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La storia infinita (1984): ma questa è un’altra storia…

Qui alla Bara Volante abbiamo delle tradizioni da portare avanti, una di quelle più sentite è l’appuntamento del 24 dicembre che quest’anno si gioca un titolo con cui siamo cresciuti in tanti e che ha lasciato i suoi bei traumi segni, ad esempio sulla lunghezza dei miei post… Delle storie infinite.

La scelta del titolo di quest’anno è stata resa ancora più semplice dal quarantennale del romanzo originale scritto da Michael Ende nel 1979, un libro a cui sono molto legato e che io… Non ho mai letto! Non ve l’aspettavate, eh? Anche se, a dirla tutta, non è andata proprio così, ci arriviamo, altrimenti che post infinito sarebbe, no?

Parliamoci chiaro: ho amato tantissimo “Momo” (1973) di Ende, anzi, mi sembra strano che nessuno l’abbia mai preso in considerazione per un adattamento cinematografico con attori. Cioè nemmeno troppo strano alla luce di com’è andata con il film di oggi, lasciatemi l’icona aperta, più avanti ci torniamo.

Il libro era quasi identico a quello del film, una roba meta che non vi dico!

Ho letto “Momo” alle elementari, uno di quei libri assegnati dalla maestra che di solito vengono presi come compiti da svolgere, solo che era così bello che me lo sono tritato in poco tempo. Vista la, chiamiamola “risposta di pubblico” da parte della classe, la signora maestra decise di tentare il colpo grosso: leggerci “La storia infinita” durante le pause merenda pomeridiane, un’ora al giorno, tutti i giorni, mentre noi ingollavamo succhi di frutta Derby direttamente dal loro comodo brick con cannuccia flessibile. Il finale degli anni ’80 al loro meglio, insomma.

Libro affascinante questo “La storia infinita”, per contenuto, ovviamente, ma anche per contenitore, essendo cresciuto (per mia fortuna) in una casa di avidi lettori, ho sempre guardato ai libri con occhio di riguardo, ma quello della maestra era una bomba: oltre all’Auryn (disegnato) sulla copertina, aveva le pagine di due colori diversi, rossiccio per la parte fantastica con protagonista Atreyu, verdino per quella terreste con Bastian. Cioè: è un libro, però ha due colori! La mia mente di bambino esplode per eccesso di figoseria.

Il problema è che i buoni propositi della signora maestra si sono schiantati di faccia tra il numero di merende pomeridiane, contro quello di pagine del romanzo, quindi per me “La storia infinita” è rimasta davvero una storia senza fine, un giorno potrei svegliarmi di nuovo con il succhino della Derby in mano in un aula di scuola di fine anni ’80. Oddio la pubertà di nuovo? No, eh!?

«L’uomo sopravvissuto a due pubertà potremo farti un sacco di esperimenti siiiiientifici»

Di sicuramente infinite ci sono stante anche il numero di volte in cui ho visto e rivisto questo film durante la mia piccolezza, da più grandicello e anche da ormai pesto e logoro come ora. “La storia infinita” di Wolfgang Petersen è un film invecchiato, tutto sommato bene, bisogna dirlo, che va sotto con perdite solo nel confronto con il romanzo, perché non hanno mai terminato di leggermelo (ed io di mio molto stranamente, non ho ancora colmato la lacuna), ma come tutte le volte in cui mi trovo davanti a qualcosa che non conosco, mi metto a fare i compiti e lo so anche io che il film copre quasi solo la prima parte del libro, che sarebbe un po’ come spacciare “La compagnia dell’anello” per tutto “Il signore degli anelli”, cosa che, ora che ci penso, nella storia del cinema è anche quasi accaduta.

Eppure, non c’è niente da fare: “La storia infinita” malgrado i suoi momenti spesso ben più che naif è un film che si è scolpito a fuoco nell’immaginario collettivo, ha permesso a tanti psicologi infantili di comprarsi la Ferrari e ancora oggi è amatissimo. Non è il miglior adattamento possibile del romanzo di Ende, ma è un titolo irripetibile con tutte le carte in regola per essere il Classido di Natale della Bara Volante!

