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L’ammutinamento del Caine: Corte Marziale (2023): la marina è un capolavoro pensato da geni e portato alla sbarra da William Friedkin

Là fuori c’è un nuovo film di William Friedkin e non ne sta parlando nessuno, forse perché come al solito, non si intitola L’esorcista, quindi non vale la pena parlarne per i più. Ma per vostra fortuna questa Bara volante sarà sempre in missione per il regista di Chicago, quindi bentornati al nuovo capitolo della rubrica… Hurricane Billy!

A dodici anni da Killer Joe, un dramma che si svolgeva quasi tutto in interni (tenetelo a mente, più tardi tornerà di moda questo concetto) il nostro Hurricane Billy torna con un film che è la quintessenza della sua poetica, perché il cinema di Friedkin è sempre stato basato sulla ricerca del realismo e si è evoluto, facendo un salto di qualità grazie alle “Commedie della minaccia” di Harold Pinter, di cui proprio Billy aveva portato al cinema il suo Festa di compleanno nel 1968. Aveva tutte le caratteristiche della commedia della minaccia anche il successivo Festa per il compleanno del caro amico Harold, ma se ci pensate molto cinema di Friedkin prevedeva drammi dietro porte chiuse, si anche il suo film più famoso, quello con vomiti verdi e ragazzine possedute legate al letto.

Tutto il secondo atto di Assassino senza colpa? Era un dramma legale, così come Regole d’onore, un lungo processo ambientato nel mondo militare, allo stesso modo anche Bug era capace di farvi salire la paranoia, con due soli protagonisti chiusi in una stanza d’albergo. Senza dimenticare quella volta in cui Hurricane Billy ha preso un classico di Sidney Lumet e lo ha portato sul piccolo schermo con risultati davvero riusciti e pensate un po’? Era la storia di un processo, con la sua versione di La parola ai giurati.

«Sapevo che mi avresti riportato a bordo di questa Bara Cassidy»

Prima o poi un regista colto e dalla traiettoria cinematografica così netta e decisa, doveva imbattersi in “Corte marziale per l’ammutinamento del Caine”, un dramma in due atti di Herman Wouk, rappresentato per la prima volta a teatro nel 1953 e tratto dal suo stesso romanzo premio Pulitzer del 1951. Una storia che al cinema era già arrivata nel 1954 con “L’ammutinamento del Caine”, non potete sbagliare è quello con Humphrey Bogart alla sbarra, nei panni del discusso capitano Philip Francis Queeg, destituito dal suo secondo in comando per via della sua condotta durante una tempesta che rischiava di affondare il dragamine Caine del titolo.

Senza nulla toglie al mitico Bogie, un adattamento davvero molto bello della pièce teatrale è arrivato l’8 maggio del 1988 sul piccolo schermo, per la precisione sul canale americano CBS, diretto da un tale piuttosto bravino a gestire affollati cast di grandi attori, mi riferisco a Robert Altman e al suo “The Caine Mutiny Court-Martial”, non affannatevi a cercarlo perché da noi è purtroppo inedito, ed è un vero peccato perché si tratta di un film bellissimo, visto che nessun’altra pagina di cinema ve ne parlerà mai come merita, lo faccio io!

Dimenticato, difficile da reperire, ma bellissimo. Partiamo da qui.

A ritmo di una marcetta militare, Altman raduna i suoi beh, protagonisti (ah-ah) in un tribunale improvvisato dentro la palestra di una scuola, siamo in pieno periodo di guerra e l’obbiettivo è quello di chiarire gli eventi del 18 dicembre del 1944, in cui il secondo in comando, il tenente Stephen Maryk (un ottimo Jeff Daniels) ha destituito il comandante Phillip Francis Queeg (Brad Davis in gran spolvero e di nuovo sotto processo, come in Fuga di mezzanotte) accusandolo di essere impazzito e di stare eseguendo una manovra errata durante una tempesta, tanto potente da rischiare di affondare il dragamine.

La filmografia di Jeff Daniels sarà oggetto di studio un giorno, misteriosa.

Nessuno voleva difendere l’imputato da un’accusa di ammutinamento, nessuno tranne Barney Greenwald (Eric Bogosian), passato da principe del forum e attenzione, presente da tenente sì, ma dell’aviazione, quindi l’unico con addosso una divisa verde mentre tutti intorno a lui, indossano quella nera della marina. Aggiungiamo il carico? Greenwald, essendo interpretato dai riccioli di Bogosian è anche di origine ebrea, il tutto mentre gli Stati Uniti sono impegnati in una guerra contro quelli con il braccio destro teso, quelli che non vedono tanto di buon occhio gli ebrei, anche se certi pregiudizi sembrano duri a morire.

