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L’alba dei morti viventi (2004): quando non ci sarà più posto all’inferno, i remake cammineranno sulla terra

Credo che al momento, anno di grazia 2021, anno del bue secondo il calendario cinese, non ci sia un regista più complicato da trattare di Zack “Zacky” Snyder. Anzi sono sicuro che già solo per averlo amichevolmente etichettato con un soprannome, qualcuno in questo momento ha già messo mano al machete per colpirmi (a rallentatore).

Chi lo ama lo fa visceralmente, chi lo odia? Idem. Nel mezzo diverse sfumature ma in vista dell’uscita del suo nuovo film (quasi) zombie è il momento per questa Bara di svolazzare sul ghiaccio sottile, affrontando il suo esordio con un lungometraggio ovvero “L’alba dei morti viventi”.

Ora, non vorrei passare per il blogger alla moda che sfrutta le tendenze del momento, perché è GGGiovane (con i blue jeans). In realtà sono mesi, se non addirittura anni che minaccio di affrontare i film di Snyder, ma più passa il tempo, più la sua leggenda cresce e più mi trovo altro da fare, anche perché parliamoci chiaro, siamo di fronte ad un regista che pare potersi permettere tutto, uno che forse farà più storia che per le sue azioni che per i suoi film, ma prima di prendere il machete, andiamo per gradi, torniamo indietro nel tempo fino ai primi anni 2000.

Una gif animata di Zack Zacky, così a rallentatore da
sembrare quasi ferma.

Ah! I primi anni 2000, Snake sul Nokia, ottanta gruppi Nu Metal e anche se ora sembra strano, ma i morti viventi al cinema sono passati (barcollando) anche attraverso periodi di scarsissima popolarità, come tutti gli anemici anni ’90, guarda caso il periodo di bassa marea artistica per il loro padre putativo, zio George “Amore” Romero. La musica è cambiata nel 2002, quando da quella vecchia isoletta umida nota come Inghilterra è arrivato 28 giorni dopo… FERMI! Lo so, quelli tecnicamente non erano morti viventi, ma nemmeno zombie (nella tradizione Haitiana del termine), erano persone infette più simili per certi versi a quelli di titoli come “Incubo sulla città contaminata” (1980) di Umberto Lenzi, ma le dinamiche di gruppo (un solo umano contro tanti “infetti”, come in un bar qualunque in piena zona gialla) erano una versione a passo veloce, se non proprio di corsa dei film di zombie che è facile identificare con zio George, quindi nel 2004 sfruttando questa nuova popolarità qualcuno (la Columbia Pictures) ha pensato bene di unire i puntiti e giocarsi la carta del remake del classico di Romero Dawn of the dead, da noi noto anche con il titolo di “Zombi”, tenendo conto del montaggio curato da Dario Argento.

Si può rifare un film di Romero? Certo che si può, ma si può arrivare anche solo a pensare di poterlo fare meglio? Senza parafrasare una frase famosa di un film di Oliver Stone diciamo che ognuno ha la sua risposta, ma siccome siete su questo blog a leggere tutte le parole che sto scrivendo (anche IPPOPOTAMO! L’avete letto, visto?) vi dirò il mio parere: NO. Chiudetevi la patta, partita finita.

Hippopotamus (of the dead)

Secondo voi chi potrebbe essere quel regista tanto matto da decidere di lanciarsi a corpo morto sulla granata rotolante volontariamente, decidendo di prendersi questo incarico? Un esordiente che arrivava dalle pubblicità, da un video intitolato “Michael Jordan’s Playground” che ho visto milioni di volte e da tanti videoclip. Zack Snyder, storia di un timido, uno che al suo esordio ha pensato bene di affrontare solo una pietra miliare del cinema. Cosa potrebbe mai fare uno così in carriera se questo è il suo esordio? Arrivare a fare un film di super eroi della durata di quattro ora, tutto in 4:3 e poi lamentarsi che non gli hanno fatto infilare anche una scena di tre minuti con Lanterna Verde?

Per fortuna “Dawn of the dead”, uscito in uno strambo Paese a forma di scarpa, finalmente con la traduzione corretta del titolo “L’alba dei morti viventi” (ennesimo furto del portafoglio dalla tasca di zio George) è un film che non ci prova nemmeno a giocare nello stesso campionato. Questo succede non tanto per la presenza di Zack Zacky storia di un timido, sono piuttosto sicuro che se fosse stato per lui, questo film sarebbe durato sei ore, sarebbe stato per metà in bianco e nero e gli zombie sarebbero stati più lenti di quelli di Romero, perché si sarebbero mossi tutti a rallentatore ma a tempo di musica, nemmeno fosse stato il video di “Thriller” (1983).

Voi la chiamate fine del mondo, io lo chiamo lunedì.