Le riprese si sono svolte durante il 1983 con la conclusione ufficiale il primo novembre di quell’anno, Wolfgang Petersen arrivava da un classico dei film per fissati con i sottomarini come me, “U-Boot 96” (1981) con Sutter Kane nel cast. Un bel salto mortale passare da sottocoperta a sotto le coperte con il capolavoro di Ende, ma tutto procede a gonfie vele, lo scrittore è coinvolto nel progetto e malgrado le tante creature fantastiche presenti nella sua storia, la produzione pare avere il cuore dal lato giusto e il portafoglio dallo stesso lato. Infatti, per decenni “La storia infinita” con i suoi 27 milioni di fogli verdi con sopra stampate le facce dei presidenti dei co-produttori americani, è rimasto al primo posto della classifica dei film tedeschi più costosi di sempre, scalzato in epoca recente solo da quella cagat… Ehm, da “Cloud Atlas” (2012) costato la bellezza di 128 milioni. Sapete che vi dico? Il vecchio Wolfy ha strizzato i centesimi facendone un uso molto migliore, ascoltate un cretino, che lo sono da tanto tempo, ho esperienza.

Con i suoi quasi cento milioni portati a casa nei botteghini di tutto il mondo, Michael Ende sarà stato molto felice del successo della sua storia (infinita) al cinema, ecco, più o meno, facciamo anche molto meno, ma soprattutto chiudiamo quell’icona lasciata aperta lassù.

«Cassidy quando scrive le premesse è molto più lento di me»

Come detto, il film prende in considerazione quasi esclusivamente la prima parte del romanzo, facendo alcune modifiche che Ende non ha gradito fin dal primo momento, ma quando lo scrittore ha cercato di intervenire, ormai era troppo tardi, la fase di produzione del film era troppo avanzata. Le sue parole sul film? Pacate e misurate oserei dire: «…auguro la peste ai produttori. M’hanno ignorato. Quello che mi hanno fatto è una zozzura a livello umano, un tradimento a quello artistico». A parte il fatto che sogno il giorno di poter anche io usare l’espressione “auguro la peste” in una frase di senso compiuto (ma anche no, sto bene così), però ecco, se non abbiamo mai visto un film tratto da “Momo” ora sapete il perché, visto che Ende ha anche perso la causa legale intentata per far togliere il suo nome dai crediti del film (storia vera), insomma: cornuto e mazziato.

Resta il fatto che il film di Wolfgang Petersen è una storia a misura di bambino che a 35 anni dalla sua uscita, ha ancora tutto per riportarti in un momento etereo sospeso nel tempo e tra le nuvole, i suoi effetti speciali ormai fuori moda (in entrambi i possibili significati del termine, positivo e negativo) lo rendono ancora così sognante per i più piccoli e retrò per gli ex piccoli, una rassicurante coperta di Linus in cui avvolgersi per tornare a leggere le pagine di questa storia.

Solo da adulto capisci che tutto il film ruota intorno l’elaborazione di un lutto. Giusto perché non era già abbastanza carico di temi tosti, eh no.

Le musiche di Giorgio Moroder, lanciate nella stratosfera dal singolo cantato da Limahl (… Is the answer to a never ending storyyyyyyyyy ah ahh ahhh) hanno fatto del film un pezzo notevole della cultura popolare, in un momento in cui si fa di tutto per portare avanti un’immagine malinconica degli anni ’80 che li ha resi plastificati, edulcorati ed intrappolati nella grafite della memoria come Han Solo, io ci terrei a dire una cosa che mi sta molto a cuore: volete fare i nostalgici in stile Stranger Things canticchiano a tutti polmoni la canzone del film? Ok, prima dovete avere le palle di farvi i capelli come Limahl nel video! Troppo facile prendersi solo il meglio degli anni ’80, anche le capigliature vi dovete portare a casa.

