Un giorno, da qualche parte verso fine anni ’90 primi anni 2000, me ne torno a casa, i piedi non mi toccano terra dalla gioia, ho appena acquistato la mia copia de “L’armata delle tenebre” in DVD. Trovo mia madre a casa, le dico che ho appena comprato l’agognato disco, era una vita che lo cercavo, lei mi risponde: “Sì, guardavi quel film già da piccolo” con la serenità che solo gli anni di rassegnazione ti possono dare. Tuo figlio non può drogarsi come tutti gli altri, no, troppo facile.
Penso non ci sia davvero nulla da aggiungere, persino mia madre è consapevole del fatto che suo figlio sia cresciuto guardando “L’armata delle tenebre”, ma solo nei momenti in cui non mi riguardavo Darkman… Ma questa è un’altra storia. Per ora vi racconto quella di questo film, che è senza la minima ombra di dubbio nel mio cuoricino un Classido!
Raramente un terzo capitolo tanto distante dai due film precedenti (e soprattutto dal primo) si è rivelato comunque un successo. “L’armata delle tenebre” è di fatto il terzo capitolo della trilogia di “Evil Dead”, ma come (l’intelligente) cambio di titolo sottolinea, è anche un completo cambio di scenario e di atmosfera: il terzo capitolo della saga è decisamente quello più splastick di tutti ed è anche la celebrazione assoluta del mito di Ash, ma soprattutto di Bruce “The King” Campbell. Se devo dirla tutta, è anche la perfetta incarnazione di una caratteristica che stimo molto nelle persone, ovvero la capacità di prendere molto seriamente quello che fanno, ma non loro stessi, penso che sia un buon modo per riassumere anche Sam Raimi.
Con l’aumentare del budget, Sam Raimi ha avuto l’intelligenza di non perdere il gusto per i film fatti tra amici, in maniera più artigianale possibile, “Army of Darkness” è la naturale evoluzione di due amici chiusi in uno chalet del Tennessee a inventarsi quintali di iconografia cinematografica.
Ritroviamo Ash da qualche parte attorno al 1300, insieme alla Oldsmobile Delta 88 del ’73 (The Classic!) precipitato in pieno Medio Evo, come visto alla fine del secondo capito, qui viene prima fatto prigioniero e poi riconosciuto come il salvatore degli uomini dal male, da zero a messia. Per farlo e per poter tornare nel suo tempo, dovrà recuperare il Necronomicon… Voi non mi vedete, ma io sto ridendo perché penso a tutti i casini che Ash combinerà per rimettere le mani (anche quella meccanica costruita da lui) sull’antico testo sumero.
Il film è la celebrazione di Ash e di Campbell, nel secondo titolo della saga il personaggio si è guadagnato sul campo i suoi simboli distintivi, le cicatrici in faccia, la camicia blu con la manica strappata, la motosega rossa agganciata alla mano mozzata e il Remington a doppia canna, calibro 12, siccome è una celebrazione, tutti sappiamo che è il migliore del suo supermercato, lo si trova nel reparto caccia e attrezzi sportivi. Questo adorabile, ma terribile aggeggio lo fanno nel Michigan, costa 100 dollari e 95 scontato, ha il calcio in noce, le canne di acciaio blu cobalto e un grilletto sensibilissimo, proprio così. “Magazzini S-mart, i migliori d’America”, o come viene chiamato in originale “This is my boomstick!” che per quanto mi riguarda è una frase che sta lassù, nel Valhalla delle frasi più mitiche della storia del Cinema, mentre se ne beve un paio con le varie suonala Sam, Hasta la vista baby, Gli farò un’offerta che non potrà rifiutare e tutte quelle altre frasi che sono uscite dalla storia del Cinema, per diventare linguaggio comune, iconografia alla stato puro. Ma se vogliamo questo film di frase mitica ne ha almeno un’altra, cosa vogliamo dire di “Dammi un po’ di zucchero, baby”? Quanti schiaffoni in faccia avete ricevuto dal gentil sesso per colpa di questa frase? Tanti lo so.
