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La zona morta (1983): il grande incubo americano

Facile apprezzare un regista per i suoi capolavori più riconosciuti, ma sono sempre più convinto che all’interno di una filmografia, siano i film considerati minori, le anomalie, a fare davvero la differenza nei gusti personali, è sicuramente il caso del film che oggi è protagonista della rubrica… Il mio secondo Canadese preferito!

Ci sono pochi scrittori che hanno avuto un peso specifico sull’immaginario collettivo come Stephen King, i suoi romanzi hanno influenzato generazioni di lettori e anche i più grandi maestri del cinema hanno dovuto fare i conti con lo scrittore del Maine, fino a gran parte degli anni ’90, l’etichetta “Tratto da un romanzo di Stephen King” era in grado di smuovere coscienze e capitali, questo ha fatto sì che tutti i più grandi si siano dovuti misurare con l’adattamento di uno dei lavori della Zio, da Brian De Palma passando per Stanley Kubrick e quasi sempre la cosa ha coinciso con la definitiva consacrazione presso il grande pubblico.

Ho trovato sempre curiosa l’assegnazione romanzo/regista che è capitata a tre dei più grandi registi horror di sempre e, casualmente, anche tre dei miei preferiti: Carpenter, Romero e Cronenberg. Arrivato a scegliere tra gli ultimi, nel 1993 Romero ha pescato tra i pochi titoli che a quel punto non erano ancora stati adattati, facendo un ottimo lavoro con “La metà oscura”, un romanzo che tra scrittori e alter ego letterari partoriti dalla mente che prendono il sopravvento, sembrerebbe fatto dal sarto per David Cronenberg.

 
«Capito Chris? Niente mutazioni, organi strani, una cosa di tutto riposo»

Nel 1983 il mio secondo Canadese ha vinto il compito di portare sul grande schermo il primo grosso successo commerciale di King, il bellissimo “La zona morta” (1979), quello che è senza ombra di dubbio il romanzo più politico mai scritto da Zio Stevie e proprio per questo, forse, sarebbe stato più nelle corde del sovversivo John Carpenter che, però, nello stesso anno era alle prese con l’adattamento di Christine – La macchina infernale che, a ben guardarlo, è un soggetto ben poco Carpenteriano, se non fosse che Giovanni è sempre stato in fissa con Elvis e il Rock ‘n’ Roll classico.

Insomma, non sarebbe stato niente male aver a disposizione una pila di libri di King, da assegnare come compiti a casa a tutti i maggiori maestri dell’Horror, io avrei fatto delle associazioni diverse, voi probabilmente ancora altre, ma considerando come se la sono cavata tre dei miei preferiti, è chiaro perché loro sono maestri dell’horror e perché io, invece, sono un nessuno, un John Smith qualunque.

Non ho intenzione di ammorbarvi con la classifica, anche perché non ho voglia di stilarla in stile Nick Hornby, ma posso dirvi che David Cronenberg è uno dei miei registi preferiti anche perché quando ne ha avuto la possibilità, ha messo le mani su quello che è uno dei miei cinque romanzi preferiti di King di sempre (storia vera).


I can’t sleep ‘cause my bed’s on fire (Cit.)

La storia di un mite professore universitario con una vita prossima all’essere perfetta, che dopo un incidente d’auto, perde tutto, finisce in un coma lungo cinque anni e al suo risveglio non ha più il suo lavoro, il suo corpo ferito lo sostiene a malapena e ha perso l’amore della sua vita, che ha scelto di continuare la sua vita senza di lui, impossibile non provare empatia per uno così.

L’intuizione geniale di Stephen King è quella di rendere questo sfortunato ragazzo, l’incarnazione di quello che fino ad una brutta mattina di settembre del 2001, era il grande incubo americano, l’uomo solo con un fucile che si mette a sparare, magari alle autorità, i Charles Whitman e i Lee Harvey Oswald di questo mondo, nomi associati a stragi, motivazioni poco chiare e bagni di sangue. King costruisce la storia attorno all’attentatore, lo rende uno qualunque fin dal nome, John Smith. Se conosco l’uomo con il fucile, la sua storia, le sue motivazioni e il male contro cui combatte, farà ancora così paura?