“La storia infinita” non ha l’ironia brillante del suo cugino alla lontana La storia fantastica, ma dietro alla sua facciata di favola in puro stile anni ’80 piena di creature fantastiche, è una storia (infinita) con i denti e nessuna paura di usarli. Il caro vecchio Wolfgang Petersen era un regista di film rivolti ad un pubblico adulto, il suo successivo (e a mio avviso bellissimo) “Il mio nemico” (1985) riprendeva in chiave fantastica un classico come “Duello nel Pacifico” (1968), inserendo momenti che oggi farebbero urlare le signore Lovejoy di questo mondo, il parto del rettiloide alieno Louis Gossett Jr. è qualcosa che un film moderno non potrebbe permettersi, senza strepiti di «I bambini! Perché nessuno pensa ai bambini!».

Forever Jung (Cit.)

No, “La storia infinita” ti piazza sulla nuca dei clamorosi coppini formativi e il nostro Wolfy Petersen è un po’ come quello zio buono che ti raccontava le favole, però aveva le mani pesanti!

Questo film è una storia tutta raccontata ad altezza bambino, a partire dal suo protagonista Bastian (Barret Oliver, che avremmo visto l’anno dopo alle prese con un robot in “D.A.R.Y.L.”) che non è certo uno di quei bambini fighi degli anni ’80 con la cameretta piena di poster, i Walkie talkie e la BMX (veeeeeero Stranger Coso?), ma è uno del tutto normale, persino il Fred Savage di La storia fantastica aveva più lussi di Bastian che è proprio uno di noi, a partire dalla capigliatura da sfigato imposta dall’alto (i genitori), qui con quella scodella in testa sembra Jim Carrey in “Scemo & più scemo” (1997).

«Pensavo che le montagne rocciose fossero un po’ più rocciose» (Cit.)

L’unico lusso di Bastian è avere Gerald McRaney come papà (famoso per la serie tv “Simon & Simon”. Credo interpretasse Simon) che durante il pasto più importante della giornata, a colazione gli serve una razione di cereali e realismo. “Basta con tutto questo fantasticare, tua madre mica è morta lasciandoti orfano perché possa sprecare le tue giornate e pensare agli Unicorni e ai folletti”. Ora capisco perché Gerald McRaney è finito a recitare in “Agli ordini papà”, telefilm che guardavamo forse in ventidue.

Simon ordina (prima di John McClane)

Bastian ha la sfiga dentro, infatti è il sacco da allenamento preferito dei bulletti scolastici. Nelle uniche scene girate in Canada del film (il resto tutto negli studi di Monaco di Baviera più una scena in spiaggia girata in Spagna) il poveretto finisce nel bidone dell’umido per sfuggire ai suoi aguzzini, roba che a confronto rifugiarsi del negozio di libri di un vecchio bibliotecario che sembra Pacciani è un miglioramento della sua normale routine quotidiana.

Il simpatico libraio, poco avvezzo al concetto capitalista per cui se hai un negozio, dovresti vendere e incassare se vuoi evitare di fallire, lo caccia quando Bastian dimostra interesse per quel librone intitolato “La storia infinita” che “non è affatto un libro come gli altri, leggendo per un po’ puoi essere chi vuoi, in base alla scelta delle ture letture puoi diventare Il capitano Nemo, Re Artù, oppure personaggi davvero importanti tipo che so… Chiara Ferragni, ma una volta chiuso il libro è tutto finito. Questo libro, invece, è speciale, ma tu non puoi leggerlo, sparisci”. Poi chiedetevi perché Bastian, avido lettore, ha pensato bene di rubarlo prenderlo in prestito.

Vi dico solo che per Wolfgang Petersen, il tenero librario che ti spalanca le porte della fantasia ha questa faccia qui.

“La storia infinita” è un film a misura di bambino perché da qui in poi, gli adulti (ben rappresentati dai due soggettoni sopra descritti) scompaiono dalla storia, nessuno si pone più il problema di che fine abbia fatto Bastian, probabilmente nemmeno quando lo vedranno ricomparire a cavallo di un Fortunadrago a fine film. Perché queste sono domande che uno si pone guardando il film da adulto, a “La storia infinita” importa portare in scena la capacità di perdersi dentro ad un libro, magari anche per sempre e questo, bisogna dirlo, gli riesce davvero alla grande.