Penso che sia un grande peccato che “The Caine Mutiny Court-Martial” sia un Altman dimenticato se non perduto, perché si tratta di un film bellissimo, due ore in grado di incollarvi allo schermo, in cui si parla di tempeste, ammutinamenti e sospetta follia di un comandante paranoico e ossessivo-compulsivo, raccontando il tutto attraverso testimonianze, linguaggio legale e grandissime prove da parte del cast. Anche quando pensate che la storia (e il processo) siano terminati, il film si gioca una conclusione apparentemente fuori luogo, in realtà micidiale, ambientata ad una festa, in cui si chiude il cerchio alla perfezione ed Eric Bogosian con la sua prestazione, mi fa tornare sempre in mente lo stesso quesito: chi ha costruito le piramidi? Cos’è Stonehenge? Perché Eric Bogosian non è diventato il nuovo Al Pacino?

Guardatevi la sua prova qui e poi vi farete le mie stesse domande.

Difetti del film di Altman? Tre ma minuscoli: un paio di testimoni sono rappresentati ed interpretati in maniera un po’ macchiettistica, come a voler suggerire al pubblico che saranno anche teste chiave di fronte alla legge, ma è chiaro che siano poco credibili. L’ultimo difetto? Il campo da gioco su cui viene organizzato il tribunale sfoggia un’anacronistica linea da tre punti. Quello sicuramente non è un palazzetto dove si giocavano partite della NCAA (dove il tiro da tre è stato introdotto in fase sperimentale nel 1945), ma è un dettaglio per fanatici della palla a spicchi come me e beh, William Friedkin.

Un campo da basket per un appassionato è terreno sacro, più di un tribunale.

Mi piace pensare che il campo da basket, trasformato in tribunale, abbia attirato il nostro Hurricane Billy, che di suo pugno ne ha scritto una nuova sceneggiatura, trasferendo la storia dal 1944 ai giorni nostri, questo fa si che all’accusa ci sia un’avvocatessa donna e il giudice, sia il mitico e mai abbastanza compianto Lance Reddick a cui il film è dedicato ma su questo punto ci torneremo più avanti, mi preme sottolineare come i cambiamenti nella marina (e nella società) ci siano stati e non è merito dell’algoritmo con cui vengono fatti i casting oggi e visto che siamo in argomento, parliamo di come Friedkin abbia scelto di ambientare il film in un più convenzionale tribunale, ma si sia scelto bene i suoi giocatori da schierare in campo.

Grazie di tutto Lance, ci mancherai un sacco, ci vediamo nei film.

L’accusato di ammutinamento, il tenente Stephen Maryk qui è ben interpretato da Jake Lacy, che ha un po’ meno l’aria da risoluto tontolone da salvare di Jeff Daniels, ma forse anche per questo risulta più a fuoco. Chiaro che una trama così abbia bisogno di un attore carismatico per il ruolo del discusso comandante Queeg, il nostro Hurricane Bully trova il suo in Kiefer Sutherland e pensate alla sottile ironia, l’eroe d’azione, sempre freddo anche sotto pressione di “24” ovvero Jack Bauer, qui nei panni di un personaggio afflitto da tick e paranoide, forse pazzo, sicuramente controverso.

Scelta di casting micidiale.

Dove però Friedkin manda a segno il suo colpo migliore è nella scelta dell’attore che qui interpreta l’avvocato della difesa, niente Bogosian, Hurricane Billy sceglie l’esperto di cattivi e personaggi nati incazzati Jason Clarke, che in questa versione non è più un tenente dell’aviazione di origini ebree, quindi per lo meno non ha l’imbarazzo di essere l’unico in verde ad una festa dove indossano tutto il nero. Però pensateci: da spettatori, in un film dove ci sono Kiefer Sutherland e Jason Clarke, con tuttibi trascorsi dei personaggi che normalmente interpretano questi attori, per chi vi verrebbe istintivo di patteggiare? Diavolo di un Friedkin sei un cazzarola di genio!

“L’ammutinamento del Caine: Corte Marziale” è per ovvie ragioni un film molto parlato, tanto parlato, che fa il percorso inverso rispetto a La parola ai giurati di Friedkin, nato al cinema e portato sul piccolo schermo dal regista di Chicago. Qui la storia vera del Caine diventa libro, poi opera teatrale, finisce al cinema e poi viene portata in tv da Altman, ci vuole Friedkin per riportarla sul grande schermo e uno strambo Paese a forma di scarpa per chiudere il cerchio, visto che da noi è uscito su Paramount+, facendolo volente o nolente, tornare ad essere un film per la tv, ma con dentro tutto il cinema di un Maestro come Hurricane Billy, anche se la sorte si è confermata essere dolorosamente ironica.

«Che venga messa agli atti l’affermazione di Cassidy», «Lei è l’imputato, si sieda!»

Quando partono i titoli di coda di “The Caine Mutiny Court-Martial”, leggiamo la dedica a Lance Reddick, anche se sappiamo tutti che questo è un doppio film postumo, visto che come Killer Joe è stato presentato al festival del cinema di Venezia, quando ormai anche William Friedkin ci aveva lasciati, anche se ancora usare i verbi al passato per uno dei miei preferiti non mi riesce del tutto naturale.