Spara Jurij Christopher, spara.

Un libro geniale, ricordo ancora la prima lettura, mi sono bevuto quelle 500 pagine scarse in un tempo irrisorio, non riuscivo a staccarmi, volevo solo sapere se alla fine Johnny Smith sarebbe riuscito a portare a termine la sua missione contro quel pazzo demagogo di Greg Stillson, politico carismatico destinato a dare fuoco al mondo e che al momento tutti vedono come l’amico del popolo (votante), un simpaticone dalla parte della classe operaia. Aggiungo solo che nel periodo in cui ero impegnato a leggere il romanzo, mi capitava di uscire e vedere per strada cartelloni elettorali di uno che diceva di essere “Un presidente operaio”, no giusto per farvi capire quanto il romanzo sia centrato e quanto possa essere inquietante la nostra politica.

Ecco! La mia stessa identica faccia quando vedevo quei cartelloni, proprio così.

“La zona morta” per stessa ammissione di Davide Birra è il suo film più Hollywoodiano nel senso classico del termine, questo non vuol dire che sia un brutto film, perché malgrado sia anche l’unico non scritto dallo stesso Cronenberg (ma da Jeffrey Boam) all’interno della storia il mio secondo Canadese preferito ci ha visto tratti comuni al suo cinema su cui poter lavorare e proprio quello ha fatto.

Bisogna anche dire che Cronenberg ha potuto contare sul suo primo budget degno di nota (10 milioni di ex presidenti stampati su carta verde), attori di primo livello e una produttrice come Debra Hill, storica collaboratrice di John Carpenter di cui non mi stancherò mai di parlar bene. Inoltre, Cronenberg è anche stato uno dei pochi registi capaci di tener testa a Dino De Laurentiis, produttore esecutivo storicamente invasivo che proprio con questo film iniziava a spremere la sua gallina dalla uova d’oro Stephen King, senza raggiungere ancora gli eccessi imboscati come Vietcong dietro l’angolo.

Persino Cronenberg resta a bocca aperta accanto a Debra Hill.

Chiaro che Cronenberg abbia dovuto accettare più di un compromesso, ad esempio, è riuscito a spuntarla per quanto riguarda l’attore protagonista, il tempo ha dato ragione al regista Canadese, Christopher Walken qui è davvero azzeccato nei panni di Johnny Smith e con tutta la stima che ho per lui (tanta) non credo che avremmo potuto dire lo stesso dell’attore che voleva King per la parte, Bill Murray (storia vera).

Per una vittoria di Cronenberg va segnalata anche una piccola sconfitta, “La Zona morta” è uno dei pochissimi film in cui il suo compositore di fiducia e amico di lunga data Howard Shore è rimasto a casa, De Laurentiis ha voluto qualcuno di più convenzionale, ma è stato comunque un ottimo accontentarsi con il grande Michael Kamen (Arma LetaleX-MenLast Action Hero), che qui firma un tema musicale molto efficace, che coglie in pieno l’atmosfera funerea del film fin dai bellissimi titoli di testa. Ecco, però non ditelo ai vicini di casa di Kamen, che un giorno in piena fase creativa, si è visto piombare addosso il classico padre di famiglia incazzato, per il fatto che i suoi bambini non riuscivano a dormire e avevano gli incubi per colpa della roba che stava suonando incessantemente da giorni (storia vera).

Sarà anche una tradizione, ma i titoli di testa di questo film restano fighissimi!

