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La terra dei morti viventi (2005): the land of the free (and the home of the dead)

Cosa sapete degli zombie? Che sono lenti, costanti e con il
loro claudicante incedere prima o poi tornano sempre, come faranno oggi nel
nuovo capitolo della rubrica… Lui è leggenda!

Bisogna essere onesti: George A. Romero (la “A” sta per
amore, ormai dovreste saperlo, ma ve lo ricordo lo stesso) aveva raggiunto
l’apice della sua poetica zombesca nel 1985 con Il giorno degli zombi, quel film incorporava il contenuto politico
e sociale del cinema di Romero portando in scena tutto quello che nel corso dei
trent’anni successivi sarebbe diventato il manuale del vostro normale film con
i morti viventi, non credo sia un caso se dopo la Leggenda abbia deciso di
dedicarsi ad altro, capolavori troppo ignorati come Monkey Shines, o adattamenti cinematografici del suo amico Stephen King.

Poi sono arrivati gli anni ’90, il periodo più difficile
della carriera di Romero, tra progetti sentiti mai divenuti realtà, come il
film ispirato al videogioco fortemente Romeriano nei contenuti, Resident Evil,
fino a quei lunghi sette anni di esilio forzato, terminati con un film dal
fiato un po’ corto come Bruiser. Per assurdo, mentre la carriera del papà degli
zombie come ancora li intendiamo oggi andava a sud, i suoi “Blue Collar
Monsters”, vorrei usare l’espressione tornavano in vita, ma visto il soggetto
forse non è il caso, diciamo che godevamo di una seconda giovinezza,
abbracciando la cultura popolare.

Gli zombie pronti a comparire in tutti i film e le serie tv del pianeta.

Negli esangui primi anni del 2000, in cui l’horror
mainstream non è mai stato così povero di ideologie e di sangue (l’apice? Il
2005 con “Bogeyman” dove gli omicidi avvenivano fuori scena, raccontati dai
sopravvissuti) gli zombie non sono mai stati più popolari, beffa delle beffe,
proprio grazie a “Resident Evil” (2000), film che avrebbe dovuto dirigere proprio
Romero, finito nelle mani di Paul W. S. Anderson e nelle gambe di Milla
Jovovich, usate più che altro per prendere a calci cani-zombie.

Nel 2002 Danny Boyle prendeva concetti Romeriani come un
virus che trasforma tutti i pazzi assetati di sangue, mandando a segno l’ottimo
“28 giorni dopo”, contribuendo alla confusione generale per cui persone infette
e zombie siano la stessa cosa (sbagliato!), caos cavalcato da Zack Snyder che,
anche qui, beffa delle beffe, nel 2004 firma il suo remake di Zombi e in
“Dawn of the dead” si gioca degli zombie, quindi dei morti a tutti gli effetti
che, però… Corrono! Una variante criticata dai puristi tra cui proprio Romero
che sul suo celebre gilet multitasche, caratteristico quasi quanto i suoi
celebri occhialoni, sfoggiava spesso una spilla con su scritto “Fast zombie
sucks” (storia vera) ed occhio alle spille di Romero, più avanti nel corso del
post torneranno di moda.

Quando sei una leggenda, puoi anche dirigere vestito come lo zio pronto al week end di pesca.

Il film di Zack Snyder incassa così bene da riportare
attenzione sul genere Zombie ed è proprio per questo che grazie a 19 milioni
di ex presidenti zombie stampati su carta verde messi sul tavolo dalla
Universal, George “Ammmore” Romero riesce a tornare dietro alla macchina da
presa, con un nuovo film sui suoi (e nostri) adorati “Blue Collar Monsters”.

Abbiamo velocemente visto che film erano nelle sale in quel
periodo, ma per capire l’importanza di “Land of the dead”, bisogna avere bene
in mente il momento storico: il 2005 cadeva nel pieno della presidenza di un
altro George, uno per cui ho sempre goduto un filo meno di stima di quella che
ho per Romero (giusto due righe), George W. Bush, anche noto come “Dabliù”.

