Anche senza che voi stamattina abbiate deciso di fare
colazione con il barbera, finirete per vederci doppio perché è di questo che
parla il post di oggi, benvenuti al nuovo capitolo di… Life of Brian!
La brutta esperienza sul set di Conosci il tuo coniglio e il successivo flop al botteghino del
film, hanno seriamente rischiato di mettere fine alla carriera di un astro
nascente come De Palma, uccidendo il suo talento in culla, ma è grazie all’occhio
lungo del produttore Edward R. Pressman, a cui dobbiamo anche
parecchi titoli della filmografia di Oliver Stone, che il buon vecchio Brian ha
potuto tornare in sella, facendo un passo indietro, in particolare, ad un
soggetto che aveva scritto anni prima che abbraccia calorosamente il cinema di
genere.
Con “Sisters” (da noi “Le due sorelle” per sottolineare il
tema chiave del doppio) De Palma chiude la prima fase della sua carriera,
quella in cui sognava di essere ricordato come il Jean-Luc Godard americano e
si accasa ad un altro magistero, quello che ne determinerà l’etichetta (che
il regista del New Jersey proverà anche a scollarsi di dosso), ma anche le
fortune: il cinema di Brian De Palma non esisterebbe senza quello di Alfred
Hitchcock, di cui non è semplice copia, ma vera reinterpretazione. Per questo
molti sostengono che il cinema di De Palma oltre che post-modernista, sia anche
post-avanguardista, io che sono più pane e salame, invece, dico che blasonati
idioti come il maledetto GIEI GIEI
copiano (male), un genio come De Palma ruba e si appropria di concetti che
dimostra di aver capito per davvero, insomma un bravo studente, ma era lecito
aspettarselo da un cineasta prestato alla settima arte dalla fisica, sua prima
passione.
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Didascalie che non leggerà mai nessuno presenta: Margot Kidder. |
Per il cast De Palma si affida allo sguardo torvo del fidato
William Finley per il ruolo del marito stalker della (doppia) protagonista, una
meravigliosa Margot Kidder (la miglior Lois Lane di sempre) qui in grande spolvero, per le musiche, invece, bisogna
faticare un po’ di più. Essendo di base un regista estremamente visivo, il
nostro Brian parte sempre da una sequenza, da immagini potenti per costruire il
suo film, non è il tipo di regista che ha bisogno anche della musica per
pensare ad una scena che esiste già tutta nella sua testa prima di girarla, la
musica serve per condurre lo spettatore dove il regista vuole portarlo, proprio
come faceva zio Hitch, quindi è stato automatico per De Palma chiedersi: «Cosa
starà facendo Bernard Herrmann in questo momento?»
Il compositore prediletto di Hitch era disponibile, anche
perché aveva appena finito di fare a testate con Billy Friedkin, i due non si
erano accordati sulle musiche di un film uscito lo stesso anno, L’esorcista, potreste averne sentito
parlare. De Palma incautamente montò sulle immagini del suo “Sisters” le musiche
composte da Herrmann per Psycho, per dare al compositore un’idea del risultato
finale desiderato ed è qui che anche De Palma scoprì quello che Friedkin già
sapeva, ovvero che la testa di Herrmann era molto, ma molto dura.
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Titoli di testa, non possono mancare in questa rubrica. |
«Signor De Palma, lei non può utilizzare le musiche di un
altro film per il suo», questa è la frase più gentile uscita dalla bocca di Herrmann. Malgrado l’inizio in salita i due trovarono un punto di incontro e finirono per
collaborare ancora, anche la musica per certi versi ha aiutato a sottolineare
il passaggio ideale di testimone tra zio Hitch e il suo “padawan” (ad un passo
dal diventare Maestro Jedi) più dotato, ovvero il nostro Brian.
Lo spunto per il soggetto di “Le due sorelle” arriva a De
Palma sfogliando le pagine di “Life”, sulla popolare rivista il regista del New
Jersey trova un articolo su Masha e Dasha,
le sorelle siamesi russe che separate grazie alla chirurgia, hanno in seguito
sviluppato problemi mentali. De Palma rielabora questo spunto reale nel caldo
abbraccio del cinema dei suoi maestri, Hitchcock e Powell e tira fuori un film
che inaugura alla grande la nuova fase della carriera di De Palma, dove tutti
gli elementi che renderanno grande e riconoscibile il suo cinema sono già sotto
i nostri occhi, l’invito per lo spettatore è quello di guardare.
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Siam siam siam siamesi siam (cit.) |
Inizia, infatti, così “Sisters”, con dei titoli di testa
vagamente alla Saul Bass (e non è un caso) in cui un doppio feto viene
introdotto sulle note della musica di Bernard Herrmann e a voler fare un gioco
alcolico, si potrebbe buttare già un sorso ad ogni riferimento Hitchcockiano,
oppure ad ogni rimando al concetto di “doppio”, vi assicuro che vi ritrovereste
con la cirrosi epatica prima della pausa di fine primo tempo.