Johnny Smith si rivela essere un personaggio più Cronenberghiano di quello che avrei mai pensato leggendo il libro, quello che dico sempre del mio secondo Canadese preferito, è che da buon ossessivo, non molla un’idea finché non trova il modo di sviscerarla in profondità, la passione per i poteri mentali è sempre stata una piccola fissa di Cronenberg fin dal suo primo corto “Stereo” (1969) passando per Scanners, a ben guardarli, Johnny Smith e Cameron Vale hanno dei tratti comuni.

Entrambi sono maledetti dai loro poteri, proprio Johnny nel film risponde in tono sarcastico ed arrabbiato quando lo sceriffo Bannerman parla di “Dono di Dio” per descrivere le capacità del protagonista. Entrambi arriveranno a sacrificarsi per salvare l’umanità da un male molto più grande, Johnny è un povero Cristo, nel vero senza della parola, tanto che il suo ritorno dal coma, sembra quasi una resurrezione cristologica.

E’ chiaro che Johnny Smith sia un buono buonissimo e qui si vede lo stampo Kinghiano del personaggio, in tutto questo Cronenberg ancora una volta s’intrufola come una malattia virale, aggiungendo qua e là alcuni suoi tocchi caratteristici, tipo la passione per il protagonista per opere funeree come “Il corvo” di Edgar Allan Poe oppure “La leggenda della valle addormentata” di Washington Irving e il suo cavaliere senza testa, personaggio che, guarda caso, Christopher Walken si è anche trovato ad interpretare nel 1999 nel film di Tim Burton “Il mistero di Sleepy Hollow”, e poi ditemi che Cronenberg fa i casting dei suoi film a caso, tzè!

«Un ottimo libro, chissà se ne faranno mai un film»

Mi è capitato di vedere il film svariate volte, a distanza di anni dalla sua uscita è una pellicola che tiene ancora botta, anche se in alcuni passaggi, come ad esempio tutta la parte dell’indagine ambientata nella mitica Castlerock, sembra un po’ un procedurale di stampo classico, il fatto che il romanzo sia stato riadattato anche in una serie tv omonima (in onda dal 2002 al 2007) sembra quasi un naturale proseguimento del lavoro di Cronenberg, non ho visto tutta la serie, ma mi è sempre stato chiaro che non hanno fatto poi molto per differenziarsi dall’impostazione data dal Canadese, chiamateli scemi.

Quello che, invece, può passare erroneamente sottotraccia è il fatto che Cronenberg, con mano fermissima, sia riuscito ad adattare alla perfezione l’atmosfera del romanzo, certo ha dovuto limare gli eccessi Body Horror tipici del suo cinema, incastrato tra titoli come Videodrome e “La Mosca” la mancanza di sangue, budella e mutazioni spicca come Woody Allen su di un marciapiede di Harlem, ma la capacità di rispettare il materiale originale e di farlo proprio senza bisogno di stravolgerlo è sempre e comunque talento, di tanti adattamenti Kinghiani, pochi sono stati approvati dallo stesso King, “La zona morta” è uno di questi, uno scacco al re che coincide con la consacrazione di Cronenberg presso il grande pubblico.


«Dai smettila Cassidy, non è tutto merito mio»

Il sangue è quasi totalmente assente, la visione del futuro in cui Greg Stillson provoca una guerra termonucleare globale, nelle idee originali avrebbe dovuto essere più splatter, con mani mozzate e posate sul sensore digitale (storia vera), ma malgrado i tagli imposti per non incappare nel visto censura, Cronenberg si gioca una altra delle sue carte migliori, quella di cui si parla sempre troppo poco, ovvero la sua capacità di dirigere gli attori.

Martin Sheen nei panni di Greg Stillson è fisico e furente, la sua recitazione è impeccabile, sembra davvero un personaggio in grado di morderti con gli stessi denti che sfoggia nei suoi sorrisi pubblici e, per altro, le visioni di gloria del personaggio forse non erano così sbagliate, visto che Sheen ha interpretato il Presidente degli Stati Uniti per anni nella serie tv “The west wing”. Come perfetto contro altare c’è Christopher Walken che risulta fragile e dolorante quando più il suo avversario si mostra spavaldo.