Dennis da hippy a conservatore senza passare dal via.

Se non siete appena tornati da Marte, immagino ricordiate
tutti cosa è accaduto l’11 settembre 2001, forse è meno noto il periodo di
enorme popolarità di “Dabliù” subito dopo gli attentati terroristici, prima di
sputtanarsi completamente con la storia della “Armi di distruzione di massa” di
Saddam che oops! Erano sparite, Bush, Dick Cheney e il loro “Patriot act” erano
intoccabili. Un moto di patriottismo che ha colpito anche Hollywood sempre
pronta a tutti pur di salvare la faccia seguendo la tendenza del momento. Parliamo di sceneggiature e attori
finiti nelle liste nere perché considerati scomodi, l’unico che ha avuto le
palle di far recitare due attori storicamente schierati contro la politica di
Bush, è stato uno da sempre considerato un reazionario, Clint Eastwood in “Mystic
River” (2003) si giocava l’ultra democratico Tim Robbins e Sean “Baghdad” Penn,
com’era soprannominato allora.

Insomma, l’aria che tirava favoriva chi stava zitto e si allineava,
quindi secondo voi, quel giocatore di basket con codino da Hippy e grandi
occhiali che da Pittsburgh aveva dato fuoco al mondo, cosa poteva fare? L’unica cosa sensata quando nasci
ribelle: ti ribelli e metti mano ai fiammiferi.

“Ops! L’ho fatto di nuovo”.

“Land of the dead”, da noi “La terra dei morti viventi”,
cambia diversi titoli di lavorazione, tra cui “Dead Reckoning” come il nome del
mezzo blindato al centro della trama, ma facendo a testate con la Universal,
Romero è riuscito a strappare un titolo che mette in chiaro lo scenario e gli
concede di riprendere alcuni concetti che, per motivi di budget, ha dovuto
abbandonare ai tempi di Day of the dead,
come la città roccaforte circondata da un gigantesco muro di difesa per tenere
fuori gli “appestati” (come vengono chiamati in questo film) divisa al suo
interno in due grandi caste: i poveri nel bassifondi e i riconi in un lussuoso
palazzo noto come Fiddler’s green.

La cittadina è quella di Pittsburgh, anche se il film è
stato girato tutto in Canada per tenere bassi i costi di produzione, pare che
zio George abbia dichiarato che i sigari fumati da Dennis Hopper sono costati
come tutto il suo film d’esordio (storia vera), per fortuna Simon Baker si è
accontentato di uno stipendio normale, pur di recitare in un film di Romero.

Due o tre punti simpatia extra per Simon Baker.

Alla sua uscita italiana, andai a vedere il film il primo
giorno (primo spettacolo, prima fila), da allora ogni volta che lo rivedo lo
trovo bello e cazzuto, indubbiamente il migliore della seconda trilogia romeriana sugli
zombie, ma per me anche qualcosa di più, una delle più ciniche e
arrabbiate prese di posizione di un autore, nei confronti della politica del
suo Paese, un piglio del genere merita un posto tra i Classidy!

Il titolo del film è importante perché mette in chiaro che
il mondo ormai è perso, gli zombie dopo Day of the dead hanno ereditato la Terra e cosa vi dico sempre dei primi cinque
minuti di un film? Ecco, qui Romero li usa per mostrarci i veri protagonisti
del film, i suoi mostri operai che si aggirano sulla Terra fingendo di essere
noi, anche perché una volta lo erano e se un tempo erano una minoranza
affamata (di carne umana), ora sono la maggioranza e dominano un territorio
vastissimo e ancora pieno di risorse. La situazione è andata zampe all’aria,
ora i vivi sono la minoranza che attraverso violenti raid organizzati escono
dalla loro città fortificata per rubare generi di prima necessità.