Alla prima del film a Venezia per presentarlo, ci ha pensato Damien Chazelle con un discorso in grado di, non dico perdonargli il suo coso pieno di coloooooori, ma almeno mettere in chiaro che il ragazzo ha decisamente il cuore dal lato giusto, al resto ci pensa il film di Friedkin, che non modifica molto della storia quindi se non la conoscete, preparatevi a due ore incollati lo schermo, passati a scoprire gli eventi a bordo del Caine attraverso le parole dei protagonisti.

Il tuo la-la-coso non te lo perdono, però questo discorso, tanto di cappello.

I dettagli sono il bello di “L’ammutinamento del Caine: Corte Marziale”, quando Queeg è fermo e risoluto nell’esporre la sua versione dei fatti, Friedkin lo inquadra con un primo piano fisso sul volto di Sutherland, quando deve farci capire che nel personaggio c’è qualcosa che non va, allarga e lo riprende seduto, spalle curve, mani conserte intento a strofinare ossessivamente i pollici. In una storia dove a teatro, a dare il ritmo, sarebbero state le prove degli attori e la loro capacità di calamitare lo sguardo del pubblico, Friedkin è il solito vecchio leone, che negli anni si è affilato i denti con tante “Commedie della minaccia”, con un’infinità di drammi da interni, in cui la tensione e il ritmo aumenta di pari passo con il pathos, una roba al passo con i tempi, perché al pubblico piace pupparsi infinite serie tv dove i protagonisti parlano, parlano e poi ancora parlano, ma anche fuori dal tempo proprio per la stessa ragione, e il fatto non secondario che il pubblico, quello che potrebbe imbattersi su questo film perché presente su Paramount+, certe sfumature non ha nemmeno voglia di cogliere. Per altro aggiungiamoci che per girare il film, Friedkin, anziano e poco in salute, ha avuto bisogno di un secondo regista, più che altro una garanzia per l’assicurazione, per lui è stato il volontario Guillermo del Toro, che alla fine non ha diretto nulla, ma si è goduto l’ultima regia di Hurricane Billy da una posizione privilegiata (storia vera).

Questo non cambia il fatto che “The Caine Mutiny Court-Martial” ha perfettamente cittadinanza nella filmografia di cui fa parte, oltre ad essere un film davvero riuscito, perché William Friedkin sa tenere alta la tensione fino alla fine del processo, ma poi non molla il colpo nemmeno alla festa successiva, quella che conclude la storia, una sequenza in cui Jason Clarke si prende ancora una volta il palcoscenico, in maniera diversa (e meno enfatica) di quanto aveva fatto Bogosian prima di lui, ma in puro stile Friedkin.

In alto i calici per Hurricane Billy… Cheers!

Se Altman ci faceva girare con la sua macchina da presa tra gli invitati della festa, lasciando a Bogosian il compito prima apparentemente di straparlare e poi di andare dritto al punto anche alzando progressivamente il tono di voce (parliamo di un personaggio vestito di verde ad una festa dove indossano tutti il nero), Friedkin si gioca le sue carte in un modo diverso e altrettanto efficace. Jason Clarke è tra i suoi pari, anche lui è un membro della marina, la cui condotta in tribunale è discutibile ma indubbiamente efficace, ed è qui che un po’ a sorpresa, il vero ammutinamento va in scena, infatti se Bogosian doveva urlare per farsi sentire, Jason Clarke li ha tutti addosso come gli addobbi sull’albero di Natale. Scientificamente Friedkin piazza la macchina da presa in mezzo alla folla, come se il nostro punto di vista fosse quello di uno dei tanti invitati che allunga il collo per guardarlo e sentire che cosa sta dicendo, infatti il regista di Chicago, con lo stesso piglio sicuro e spavaldo che ha sempre sfoggiato in vita, chiude il film così, con un gesto spavaldo, di rottura, un vero ammutinamento. Quando ho visto i titoli di coda partire di colpo, a schiaffo, proprio su quel gesto fatto da Jason Clarke ho pensato che se la filmografia di Hurricane Billy doveva chiudersi come purtroppo è inevitabile prima o poi per tutte le filmografie, non poteva esserci ultima inquadratura più azzeccata per riassumere la vita e le opere di un Maestro che purtroppo verrà ricordato per un solo grandioso capolavoro, quando invece ci ha lasciato con un’infinità di grandi lezioni di Cinema.

Anche se non riesco ad usare ancora bene i tempi verbali al passato, questo post e tutta la rubrica su Hurricane Billy, sono la mia dedica ad uno dei più grandi. Grazie di tutto William Friedkin, ci vediamo nei film.

Non so dove sarei senza quest’uomo, grazie per aver reso il cinema, questa Bara e la mia vita di spettatore migliore.
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