Alla fine il suo mandato è durato la bellezza di sette stagioni.

Il Johnny Smith di Christopher Walken è uno dei personaggi più iconici dell’attore, non propriamente uno a cui mancano i ruoli mitici in carriera, qui riesce ad essere sempre stremato fisicamente, costantemente in tensione, quando descrive le sue visioni come “Mi sento come se morissi dentro” la sua faccia parla chiaro e viene proprio voglia di credergli. Sul set Cronenberg lo ha strapazzato per bene, su richiesta dello stesso Walken, per rendere credibili le reazioni spaventate dell’attore, Davide Birra sparava a caso dei colpi, naturalmente a salve, con una 357 Magnum (storia vera), non so voi, ma io quasi me lo vedo Cronenberg che ci prende gusto e mentre Walken è in fila alla mensa con il vassoio in mano arriva e BANG! Matte risate.

«Mannaggia a me quando gli ho detto di usare quella dannata pistola!»

Ma “La zona morta” è un film di svolta per la carriera di Cronenberg, non solo perché è stato uno dei maggiori incassi al botteghino del regista, o per l’approvazione di Stephen King, ma perché è stato il film in cui ha saputo dimostrare di poter gestire materiale puramente Hollywoodiano senza svendersi e, allo stesso tempo, perché le flessioni della mente e le mutazioni del corpo dei suoi personaggi sono passate dall’essere esteriori ad interiori, meno manifeste, ma altrettanto traumatiche e sconvolgenti, un dettaglio che risulterà fondamentale per la seconda metà della filmografia del regista.

Se la capacità di dirigere gli attori di Cronenberg è sottovalutata, è giusto non dimenticare che anche il melodramma fa sempre capolino nei suoi film, fin da Rabid, i protagonisti Cronenberghiani sono sempre al centro di storie d’amore contrastate (proprio come accade qui tra Johnny e Sarah), ma anche di finali tragici e anche sotto questo punto di vista “La Zona morta” non è secondo a nessuno.

Rivedendolo a breve distanza da Videodrome, mi sono ritrovato a pensare che sia quasi un film che conferma la tesi del precedente. Se nell’altro suo film del 1983, Cronenberg ci intimava di non fidarci di quello che la televisione ci propina come realtà, allo stesso modo qui ci ritroviamo a credere, senza MAI mettere in dubbio le visioni di Johnny Smith.


«Tranquilli vi potete fidare, so come va a finire, ho letto il libro»

Nemmeno per un momento da spettatori pensiamo che potrebbero essere solo un effetto indesiderato del suo lungo coma, siamo certi che solo lui potrà fermare Greg Stillson, per il semplice fatto che le visioni di Johnny sono parto della sua mente e non alterate dal filtro televisivo come accadeva in Videodrome.

Insomma, io “La zona morta” me lo rivedo sempre con grande piacere, Cronenberg è riuscito a centrare in pieno l’atmosfera cinerea e condannata della storia, quella sua ineluttabilità che la accompagna anche fuori dalla pagine del libro o dalla schermo, questo lo rende ancora sinistramente attuale.

Make america great again! Beh si, più o meno.

Ieri per me erano i “Presidenti operai” ad aleggiare intorno alla storia, oggi sono altri Presidenti pronti a mettere mano alla valigetta dei missili, per inseguire i loro sogni di gloria, il risultato è sempre lo stesso, alla fine Cronenberg ha trovato il modo di fare critica sociale in maniera meno diretta, ma comunque presente (come in altri suoi titoli) senza risultare banale, quindi le cose sono due: forse “La zona morta” (romanzo) era molto più adatto a Cronenberg di quanto avrei mai potuto pensare, oppure il mio secondo Canadese preferito è un gran regista. Mi sembrano entrambe teorie valida, la seconda più della prima.

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