Qualcuno lo fa in maniera responsabile, come Riley Dembo (Simon
Baker) coscienzioso nel mettere a rischio la vita dei suoi uomini, cercando di lasciare
in pace gli zombie utilizzando l’enorme mezzo blindato noto come Dead Reckoning
solo per ripiegare e tornare al sicuro in città, anche perché il suo vero
interesse è cercare di fare tutto il possibile per mettere insieme i mezzi
necessari per fuggire lontano a Nord e dimenticarsi di Pittsburgh.

La BLINDOCISTERNA, prima della BLINDOCISTERNA.

Altri, invece, lo fanno in maniera decisamente più espansiva,
come Cholo DeMora (John Leguizamo) il cui massimo interesse è ingraziarsi il
viscido Paul Kaufman (Dennis Hopper) per conquistarsi un attico di lusso nel
palazzo di Fiddler’s green.

Gli zombie che popolano il pianeta sono una vera e propria
popolazione, con tanto di leader, lo zombie soprannominato Big Daddy (Eugene
Clark) un personaggio che da solo incarna diversi concetti importanti, non solo
porta avanti la quota di personaggi di colore nei film di Romero, ma
rappresenta anche un’ideale continuazione dello zombie intelligente Bub e soprattutto… E’ un benzinaio!

“Faccio il pieno signò?”.

Sì, perché non solo indossa la tuta da lavoro, ma si aggira
attorno alle pompe di benzina cercando (per altro con successo) di fare il
pieno alle macchine ferme, memore di quello che faceva in vita e, bisogna
dirlo, il benzinaio negli Stati Uniti è da sempre considerato il più umile dei
lavori, perché reputato così facile che chiunque potrebbe farlo (anche uno
zombie). Nel suo genio Romero, prende l’eroe della classe operaia, il massimo
del proletariato e lo mette a capo di una legione di zombie stanca di subire ed
essere uccisi da una minoranza di invasori, un “Quarto stato zombie” la versione
Romeriana del celebre quadro di Giuseppe Pellizza da Volpedo, con dei morti
viventi in marcia, guidati da un benzinaio zombi piuttosto incazzato.

Fratello, non temere, che corro barcollo al mio dovere, trionfi la giustizia proletaria zombesca! (Quasi-Cit.)

La borghesia, invece, è rappresentata da Fiddler’s green, un
palazzo con tutte le tecnologie e i comfort che non è altro che una gabbia
dorata, come Romero sottolinea con un’ammiccante inquadratura su una gabbia
piena di pennuti, piazzata nell’atrio del palazzo. Colui che incarna il peggio
degli “Incravattati” dentro il palazzo è il viscido Kaufman, interpretato da un
Dennis Hopper in grandissima forma e, per altro, in una delle sue ultime prove
di valore. Pare che al provino lui e Romero, abbiano parlato del fallimento del
sogno degli anni ’60 che entrambi hanno narrato al cinema, ora che ci penso,
usando delle motociclette. Anche se
da sempre repubblicano, Hooper trova un altro punto di contatto con il
democratico Romero (la delusione per l’amministrazione Bush) da qui la
decisione dell’attore di interpretare il suo personaggio, come se fosse una
parodia di Dick Cheney (storia vera).

Dennis Hopper intento a portare la democrazia.

Kaufman odia gli zombie, ma più di loro odia solo neri e
ispanici come Cholo che fin dal nome (un nomignolo vagamente dispregiativo che
si dà ai “latini” negli Stati Uniti, l’equivalente di “mangia spaghetti” per
capirci) incarna tutto quello che Kaufman odia e di averlo come vicino di
casa, proprio non ne vuole sapere. Per questo Cholo s’incazza, ruba il Dead
Reckoning e minaccia di bombardare Fiddler’s green se non ottiene i soldi che
vuole. Kaufman si barrica dietro ad una strategia che urla “George Dabliù” anzi
cita proprio le sue parole: «Non trattiamo con i terroristi!». Da una parte
abbiamo un Dennis Hopper in grande spolvero, dall’altra un John Leguizamo libero
di fare quello che gli riesce meglio al cinema: il tamarro irriverente! Davvero
non si può chiedere di meglio!

“Sai qual è la cosa divertente? Mi pagano anche per fare il tamarro”.