Se vi capiterà di inciampare nel merchandising di questa saga (e vi capiterà tranquilli), troverete Ash quasi sempre rappresentato come compare qui, che siano magliette, poster, Funko, gadget, l’Ash che vedrete sarà sempre quello di questo film, quello che con il montage definitivo, si costruisce in casa una mano bionica sostitutiva, partendo da una vecchia armatura da cavaliere (“Groovy!”). Quando pensate a John Mcclane lo immaginate scalzo e in canottiera lurida, quando vi dicono Jena Plissken a voi salta alla mente la benda, la canottiera nera e la giacca di pelle, se vi dico Ash, se siete personcine a modo vi mettete a gridare “This is my boomstick!”… Mica male per un terzo capitolo che in comune con il primo film della saga ha davvero solo le persone coinvolte e il nome del protagonista.
Bruce è il protagonista assoluto, è talmente straripante che non solo interpreta Ash, ma anche il suo doppio Malvagio (“Sei un bravo ragazzo! Sei un bravo ragazzo!” BANG! “Non così bravo”) ed è così incontenibile da interpretare anche i pestiferi mini-Ash che perseguitano il protagonista nella scena del mulino.
Sam Raimi, come l’amplificatore degli Spinal Tap, mette su undici il livello di splastick del film, dando libero sfogo a tutte le gag comiche che gli passavano per la testa. Avete presente la classica scena dell’accecamento con le dita che ha reso celebri i The Three Stooges (da noi i Tre Marmittoni)? Qui viene rifatta identica, usando solo il primo piano di Bruce Campbell e finte manine scheletriche di plastica (“Tenete lontano dalla mia bocca le vostre luride ossa!”). Sam Raimi trasforma il suo amico di scuola e il protagonista del film in un cartone animato, letteralmente, infatti il film rompe gli indugi anche sull’incolumità fisica di Ash, sottoponendolo ad ogni genere di tortura: costretto a bersi dell’acqua bollente direttamente dal bollitore per fare fuori il mini-Ash finito del suo stomaco e nella scena dei tre Necronomicon, si ritrova con un mascellone deforme (anche più grosso di quello che sfoggia Campbell di solito) degno di un cartone animato, perché “L’armata delle tenebre” è questo: un cartone animato, con streghe possedute, morti, un occhio che spunta da una spalla e il più grosso esercito di scheletri mai visto al cinema, il genere di cartone animato per cui un bambino con il gusto per il macabro adorerebbe. Mi dichiaro colpevole vostro onore!
“Army of Darkness” ha momenti horror che funzionano, come la fantastica scena del pozzo (ammettetelo, anche voi fate il tifo quando Ash manda a segno un cazzotto, o impugna al volo al sua motosega, vi conosco mascherine!), ma è impossibile prescindere dalla sua componente comico/goliardica e gli effetti speciali, visibilmente e volutamente retrò (anche per il 1993) non fanno che aumentare il livello di coinvolgimento della storia.
Sì, perché di fronte a scheletri con gli occhi rotanti, dispettose maniche ossute e l’urticane balletto di Evil-Ash, non potete non ridere, no sul serio, se questa roba non vi fa ridere o non è di vostro gradimento, io non vi conosco e non vi voglio nemmeno conoscere!
Proprio gli effetti speciali fatti alla vecchia maniera, aiutano a sospendere l’incredulità quel tanto da accettare Bruce Campbell come novello Wile il Coyote, quindi ci sta anche che con un Remington a doppia canna, possa sparare quattro colpi senza ricaricare. La sceneggiatura fa il resto, perché se nel secondo capitolo Ash era uno sbruffone, qui le cose vengono portate alle estreme conseguenze: Ash parla SOLO attraverso “Frasi maschie” degne del miglior eroe dell’azione. Non è un caso se quasi tutte le battute mitiche della saga di “Evil Dead” si trovino in questo film, una delle mie preferite è quando parlando con Enrico il Rosso, il nostro spavaldo eroe gli dice “Salve Signore dalle strane mutande, in questo momento sei il capo di due sole cose. Del cazzo e della merda e anche di quelli per poco”.
Il doppiaggio “ignorante” (del senso migliore del termine) rende bene la cafonaggine di Ash secondo me, anche se, purtroppo, ci fa perdere almeno un paio di frasi diventate di uso comune in inglese come “Groovy” o “Hail to the king, baby” sostituita da una sensata, ma meno incisiva “… Ma non mi posso lamentare, a mio modo sono un re!”.