Per assurdo a vegliare su di noi ci ha pensato lo sceneggiatore, quello che quando si parla di “L’alba dei morti viventi” passa spesso in secondo piano, perché l’uragano Snyder tente ad attirare attenzioni (e polemiche). Mi riferisco a James Gunn, cresciuto alla Troma, capace di chinarsi alle esigenze della produzione in stile Natalino Balasso se necessario (nel giro di due anni ha scritto questo film ma anche “Scooby-Doo”), diventato poi celebre alla Marvel grazie ai Guardiani della Galassia. Uno che ha dimostrato nel corso del tempo di credere in quello che fa, uno dei pochi a “rispondere” a distanza alla famigerata presa di posizione di Scorsese sui cine-comics, ma anche uno con la testa sulle spalle. A suo modo.

Gunn alla fine è uno di noi, davanti al compito di rifare un classico di Romero ha semplicemente deciso: NO. Chiudetevi la patta, partita finita. Quindi l’unico modo per svolgere il compito era fare qualcosa di completamente diverso in stile Monty Python. Un’operazione che si potrebbe quasi definire post moderna se volessimo proprio passare per cinefili colti con la pipa e gli occhiali, però oh! Parliamo di un film di Gunn e Zack Zacky, non si corre certo questo rischio, gli unici a correre qui sono i morti viventi, quindi affrontiamo l’elefante zombie al centro della stanza.

Zio George perdonali, sono ragazzi un giorno capiranno.

Come qualunque altro film di Snyder, ma proprio qualunque, anche “L’alba dei morti viventi” è uno di quei titoli che basta pronunciarlo per vedere esplodere un focolaio di polemica: zombie veloci contro zombie lenti? Meglio Romero o Snyder? Le bionde o le more? No l’ultima no, però ci siamo capiti. Per il solito principio mutuato da Oliver Stone per cui ognuno ha il suo parere ma ora voi siete qui a leggere il mio (IPPOPOTAMO! Ah! L’ho fatto di nuovo, che simpa che sono!) affrontiamo la questione.

Mi pare sia stato Simon Pegg (esperto dell’argomento), forse citando lo stesso Romero a dire che la morte non è una bibita energetica. Trovo stupido che un corpo morto si metta a correre come Kevin Durant in campo aperto. Zack Snyder è orgoglioso dei suoi – anche se l’idea è di Gunn, ma questa è la storia della carriera di Snyder, spacciare per sue idee altrui – morti viventi che ti puntano e ti inseguono come se fossero squali bianchi con la bava alla bocca, ma l’idea è semplicemente scema, dinamica e coreografica quanto volete, tanto efficace visivamente da aver dato il via a titoli come Benvenuti a Zombieland, ma se sei morto, le tue giunture marciscono, i legamenti vanno in pezzi, i muscoli si staccano, altro che correre. Dopo gli ‘anti viene il fiatone a fare le scale, dai siamo seri!

L’ultimo ad uscire dalla stanza paga il conto!

In questo senso gli unici ad aver affrontato la questione “Zombie veloci” o “Zombie lenti” in modo sensato, sono stati i più ironici di tutti: in Z-Nation i morti possono correre in base alla “freschezza” del cadavere, a pochi giorni dalla loro morte hanno ancora la possibilità di farlo, man mano che vagano sulla Terra in cerca di cibo, marciscono e si trasformano in zombie lenti. Una cura per l’argomento che “L’alba dei morti viventi” non ha, anzi al massimo ha solo generato confusione, insomma l’uragano Snyder in azione.

«Femminuccia o maschietto?», «Bah, zombie. Credo»

Devo essere onesto, ogni tanto mi capita di rivedere “L’alba dei morti viventi” e lo trovo un buon film di zombie, non ha NULLA a che spartire con il genio e la capacità di fare critica sociale del film di George A. Romero, nel senso che questo film Romero non lo vede nemmeno con il binocolo. Il centro commerciale dove si rifugiano i protagonisti perde completamente la sua funziona satirica, di fatto è solo un posto dove è facile barricarsi e poter disporre di viveri, sembra proprio di vedere James Gunn alzare le mani dal manubrio per rivolgere un saluto di ammirazione a Romero, fine delle trasmissioni.

Un (non tanto) allegra banda di gatti senza collare.

Anzi a dirla proprio tutta, il fatto che gli zombie di questo film corrano per buona parte del minutaggio è qualcosa di totalmente accessorio alla storia. Snyder fa correre i suoi morti nella prima e nell’ultima scena, per il resto del tempo è James Gunn ha tenere le briglie della storia, che di fatto è un normalissimo film di zombie, tutto basato su un cast di protagonisti tanto variegati da risultare perfetti per il loro ruolo. Lo dico fuori dai denti, meglio le dinamiche tra personaggi di questo film che un episodio a caso dei Camminamorti, altra serie che non esisterebbe senza il genio di Romero.