Riley viene incaricato di recuperare il Dead Reckoning, per
farlo deve trovare uomini e mezzi tra la parte di popolazione che Kaufman
considera sacrificabile: i poveracci che vivono nei bassifondi della città che,
al pari dei ricconi di Fiddler’s green, non sono certo dei santi, perché il
pessimismo di Romero non prende prigionieri. Il popolo vive di espedienti e se
ti dimostri troppo debole finisci in gabbia a combattere contro qualche morto
vivente, per la gioia degli scommettitori e se guardate bene, i due zombie
incatenati al muro con cui le persone si fanno fotografare, altri non sono che Simon
Pegg e Edgar Wright, invitati da Romero sul set del film, dopo essere rimasto
piacevolmente colpito da quel capolavoro di “Shaun of the dead” (2004). Ora, i
contenuti extra del DVD di questo film, contengono la scena del primo incontro
tra i tre, Pegg e Wright hanno fatto un film che è una dichiarazione d’amore al
lavoro di Romero, se lo trovano davanti e sembrano voi ed io di fronte ad uno
che è una Leggenda, una Leggenda vera, è il padre degli zombie al cinema, uno
che avrebbe tutto il diritto del mondo per tirarsela come un Dio in terra e
nessuno potrebbe dirgli niente e quando i due, emozionatissimi rompono il
silenzio indicando ammirati la spilla di “Shaun of the dead” sul multitasche di
Romero, la Leggenda cosa fa? Si scusa dicendo: «La indosso sempre giuro! Non
l’ho messa perché venivate voi, chiedete pure a tutti!» (Storia vera). Per
quanto mi riguarda, il concetto stesso di “Umiltà” sul dizionario, dovrebbe
riportare George A. Romero che si giustifica per la sua spilla e poi ditemi
che quella “A.” non sta davvero per “Amore”.

Lascio a voi giudicare chi di questi tre bambini è il più felice.

Vogliamo trovare un difetto al film? Allora diciamo che i protagonisti sono tutti volutamente caratterizzati per rappresentare le parti in
lotta e i personaggi di contorno spesso sono abbozzati e quasi fumettistici
fin dai nomi, come il samoano gigante, il soldato spagnolo che si fa chiamare
“Manolete” come il torero o la tipa di Detroit che si fa chiamare “Motown”,
nomignolo che Asia Argento sottolinea con un’espressione divertita che la fa
quasi sembrare anche un’attrice vera. Ah, perché non ve l’ho detto? In questo
film abbiamo anche Asia!

Scrivere qualcosa di spiritoso su Asia Argento su Internet nel 2019… Forse preferisco combattere con gli zombie nella gabbia.

Romero deve avere un Argento nei paraggi quando dirige un
film di zombie e dopo aver collaborato con papà Dario per Dawn of the dead,
qui regala il ruolo di Slack ad Asia che risponde riuscendo a risultare anche
credibile nel ruolo (abbastanza infame) della prostituta soldatessa, una roba
che richiede una faccia tosta per funzionare che ad Asia Argento non manca. Su
di lei tutti hanno un parere, il più delle volte un brutto parere, come attrice
diciamo che non ha proprio mai brillato (sono già stato gentile), ma qui l’ho sempre trovata molto azzeccata
e poi si è guadagnata dei notevoli punti presso il sottoscritto (per quello che
valgono) con una sua affermazione sempre dai contenuti extra del DVD: «Mi piace
l’odore del sangue finto sui set dei film horror, mi ricorda l’infanzia»
(storia vera).

“La terra dei morti viventi” è l’attacco frontale di Romero
non solo al Colonialismo americano, ma proprio all’amministrazione Bush, se John
Leguizamo rappresenta il terrorista ribelle e Dennis Hopper il repubblicano
razzista che tira le fila, la Leggenda restituisce ai suoi amati “Blue Collar
Monsters” dei contenuti di protesta che nel cinema dei primi anni 2000 gli
zombie avevano totalmente perso.

Ve lo avevo detto che sarebbe tornato a trovarci nel corso della rubrica.