Wolfgang Petersen ci porta dritti dentro la storia che Bastian sta leggendo, anche grazie a degli effetti speciali orgogliosamente vecchia scuola che hanno retto abbastanza bene la prova del tempo, ok la lumaca da corsa e il pipistrello rimbambito mostrano qualche ruga, ma il Mordiroccia è un animatronico fantastico anche per via di quella sua parlata lenta, come quando parla del nulla che dilaga, dilaaaaaaga.

Sei scemo o mangi i sassi mordiroccia?

Il Nulla sta inghiottendo il reame di Fantàsia, minacciando la vita di tutti i suoi abitanti. Come le polveri sottili a Torino, solo che noi abbiamo Chiara Appendino e loro l’Imperatrice bambina (Tami Stronach). Mi sa che a loro è andata meglio.

Per cercare di fare qualcosa ci vuole un eroe che armato dell’Auryn (il medaglione che rende il suo possessore il campione dell’Imperatrice), salvi il reame dalla distruzione eterna. Arnold Schwarzenegger nel 1984 era impegnato con un altro genere di Fantasy, quindi va bene anche il cacciatore del bufalo purpureo (del Cairo) il grande Atreyu. Oddio grande, farà un metro e cinquanta se va bene, perché Atreyu sarà pure un cacciatore che levati, ma è ragazzetto. Cosa vi dicevo di quella storia del film a misura di bambino?

«Arnold si scusa ma non è potuto venire, in compenso ci siamo noi qui»

Atreyu, interpretato da Noah Hathaway (attore voluto fortemente da Petersen che oggi fa il tatuatore, vende moto custom e ha avuto parecchi casini di salute per via degli sport estremi praticati, storia vera) è diventato un’icona per almeno un paio di generazioni, esiste un gruppo Rock con il suo nome e anche… Vabbè, anche altre iniziative politiche che preferirei continuare ad ignorare. Sta di fatto che come un vero eroe parte al galoppo del suo fedele cavallo Artax! Cosa può andare storto? Atreyu, il suo cavallo bianco Artax, Limahl che canta Never Ending Storyyyyyyyyy. Ecco, le paludi della tristezza e qui sento già la nuca che diventa rossa sotto i colpi di zio Petersen.

La scena di Artax e delle paludi della tristezza è uno di quei traumi infantili che sbatacchia l’indice sulla spalla di momenti del tipo mamma di Bambi morta dicendo «Levati, ma levati proprio». Lo sguardo del cavallo mentre sprofonda, le urla disperate di Atreyu che lo invoca, io non voglio farvi rivivere il trauma, ma ci siamo cresciuti tutti, è stato un momento formativo e probabilmente anche la miglior metafora mai vista al cinema di come la depressione ti possa trascinare a fondo. Un cinema Spartano, non perché realizzato con pochi mezzi, ma perché dopo questa scena hai la pelle più spessa e puoi sopravvivere a quasi tutto. Da bambino non ti chiedi come mai un cavallo debba farsi cogliere dalla tristezza, non ti poni nemmeno il problema di capire come mai dopo il lutto, Atreyu in lacrime a sua volta non cominci a sprofondare (sei ancora distrutto dal trauma per porti certi quesiti), ma è l’età adulta che arriva in soccorso come Falkor a salvarci tutti. Sono trent’anni che mi chiedo: perché Artax era depresso, cosa ha da essere depresso un cavallo mi chiedo!? Poi ho capito: Artax di cognome fa Horseman. Di cui ci resta il ricordo di tante sedute dallo psicologo e un nipote alla lontana di nome BoJack.

«Dannazione smettila di pensare a quella maledetta Horsin’ Around!»