Il gioco di specchi di De Palma comincia subito, pronti via,
un uomo di colore in uno spogliatoio maschile, vede entrare una bella ragazza
non vedente (per sottolineare ancora un po’ l’importanza dello sguardo), che
convinta di trovarsi nello spogliatoio giusto inizia a spogliarsi, se pur
attratto (e ci credo, lei è Margot Kidder!) l’uomo distoglie lo sguardo e
vince, perché quella che sembrava la scena iniziale di questo thriller, in
realtà è l’ultima puntata del gioco televisivo “Peeping Tom” (si, proprio come
il film di Michael Powell), una sorta di candid camera in cui chi distoglie lo
sguardo dalla situazione sbarazzina vince.
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Lei già non ci vede, tu farai la stessa fine se non ci dai un taglio, guardone! |
Per rimarcare questa (doppia) finta di corpo con cui De
Palma ci fa subito abboccare al suo amo, la ragazza dello scherzo in realtà ci
vede benissimo è la modella canadese Danielle Breton che decide di portarsi il
concorrente prima a cena e poi direttamente a casa, anche per cercare di mandare
un messaggio al fastidioso ex marito (Bill Finley) che la segue ovunque, al
lavoro, nei locali e fin sotto casa.
Danielle fa l’amore con l’uomo e la mattina dopo, visto che
è il compleanno della donna, l’amante esce a comprarle una torta di compleanno,
la acquista da due pasticcere, perché per De Palma in questo film, il doppio è
presagio di morte, infatti al rientro a casa, Danielle lo accoltella
ripetutamente. Aveva preso una torta con quello schifo di pan di spagna dentro?
No, peggio! Danielle in realtà ha una sorella gemella di nome Dominique, la
cicatrice sul fianco è il segno rimasto dopo l’operazione di separazione delle
siamesi, problema: una è pazza e l’altra cerca di rimediare ai suoi casini, ma
occhio! Perché in questo gioco di specchi tutto ha un doppio significato, ogni
elemento può essere guardato da due punti di vista, cambiando così la
prospettiva.
Ecco, quindi, che l’ex marito interpretato da Bill Finley, in
realtà, è il chirurgo che ha separato le siamesi, proprio lui interverrà per
aiutare Danielle a nascondere il cadavere dell’uomo in bella vista (come tutti
i misteri di questo film) ovvero nel divano di casa della donna che, se
vogliamo, potrebbe essere anche una strizzata d’occhio (tanto per stare in
tema) a “Nodo alla gola” (1948) di Hitchcock.
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Un copridivano, dello smacchiatore e passa la paura (forse) |
Tutto succede con la calma necessaria ad occultare un
omicidio? Proprio no, perché De Palma è maestro di suspence proprio come il suo
Maestro, tutta la scena viene vista da una casuale guardona molto particolare,
la giornalista Grace Collier (Jennifer Salt), che vive nell’appartamento dall’altra
parte della strada e dalla finestra vede tutto l’omicidio, come se fosse una Jimmy Stewart del giornalismo d’inchiesta.
L’idea di fare di lei una giornalista malvista da colleghi e
polizia, è la scelta di De Palma per restare vicino ai temi politici a lui cari
(Grace scrive chiaramente per la stampa liberale di sinistra), ma anche per non
far immedesimare troppo il pubblico con la “guardona” di turno che per De
Palma deve pagare il prezzo della sua volontà di continuare a guardare, per
farlo cosa fa il regista? Utilizza la sua arma più micidiale: il cinema.
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Perché un semplice campo e controcampo, quando puoi usare lo “Split screen”. |
Per farci spiare in questa sua finestra sul cortile, De Palma utilizza uno dei suoi marchi di
fabbrica, non è un caso che decida utilizzare lo “Split screen” proprio nel
momento in cui la gemella malvagia entra in scena, lo schermo diviso in due per
raccontare il doppio, ma anche un gioco di sguardi con il pubblico. Il classico
campo e controcampo indirizza lo sguardo dello spettatore, lo costringe a
guardare l’unico punto scelto dal regista, utilizzare lo “Split screen”, invece,
vuol dire chiedere al pubblico di essere parte attiva nella vicenda, lo schermo
diviso a metà offre di due punti di vista in contemporanea, moltiplicando il
punto di vista per darci il doppio delle informazioni, ma anche il doppio della
tensione… Riuscirà Grace a convincere la polizia che l’omicidio è appena
avvenuto? Arriveranno in tempo per cogliere Danielle con le mani nel sacco?
Vedranno la macchia di sangue sul divano, per altro bianco, cacchio si sporca
subito il divano bianco lo sanno tutti. Insomma, raccontare per immagini, creare
tensione utilizzando le immagini, ma volendo anche mentendo, perché il cinema
fa questo, per citare la massima Depalmiana: «La macchina da presa mente in
continuazione, mente ventiquattro volte al secondo» e in “Le due sorelle” nulla
è come appare.
