti scacchisti, oppure come si faceva nel duello di spada giocando a Monkey Island, giusto perché siamo in piena fase malinconia.
«Io sono la gomma, tu la colla» (Cit.) |
Non c’è una singola trovata o svolta di trama in “The Princess Bride” che non sia un continuo gioco tra regista (il narratore) e il suo pubblico. Visto che vi ero debitore di un’icona lasciata aperta, affrontiamo questo argomento di petto: se dopo trent’anni questo film è ancora così fresco e divertente è proprio per la sua assoluta modernità, sembra di guardare una fiaba classica, ma allo stesso tempo alla gioiosa parodia di una fiaba classica, il tutto giusto un paio di anni prima che la Dreamworks facesse quasi lo stesso con il primo “Shrek” (2001).
Che cos’è un “Mantello da olocausto”? Non importa, perché tanto André the Giant ne tira fuori uno dalla tasca, per mettere su quella baracconata di piano con qui insieme a Westley ed Iñigo Montoya riescano ad entrare nel castello dove viene tenuta prigioniera Bottondoro. Ma allo stesso modo, il gioco continua anche quando i personaggi dicono che ci vorrebbe un miracolo per riportare in vita Westley dalla sua condizione di quasi morto («C’è una grossa differenza tra quasi morto e tutto morto») vanno da miracolo, inteso come Max. Ma dovete solo scegliere il vostro momento preferito, in questo film non mancano, ad esempio a me fa sempre molto ridere la faccia da fidanzata che guarda il suo ragazzo pensando “Ma mi prendi per il culo?” quando nell’orrida palude del fuoco, lui fa il rilassato, dicendo «Non dico che ci vivrei, ma gli alberi sono molto belli».
Come ti senti, quando fai le battute e la tua ragazza ti guarda storto. |
Ogni personaggio sembra impegnato a mantenere le proprie apparenze, oppure a cercare di smarcarsi dalla propria fama… ecco, la fama: sembra che il mondo di “La storia fantastica” sia quasi tutto basato sulla fama, in un costante smontare, frustrare e giocare con le aspettative dello spettatore.
La morte di Vizzini, ad esempio, è giocosa ed in qualche modo anche giusta, per come può essere intesa giusta una morte di un personaggio totalmente malvagio in una fiaba, ma allo stesso tempo, il personaggio più stronzo di tutto il film, Principe Humperdinck non muore mai anche se tutti se lo aspettano, tanto che è proprio nonno Peter Falk a ribadirlo, no non muore, rassegnatevi.
Il dettaglio più rappresentativo è sicuramente la fama del pirata Roberts, il terrore dei Sette Mari, descritto come l’uomo nero delle favole, in realtà una specie di titolo al portatore che in questo gioco di ruolo è soltanto un altro riuscitissimo scherzo.
Robin Hood Pirata Roberts un uomo in calzamaglia. |
Poi, pensateci bene, Iñigo Montoya ci viene presentato come lo spadaccino più abile del mondo, ma non vince nemmeno un duello, se non l’unico che gli sta davvero a cuore, quello contro l’uomo con sei dita, in una scena in cui non manca nemmeno il sangue (una roba impossibile oggi) e definirla esaltante sarebbe altamente riduttivo!
Intervistato nel 2012 dal New York Magazine, Mandy Patinkin ha dichiarato che oltre a considerare Iñigo Montoya il ruolo preferito della sua carriera, grossomodo non è passato un singolo giorno della sua vita, dal 1987 ad oggi, in cui qualcuno non lo abbia fermato per strada puntandogli un indice contro come se fosse una spada e dicendo «Hola. Mi nombre es Iñigo Montoya. Tu hai ucciso mi padre, preparate a morir!», la stessa frase che nel finale lo spadaccino ripete sei volte (6, S-E-I) di fila in un crescendo che sa di trionfo e che chi è riuscito a beccare quelle repliche televisive ripete con il sorrisone ebete e felice sul volto.
Cosa si può chiedere di più ad un film come questo? Che abbia le musiche composte da Mark Knopfler? No! Perché le musiche di questo film le ha davvero composte il mitico chitarrista dei Dire Straits che pare aver accettato solo ad una condizione: nel film avrebbe dovuto fare la sua comparsa il cappello che Rob Reiner teneva sulla capoccia nelle scene del suo film This Is Spinal Tap. Reiner deve aver pensato «Per così poco?», quindi aguzzate la vista e guardate bene le pareti della camera del ragazzino.