“La storia Infinita” si gioca un sacco di creature bellissime, come Morla l’essere millenario che starnutisce come un Brachiosauro di Jurassic Park ed è più apatico di un dipendente pubblico il lunedì mattina. Oppure, la spassosa coppia di gnometti che si prendono cura di Atreyu, con lei che prepara zuppe e punturoni ricostituenti e lui che sta in fissa con i suoi “esperimenti siiiiiientiiiiificiiiiii”.

Ma staremmo qui a parlare dell’aria fritta se non fosse per lui, il Deus ex Machina vivente, metà cane, metà drago cinese, tutto figo: Falkor il fortunadrago! Con quella sua parlata rilassata e sbadigliosa, come il vostro amico a cui piacciono tanto le canzoni di Bob Marley e le scaglie da rettile che fanno tanto Donatella Rettore, Falkor diventa il mezzo di trasporto dei sogni per ogni bambino cresciuto negli anni ’80, un modello che è rimasto in voga per un trentennio, come il primo modello del maggiolone Volkswagen, per capirci, visto che per vedere un drago altrettanto riuscito, abbiamo dovuto aspettare Sdentato, la Furia Buia di “Dragon Trainer” (2010).

Se volete farvi un giro a Monaco, nel museo del film potete anche cavalcare un Fortunadrago (storia vera)

“La storia infinita” è un continuo alternarsi di momenti e personaggi memorabili, a passaggi della storia formativi e anche vagamente spaventosi, vogliamo parlare della coppia di sfinge poppute sul Freudiano andante? Capaci di disintegrare con lo sguardo un cavaliere in armatura, se chi le affronta non crede abbastanza in se stesso. Quante volte nella vostra vita adulta vi siete trovati ad attraversare analoghe sfingi senza nemmeno la vocetta stridula di Engywook ad urlarvi «Devi credere in te stesso!».

Il Nulla che avanza ben rappresentato dal suo Araldo, il lupo animatronico con due espressioni (entrambe senza cappello) Gmork, ha il lupo delle favole mentre i momenti per cui vorresti profondare come Artax si sprecano, il più sottovalutato è il Mordiroccia che s’interroga sulla forza delle sue grandi mani che, comunque, non gli hanno permesso di salvare i suoi amici. Gli psicologi infantili, invece, per anni quelle stesse mani se le sono fregate pensando ai soldi portati a casa. “La storia infinita” è un inno alla Fantàsia, no scusate, volevo dire fantasia, a cui non bisogna rinunciare perché qualche volta può salvarti la pelle anche nella vita reale. Ma, soprattutto, è il miglior modo possibile per rendere omaggio magari non al libro di Ende che non ha mai sbollito l’incazzatura, ma ai libri e alle meraviglie della lettura in generale.

La reazione di Michael Ende all’uscita del film.

L’Imperatrice lo dice chiaramente, regalando a tanti di noi il loro primo incontro con la meta-narrazione, Bastian legge la storia di Atreyu, ma qualcun altro è in apprensione e sta seguendo la storia di Bastian, un gioco a scatole cinema che con massima semplicità dice all’Inception di Nolan «MUTO!», minacciandolo anche con cinque dita di violenza sul coppino.

Il Nulla avanza man mano che Bastian procede nella lettura, chi ama godersi il piacere della lettura sa quanto possa essere drammatico dover abbandonare una storia e dei personaggi che abbiamo molto amato, ogni “mondo” contenuto in un libro arriva alla sua fine quando chiudiamo le pagine per l’ultima volta. Ma le storie che abbiamo amato, sono quelle che ti seguono nella vita reale anche fuori dalla pagine, ecco perché alla fine Bastian dà una lezione ai suoi bulli svolazzando sul dorso di Falkon, il tutto ben prima che Daenerys Targaryen lo rendesse dannatamente abituale.

«…’Nto u culu a Stranger Things!»

Il vero Nulla che avanza non è solo la mancanza di fantasia, ma sta dentro tutti i «Io leggo solo un libro l’anno» (e magari nemmeno quello) di questo mondo, ma questa è un’altra storia… Quindi a Natale, regalate libri e riguardatevi “La storia infinita”… Buon Natale a tutti!

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