«È l’orgoglio che ti blocca il cervello, ma anche il piombo non aiuta» (quasi-cit.)

I personaggi rappresentano un’umanità variegata che va dall’infermiera Ana (Sarah Polley) fino allo sbirro tosto Ving Rhames, per altro esperto di remake Romeriani visto che avrebbe recitato anche in “Day of the Dead” (2008) di Steve Miner. Si spazia tra un signore di mezza età omosessuale fino ad una donna incinta, per arrivare allo stronzissimo buzzurro interpretato da Ty Burrell, oppure da una faccia nota come quella di Michael Kelly che fa sempre piacere ritrovare nei film.

Questa è fin troppo facile come battuta, non la faccio.

James Gunn trova il modo di farci almeno affezionare un minimo a questi personaggi, grazie a trovate piuttosto divertenti in cui il fatto che gli zombie di questo film possano correre, diventa un dettaglio del tutto secondario. Personalmente ricordo meglio il gioco degli imitatori, con il cecchino isolato pronto a sparare in testa a non morti che somigliano a Jay Leno oppure a Burt Reynolds, insomma tutto l’umorismo di cui Snyder non è capace che invece è farina del sacco di Giacomo Pistola.

Ah si? Tornerò come zombie e continuerò a scrivere, tiè!

Qual è il contributo di Zack Zacky alla causa? Il suo tocco Videoclip paro. Infatti le scene al rallentatore marchio di fabbrica del regista ci sono, ma non sono così abbondanti come da sua abitudine, diciamo che il nostro Snyder qui, era ancora legato ai suoi trascorsi di regista di video musicali, infatti la prima scena con l’infermiera in fuga dal bagno di casa risulta molto dinamica ed è un bel modo per raccontarci la distruzione di una società che va in pezzi, sulle note della bellissima “The Man Comes Around” di Johnny Cash. Posso dirlo? Sono le scene che a Snyder vengono meglio, quelle in cui ricorda a tutti che avrebbe potuto essere il più grande regista di videoclip del mondo, ma da grande voleva per forza essere un regista cinematografico a tutti i costi.

L’unica altra scena in cui i non morti di Snyder si fanno una corsetta è il finale, che accenna un po’ di “Found Footage” e poi si gioca “Down With The Sickness” dei Disturbed ricordandoci a tutti che questo è un film del 2004. Anche l’assedio al bus blindato come se fossimo in un episodio a caso dell’A-Team è una scena visivamente potente, nulla a che spartire con il Dead Reckoning Romeriano, anche se nel corso del film gli omaggi a Romero sono ovunque e come detto lassù, post-moderni quanto volete.

Come prendere il bus all’ora di punta, uguale.

Lo sceriffo intervistato in TV ha i baffoni di Tom Savini, mentre il predicatore che ha il compito di pronunciare l’epitaffio della razza umana («Quando non ci sarà più posto all’inferno… i morti cammineranno sulla terra») è interpretato da Ken Foree, giusto per chiudere il cerchio con il film di Romero. Il che se volete è abbastanza grottesco, zio George è riuscito a tornare dietro alla macchina da presa per un film di Zombie, quel capolavoro di La terra dei morti viventi, solo grazie al ritorno di fiamma (e di popolarità) generato da questo rifacimento (storia vera). Poi ditemi che Romero non è il regista che ha raccolto meno dividendi in vita, al netto del genio che ha sparso nel mondo.

Insomma, se riuscite a chiudere un occhio su quella fesseria dei non-morti che corrono, che tanto si vedono in due scene di numero, “L’alba dei morti viventi” resta un buon film di zombie, che ci conferma parecchie cosette. La prima sicuramente è l’ironia, l’intelligenza e il fatto che quel pistola di James Gunn è sicuramente uno di noi. L’altro dettaglio che emerge è che questo esordio sparge già tutti i semi dello Zack Snyder futuro: rallenti, momenti da videoclip più efficaci del film stesso e l’arroganza di chi crede di poter usare lo stesso stile per adattare tutti, Romero, Miller, Moore, non importa, tutto uguale. Nel tritacarne Snyder tutto viene frullato allo stesso modo, non so se valga cinque dollari ma se completo questa frase, quello che rischia di passare per un fighetto post-moderno poi sarei io quindi… IPPOPOTAMO!

… Grau Grau Grau (cit.)

Ora sono curioso di vedere cosa farà Zack Zacky con il suo prossimo lavoro, un film di zombie (più o meno), senza lo scudo di James Gunn e l’ombra di Romero. Non ho idea di come sarà il film, ma sono certo che scatenerà polemiche, vedremo se anche per questo nuovo lavoro verrà invocata una versione da quattro ore girata in 4:3, tanto ormai abbiamo capito che con Snyder di mezzo, può succedere davvero di tutto.

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