Una delle ottomila cose belle de “L’armata delle tenebre” è il modo in cui Sam Raimi sia riuscito a rielaborare dei classici, rendendoli ancora più mitici, dal film di Robert Wise del 1951, “Ultimatum alla Terra” il buon Sam prende in prestito le parole che l’alieno utilizzava per disattivare il letale robot Gort, ovvero “Klaatu barada nikto”, che qui diventano le parole che Ash deve pronunciare prima di prendere il Necronomicon e che, siccome è un casinista, non riesce a ricordare (“Com’è quella parola? Come faccio a non ricordarla? Di sicuro cominciava con la N…”), mentre l’esercito dei morti, gli scheletri con elmi scudi e spade che marcia verso il castello non sono altro che l’omaggio di Sam Raimi al grande maestro dell’animazione a passo uno Ray Harryhausen (grazie Maestro!) e agli scheletri del film “Gli Argonauti” del 1963. Malgrado il fatto che i due film citati siano due classici e due capolavori senza sterzo, sono sicuro che quando si parla di Klaatu barada nikto o di un esercito di scheletri, l’80% delle persone ancora oggi pensi ai casini combinati da Ash, anche questo è merito del talento di Sam Raimi, che ha saputo omaggiare e riutilizzare in modo intelligente, ma rispettoso, i classici. Giovani registi e sceneggiatori, prendere appunti grazie.
A suo volta, però, Sam Raimi ha creato iconografia da cui altri hanno pescato a piene mani, uno tra tutti Peter Jackson, forse il regista attualmente in circolazione più debitore al Cinema di Raimi. Nella sua trilogia de “Il Signore degli Anelli” ha omaggiato “Army of Darkness” due volte: la scena in cui dopo il discorso di Ash, i pochi rimasti offrono le loro armi per aiutarlo nella battaglia, è stata ripresa identica nel primo capitolo della sua trilogia Tolkeniana, mentre la scena in cui il mago avvicina la polvere esplosiva alla candela e viene fermato appena in tempo da Ash, è stata diretta da Jackson identica, ma con Saruman e Vermilinguo come protagonisti ne Le due torri.
Per altro, in questo film al solito compositore di fiducia Joseph LoDuca, autore delle musiche per tutti e tre i film della saga di “Evil Dead”, viene affiancato Danny Elfman, alla seconda collaborazione con Raimi dopo Darkman. La sua “March of the dead” è ancora oggi uno dei pezzi migliori del famoso compositore e non ne ha propriamente firmati pochi nella sua carriera.
Un dettaglio che ho sempre trovato ironico consiste nel fatto che malgrado Raimi abbia avuto carta bianca per ambientare un film nel medioevo e dargli un tocco comico, il finale che aveva pensato non piacesse ai produttori. L’idea originale per la conclusione del film, a mio avviso, era molto più in linea con il personaggio di Ash e anche con il finale “tragico” de La Casa 2. Qui il mago preparava ad Ash una pozione che lo avrebbe fatto dormire (senza invecchiare) fino al suo tempo, ma mi raccomando, soltanto sei gocce! Ovviamente Ash che è un casinista ne prende troppa e si risveglia, molto barbuto, in un futuro prossimo devastato dalle forze del male, seconda occasione per Bruce Campbell per esibirsi in un ululante “No” di disperazione lanciato contro il cielo. Se non avete mai visto questo finale lo trovate QUI:
Quindi Sam Raimi dovette improvvisare un altro finale, questo spiega il cameo di suo fratello Ted, nei panni di un collega di Ash ai magazzini Smart, per altro, Ted compare anche tra i cavalieri del castello, continuando così la sua tradizione di personaggi interpretati in questa saga, un vero jolly quel ragazzo!
Siccome questo film è una mosca bianca, per una volta anche il finale imposto dai produttori al regista risulta una figata pazzesca, perché “L’armata delle tenebre” è così: ha tutto quello che non vorresti mai vedere nel terzo capitolo della tua saga cinematografica del cuore, eppure forse è il più mitico, nel senso Homer Simpsoniano del termine, della trilogia. Tutto merito dell’incontenibile talento di Sam Raimi e della faccia da schiaffi di Bruce Campbell… Hail to the King, baby!
Sepolto in precedenza venerdì 30 ottobre 2015
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