No sul serio, pensavate davvero che mi sarei fumato la festa per i primi trent’anni di “Labyrinth”? Mai nella vita! Il film di Jim Henson è un pietrone miliare che come il vino migliora con il tempo e questo compleanno mi sembra l’occasione migliore per celebrarlo come si deve!
Nel 1986 i film per ragazzi si chiamavano solo “Film per ragazzi” e non “Young-adult” come li etichettano ora cercando di renderli più importanti di quello che sono, non costituivano la fetta di mercato più ricca e non generavano saghe tratte da romanzo, divise in 86 capitoli di cui l’ultimo in due parti, per massimizzare gli incassi. Infatti, alla sua uscita nelle sale “Labyrinth” incassò l’equivalente di un pacchetto di noccioline o poco più, ma dalla sua aveva due armi segrete: la qualità e la lungimiranza.
Grazie all’esplosione del mercato dell’home video, “Labyrinth” si è guadagnato il suo stra meritato titolo di film di culto, è stato il mio primo incontro con i VHS e non solo perché negli anni ho consumato il nastro, ma proprio perché è stato il primo film in cassetta che ho fisicamente visto nella mia vita. I genitori del mio migliore amico (di allora e di oggi), gli avevano regalato questo monolite, il cui costo proibitivo è diventato materiale di numerose leggende urbane infantili, il mio amico favoleggiava che quel rettangolo di gioia fosse costato il fondo per le sue future spese universitarie o giù di lì.
Per il misto tra motivi affettivi ed effettiva qualità, per il cast che lo compone e per il fatto di essere uno dei film più adulti mai scritto e pensato per una platea di bambini, capace da solo di alimentare una marea di mie fissazioni personali (da quella per i film con i pupazzi alla musica di David Bowie), dando una vigorosa spallata alla mia (e alla vostra) formazione cinematografica, se “Labyrinth” non è un Classido sono pronto a gettarmi nella gora dell’eterno fetore!
Con tutti i loro difetti, gli anni ’80 almeno credevano ancora nel talento degli autori e in quel decennio dove non esisteva ancora la fissazione per il maledetto PG-13, i film per ragazzi non si facevano troppi problemi a trattare tematiche adulte, oppure a mescolare il film d’avventura con atmosfere quasi horror. George Lucas in quel decennio era una specie di semi Dio in Terra, l’uomo che ha creato Guerre Stellari poteva permettersi qualunque cosa, anche fare da padrino ad un angosciante seguito del Mago di Oz.
Era dai tempi de L’Impero colpisce ancora, che Lucas fremeva per collaborare con il leggendario Jim Henson, l’occasione giusta fu proprio “Labyrinth”, che rappresenta l’esordio alla regia per il papà dei Muppets, che fino a quel momento aveva solo co-diretto (insieme a Frank Oz) un altro film con pupazzi animati “Dark Crystal” (1982).
Il soggetto di Jim Henson, coadiuvato da Brian Froud per la parte visiva e liberamente ispirato da un libro per ragazzi scritto dallo stesso Henson insieme a Dennis Lee, diventa una prima stesura di sceneggiatura grazie alla penna di un’altra leggenda, il Monty Python Terry Jones…. Vi lascio il tempo per applaudire.
Vi devo anche raccontare la trama? No, dai, davvero? Vabbè solo perché siete voi… La quindicenne egoista e rompicoglioni Sarah (Jennifer Connelly… Boom!) è figlia di genitori separati, malgrado i tentativi della donna, non accetta la sua nuova matrigna. Una volta a settimana le tocca badare al pupo, il fratellino minore Toby. Il misto tra lo scazzo di Sarah e i pianti di Toby è letale, la ragazza pronuncia le parole, quelle che da trent’anni ad ogni visione, noi spettatori aspettiamo come gli gnomi del film: “Desidero proprio che gli gnomi ti portino via… all’istante!”.
In questi casi si dice: “Fai attenzione a quello che desideri”, perché Jareth il Re degli gnomi (David Bowie e qui voglio che vi alziate tutti in piedi esultando!), fa sparire il gagno, Sarah ha un giro di orologio gnomesco (13 ore) per raggiungere il castello al centro del labirinto e salvare il fratellino.
Da qui inizia un grosso e fantasioso delirio che da trent’anni aspetta ancora di poter trovare qualcuno in grado di allacciargli le scarpe a livello di delirante creatività, tra un Verme traditore dall’accento francese (almeno nel nostro doppiaggio), muffe con gli occhi, in un labirinto che cambia forma e bara in tutti i modi per depistare Sarah, con balletti di creature smontabili che sembrano frutto di una mente in preda agli effetti del dietilammide.
«A chi hai detto che somiglio io!?» |
… Oppure di una versione tenerona del mostro di Grosso guaio a Chinatown nel caso di Bubo (Ludo in originale), un posticino dove persino le fate mordono!
«Non ti preoccupare Bubo tu sei più carino di quella là» |
Si può guardare “Labyrinth” ottocento sessanta volte da bambini (fatto!) e restare affascinati da questo mondo fantastico dai bordi taglienti popolato di pupazzi e creature tutte matte incredibilmente realistiche, ma vi basterà guardarlo una sola volta da adulti (fatto!) che si tratta della favola più sessualizzata mai realizzata, un metaforone con abbondanti iniezioni di trovate “Creepy” (come direbbero gli yankee) su una bambina in procinto di diventare donna, in equilibrio tante volte precario sul baratro che divide l’infanzia, dall’esplosione ormonale del magico mondo del sesso, in tal senso il casting è il più azzeccato della storia del cinema.