Nel 2007 Bruce Springsteen, firma “Magic”, canzone che dà il
titolo all’album omonimo, è un pezzo polemico, idealmente dedicato al
presidente Bush, che parla di un prestigiatore, uno che con una mano ti distrae
con giochetti scemi e con l’altra ti frega, Romero arriva alla stessa conclusione
prima, nel suo ribaltare la società non fa altro che criticare i tempi moderni,
i pochi umani invasori affamati di risorse sono Bush e la sua amministrazione
pronta ad invadere Paesi che non sa trovare sulla mappa geografica, mentre
gli zombie hanno ormai completato il percorso iniziato da Romero per farci
completamente patteggiare per loro che trovava in Bub il massimo rappresentante.

I got a coin in your palm, I can make it disappear (Cit.)

I mostri operai di Romero si lasciano distrarre e uccidere
con facilità perché alzano il naso a fissare inebetiti i “Fiori del paradiso”,
i fuochi d’artificio sparati dal Dead Reckoning che lasciano i non morti
imbambolati, come a guardare il gioco di prestigio della canzone di Springsteen.
Big Daddy l’unico che condivide la scintilla di intelligenza di Bub, cerca in
tutti i modi di svegliarli ed urla disperato quando non riuscendoci vede i
suoi compagni morire ed è proprio per questo che si mette a capo della
rivolta. In quanti film, dal 2005 in poi, avete visto un’orda di mostri uscire
lentamente dall’acqua? Cazzarola persino uno degli ultimi capitoli di
“Twilight” si giocava una scena così! Un momento cinematografico così iconico
da diventare subito un classico, dove Romero strizza l’occhio ad una scena di
“Carnival of souls” (1962) incarnando tutta la rabbia proletaria verso
l’amministrazione Bush utilizzando i due argomenti che conosce meglio: il
cinema e gli zombie.

Io sto con gli ippopotami zombie.

“La terra dei morti viventi” è la più incazzata presa di
posizione di un grande Maestro che utilizza il cinema di genere per puntare il
dito (medio) contro l’amministrazione in carica del suo Paese, come non si
vedeva fare dai tempi di Essi Vivono di John Carpenter. Questa volta i morti non vengono a prendere Barbara, ma il Presidente degli Stati Uniti d’America in persona… Niente male per un ragazzone
un po’ timido, ma con dentro il fuoco per ardere il mondo, proveniente da
Pittsburgh!

Nel massacro finale, grazie agli ottimi effetti speciali di Greg Nicotero, vediamo rispuntare anche Blades, in versione zombie sì, ma sempre
interpretato dall’amico Tom Savini e, soprattutto, assistiamo ad una punizione
su larga scala, nessuno portava in scena un massacro in un lussuoso palazzo canadese dai tempi di Il demone sotto la pelle, una singola scena con cui Romero negli esangui primi anni del 2000, organizza
un massacro che fa tornare i suoi zombie una vera minaccia, oltre che una
metafora che magari barcolla per muoversi, ma arriva bella dritta allo
spettatore e perché no? Anche all’inquilino che sta al 1600 di Pennsylvania
Avenue laggiù a Washington.

Ragazzi non fate le ditate sul vetro dello schermo dei lettori dai! Fate i bravi!

Il pessimismo di Romero colpisce tutti, ma il film si chiude
con una piccolissima speranza e un manipolo di personaggi che a bordo del Dead
Reckoning punta verso il Nord, alla ricerca di un posto migliore. Serve farvi
notare che lo stesso Romero, nel 2009 ha richiesto e ottenuto la cittadinanza
canadese, in aperta critica al governo del suo Paese? (Storia vera) Beh, voi
tenetelo a mente quando guardate questo film che termina con i fuochi
d’artificio, ma poteva anche concludersi con un ironico: The land of the free,
and the home of the brave dead.

Ma gli zombie di Romero hanno ancora qualcosa da dire, ci
vediamo qui tra sette giorni, sarò ancora in missione per conto di zio George!
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