Mi fa impazzire il fatto che Grace riesca a seguire la
pista, passando proprio delle due pasticcere che hanno preparato la torta di
compleanno, mi piace moltissimo l’idea che in una scena la dedica sulla torta
scritta con la crema sia in corsivo e in altri momenti, sembra in stampatello,
come se De palma volesse mostrarci di due punti di vista sul dolce di
compleanno, quello di Danielle e quello di Dominique, ma è grazie ad uno
sconfinamento nel genere Horror che De Palma ci tiene incollati alla vicenda.
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Il cinema di De Palma avrebbe molto da insegnare ai ficcanaso. |
Se inizialmente i modelli di riferimento di “Sisters” sono Psycho e La finestra sul cortile, più l’indagine di Grace prosegue e più si
finisce sotto l’ala di Michael Powell, quando la storia ci conduce nella casa
di cura dove sono state operate le due gemelle siamesi, non solo “Sisters”
sembra abbracciare la lezione horror di L’occhio che uccide, ma ribalta il
punto di vista su tutti i personaggi coinvolti nella vicenda, non voglio
rovinarvi la sorpresa nel caso non abbiate mai visto questo grande film, ma in
questa porzione tra filmati d’epoca, inquadrature ravvicinate sugli
occhi e flashback in formato “eyefish”, De Palma scollina nell’orrore puro
dimostrando di aver fatto sua anche la lezione di Powell.
Trovo brillante il dettaglio per cui, quando la giornalista
s’immedesima con il dramma delle due gemelle, il suo punto di vista
(rappresentato da un primissimo piano sull’occhio) ci renda indistinguibile
capire chi è chi: stiamo guardando l’occhio di Jennifer Salt, oppure è un primo
piano sulle cornee dell’attrice che interpreta le due sorelle, ovvero Margot
Kidder? Dovessi scommettere punterei sulla seconda, ma è il modo di narrare per
immagini di De Palma che mescola le carte fino a questo livello di dettaglio,
Powell e Antonioni ci hanno insegnato
a dubitare di quello che vediamo, De Palma è profeta di questa lezione
applicandola al genere, come farà per lunga parte della sua carriera.
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«Non riesco mai a conoscere nessuno di interesessante, pensare che mi piacciono alti, con gli occhi azzurri, magari provenienti da Krypton» |
Al suo primo grande film dopo quella che potremmo definire
una lunga gavetta, o per lo meno, al primo film legato al genere che lo ha reso
famoso, De Palma non solo si presenta come un narratore micidiale, ma dimostra
di aver elaborato al meglio i suoi modelli e il lungo percorso fatto, non
rinuncia nemmeno all’ironia delle sue commedia, ma sempre applicata alla storia
e allo sguardo, elemento chiave in “Sisters”: se non si vede il cadavere, l’omicidio
non è avvenuto. Ecco perché la scena finale funziona su due (avete capito che
ha tutto una doppia valenza, no?) piani narrativi: da una parte l’ironia di un
detective che segue un divano spedito fino in Canada, nel tentativo di mettere
le mani su una pistola fumante che, a ben guardarlo, sembra più un “MacGuffin”
di tela bianca con dentro un cadavere, ma anche una piccola, flebile speranza
per il destino della protagonista, ormai sprofondata dal Thriller dell’indagine
all’Horror della rivelazione, pagando così il prezzo più alto per essere stata
a suo modo una guardona.
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De Palma si getta nel caldo abbraccio del cinema di genere e siamo solo all’inizio della rubrica! |
“Le due sorelle” è un film bellissimo perché mescola
continuamente le carte, costringendoci a rivalutare quello che abbiamo visto e
che credevamo “vero” anche solo un minuto prima, un gioco di specchi in cui il
doppio è disseminato ovunque, ci sono due sorelle separate, ma forse per certi
versi inseparabili, un ex marito dal doppio ruolo chiave, lo sguardo viene
moltiplicato in continuazione da De Palma e persino il genere di cui questo
secondo (ah-ah) esordio per il regista del New Jersey fa parte risulta doppio,
perché “Sisters” funziona sia come thriller che come horror, tanto da averne
ispirati moltissimi.
L’ospedale psichiatrico e la condizione della protagonista
devono essere venuti in mente a Soderbergh per il suo Unsane, senza rovinare la visione a nessuno posso dire che dentro Malignant di James Wan, ci stanno abbondanti
dosi di “Le due sorelle”, insomma al primo horror in carriera, De Palma dettava già il passo.
Per quanto ancora molto derivativo e per alcuni dettagli ancora
non completamente sicuro, “Le due sorelle” è la prova che il cinema di genere
aveva bisogno di una visione “alta” come quella di Brian De Palma e il regista
del New Jersey aveva bisogno del caldo abbraccio del cinema più popolare per
brillare, un doppio (ah-ah) matrimonio nato in paradiso destinato a continuare
anche in futuro, anche se parlando di paradiso, prima dobbiamo andarci, sarà
proprio quella la prossima tappa di questa rubrica, tra sette giorni sempre qui
sulla Bara Volante, spero che gradirete un po’ di musica ad alto volume.