Per la parte di Sarah sono state provinate praticamente tutte le attrici disponibili, fate un nome a caso? Probabilmente azzeccate! Helena Bonham Carter, Sarah Jessica Parker, Yasmine Bleeth (!), Laura Dern, Marisa Tomei, alla fine la scelta è caduta su Jennifer Connelly. Ora, costruirsi una lunga carriera iniziando a recitare da piccoli è molto difficile, tanti non reggono la pressione, la Connelly è arrivata all’Oscar nel 2002 per “A beautiful Mind”, ma allora arrivava da… Robetta: “C’era una volta in America” di Sergio Leone (giù il cappello!), dove affascinava il giovane Noodles con il suo balletto e dal mio film di Dario Argento preferito di sempre “Phenomena”, dove la bellezza virginale, ma pronta ad esplodere della Connelly era uno dei punti di forza del film.
Anche qui, come per Nel meraviglioso mondo di Oz, abbiamo il sospetto che sia tutta una fantasia di Sarah, i dialoghi nel finale del film in particolare, mettono in chiaro ad un mente adulta, che la parola con tre “S” ha un ruolo fondamentale nel film, i baci di Sarah a Gogol che scatenano putiferi, Jareth che pronuncia cosucce tipo “Lascia che io ti domini” (ambiguità portami via!), sottolineano come Sarah stia diventando donna e sottomessa all’uomo per imposizioni, la ragazza si ribella (“Tu non hai nessun potere su di me”), un bello schiaffone in faccia, dato con trent’anni di anticipo, a tanto femminismo di plastica che va di moda nei film moderni.
Sarah non tira un solo calcio, non ha un arco e nemmeno una spada Laser, eppure è incredibilmente femminile (Jennifer Connelly, gente, Jennifer Connelly…) e compie un’evoluzione completa nel film: da bambina viziata a donna forte che non rinuncia al potere della fantasia. Ditemi pure che sono vecchio e sorpassato, ma potete tenervi stretti i vostri “Hunger Games” e amici come prima.
«Ridete sottoposti… Ok ora basta ridere!» |
La scena di “Magic Dance” ha richiesto l’utilizzo di 48 pupazzi, 8 persone vestite da goblin e 52 animatori per muovere il tutto, a questo aggiungete il piccolo Toby che non la smetteva di piangere durante tutte le riprese e comunque il Duca Bianco è entrato nella storia, grazie a quel pezzo che in mezzo secondo ti entra nel cervello e non ti molla più. Roba che ancora oggi, ogni tanto mi metto a canticchiarmelo da solo con la gioia dello scemo che sono (storia vera, sul canticchiare e sullo scemo).
Per quanto riguarda i giochi di prestigio fatti con le sfere di cristallo, quello era uno dei (pochi) talenti che mancavano al grande David Bowie, per ottenere i numeri di prestigio di Jareth, sul set è stato chiamato il celebre giocoliere Michael Moschen, che non solo doveva far ruotare quattro sfere contemporaneamente, ma lo ha dovuto fare alla cieca, infilando il braccio sotto il costume di Bowie, che intanto recitava le sue battute. Insomma, Jim Henson ha animato Kermit la rana e Miss Piggy ed è riuscito nell’impresa di trasformare in un Muppet anche David Bowie!
Come ho già raccontato, il mio primo incontro con Bowie è stato il mitico “L’uomo che cadde sulla Terra” (1975) di Nicolas Roeg, ma se ho passato (e passerò) la vita ad ascoltare la musica di David Bowie, la colpa è quasi tutta di “Labyrinth” e sono sicuro di non essere l’unico ad fare parte di questo club.
Ma la cosa che ancora dopo trent’anni affascina il pubblico (grande e piccino) alla prima o alla milionesima visione di “Labyrinth” è la messa in scena generale: il labirinto sembra quasi un personaggio nella storia, che si muove e cambia seminando “Tracobetti” (Cit.) per rallentare Sarah, riesce a essere infantile e minaccioso, utilizzando cose schifose che fanno sempre ridere, tipo la temutissima gora dell’eterno fetore (“Ti trasformerò in un Principe… Il Principe di Fetorlandia!” A memoria! Lo so a memoria!). Attraverso citazioni colte che solleticano il pubblico adulto, nel labirinto troviamo un po’ del già citato Escher, ma anche il labirinto del Minotauro, o quello dell’Overlook Hotel di “Shining”, perché se un film si intitola “Labirinto” è chiaro che non possa essere solo una noiosa fila di mura, ma debba avere il suo peso specifico.
La povera Jennifer Connelly affetta da labirintite. |
Nella messa in scena ancora oggi l’incredibile varietà di creature e personaggi coloriti colpisce la fantasia degli spettatori, “Labyrinth” è pieno di momenti fighi inanellati uno via l’altro, tra i miei preferiti è impossibile non citare il pozzo con le mani che formano dei volti per parlare con Sarah o l’indovinello delle porte, che anche dopo la visione numero mille mila mi costringe a seguire Sarah nel suo (azzeccato) ragionamento.
What kind of magic spell to use
Slime and snails
Or puppy dogs’ tails
Thunder or lightning
Then baby said
Dance magic, dance (dance magic, dance)
Dance magic, dance (dance magic, dance)