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Le Mans 66 – La grande sfida (2019): Ford v Ferrari (Mangold v Hollywood)

James Mangold non riesco a capirlo a volte, ma è chiaro che sia uno con il cuore dal lato giusto. Nel panorama del cinema americano contemporaneo è un’anomalia, perché tra titoli ricercati e roba su commissione, con grande sforzo sta portando avanti dei tratti da autore che sono tutti lì da vedere, in questo senso “Le Mans 66” potrebbe essere il manifesto programmatico del suo cinema.

Giacomo Uomoro è uno che in carriera ha mandato a segno vittorie incredibili passate quasi sotto silenzio (“Cop land” 1997 e il remake di “Quel treno per Yuma” del 2007), titoli di culto (“Ragazze interrotte” 1999 e “Identità” 2003) e ha saputo rendere interessanti progetti nati morti  come “I walk the line” (2005). Ma si è anche scontrato di faccia contro progetti su commissione piuttosto imbarazzanti, tipo “Innocenti bugie” (2010), per non parlare di testacoda clamorosi come “Wolverine- L’immortale” che, per fortuna, è stato dimenticato alla luce di un bel successo come Logan.

I temi che piacciono a Uomoro possiamo trovarli anche in questo “Le Mans 66” (appesantito dal solito sottotitolo italiano inutile), protagonisti che sono rottami, ma che hanno ancora molto da dire e una certa propensione per una struttura molto classica di fondo, perché di fatto questo film è una biopic proprio come il film sulla vita di Johnny Cash, anche se il titolo (e il doppiaggio Italiano) le ha provate tutte per confondere inutilmente le acque.

«Ma perché vi siete messi i cappelli? Stiamo facendo un western? Gli unici cavalli qui sono quelli motore!»

Non capisco perché un film che in originale s’intitola “Ford v Ferrari”, un titolo che si spiega e si vende al pubblico da solo, qui da noi in uno strambo Paese a forma di scarpa sia diventato, il ben più specifico “Le Mans 66”. In compenso, anche le voci assegnate ai personaggi mi hanno convinto poco, ok che Riccardo Rossi è il doppiatore ufficiale di Chris Bale (quando non ringhia sotto il mantello di Batman), però qui in certi passaggi (forse per rendere il tono satirico e l’accento Inglese del personaggio) sembra di sentire parlare l’orso Yoghi.

Da Bale (qui nel suo inedito ruolo di personaggio magro) a Bubu il passo è breve.

Capisco perché Mangold abbia deciso di dirigere proprio questo film, infatti le caratteristiche dei due protagonisti Carroll Shelby (Matt Damon) e Ken Miles (Christian Bale) si sposano alla perfezione con l’idea di cinema del regista, il problema resta una parte della trama, parecchi dialoghi e una fetta delle caratterizzazioni dei personaggi che ruotano attorno ai due protagonisti, tutti difetti molto specifici che, però, fanno sentire il loro peso.

Jez Butterworth (quello di Spectre) scrive un film che fatica ad ingranare ed è anche piuttosto schierato, è andata bene che da noi il titolo sia stato modificato, altrimenti avrebbe dovuto intitolarsi “FORD v ferrari” per quanto risulta sbilanciato e spesso anche abbastanza didascalico nel rappresentare gli schieramenti opposti, interni ed esterni alla Ford Motor Company.

Il Carroll Shelby di Matt Damon, a cui è dedicata la tirata scena d’apertura, è un pilota di talento costretto al ritiro per motivi di salute, uno spirito pratico che sa cosa ci vuole per vincere. Il Ken Miles di “Ciau Bale”, invece, è un contestatore nato, una testa calda che non sa stare alle regole, con un talento innato per i motori, il tipo più brillante possibile quando si tratta di pistoni e chiavi a brugola, ma una testa con cui non si scende a patti.

«Nera si può avere?» (cit.)

Questi due cani sciolti saranno gli uomini della svolta per il reparto corse della Ford, rappresentati nella maniera più disparata e qui una tirata d’orecchie il direttore del casting se la sarebbe meritata. Nel ruolo del viscido commerciale Leo Beebe troviamo una scelta facile, Josh Lucas che le parti da stronzo le sa fare benissimo, inoltre mi ricorda tantissimo uno che (purtroppo) ho avuto la sfortuna di conoscere, quindi quando nei film finiscono per trattarlo male io sono contento, che sia l’Hulk di Ang Lee oppure Batman Chris Bale poco importa.

«Cassidy ma perché? Ho fatto anche un film sul basket per starti più simpatico, vuoi la macchina di Bullit? Te la regalo!»

Per assurdo invece la faccia buona dei venditori della Ford, quello che viene mandato in sacrificio a Modena a trattare con Enzo Ferrari (Remo Girone) per la vendita della casa del cavallino Rampante è Lee Iacocca, che ha il muso da pittbull e il naso schiacciato di Jon Bernthal. Cioè: quello buono, bravo, pulitino ed educato lo facciamo interpretare a quel cavernicolo (nel senso buono) di Punisher? Ma stiamo scherzando!?

Dopo Jon Bernthal uomo d’affari cosa avremo? Vin Diesel a fare la tat… Vabbè lasciate perdere!

Il film è così spudoratamente schierato che l’Enzo Ferrari di Girone è quello che caccia via gli Americani insultando la loro mamma e le loro macchine prodotte, diciamo, con materiale non nobile (largo giro di parole), mentre il posato Henry Ford Junior di Tracy Letts come risponde alla provocazione? Decidendo di fondare il suo reparto corse per vincere Le Mans e farla vedere a quel «Cafone Italiano». In pratica in questo film, gli arroganti che dominano sono gli Italiani, mentre gli Americani sono delle anime candide che devono rimboccarsi le maniche dopo essere stati insultati… Ribadisco questo film avrebbero dovuto intitolarlo “FORD v ferrari”.

Al 38° coglionazzo e a 49 a 2 di punteggio, Fantozzi Ford incontrò di nuovo lo sguardo di sua moglie.

Quando finalmente si entra nel vivo, Giacomo Uomoro si gioca tutto il repertorio, “training Montage” per mettere a punto la macchina e le musiche di Marco Beltrami sincopate ed epiche quel tanto che basta per portarti a bordo pista. Le corse in pista sono abbastanza spettacolari, certo un montaggio un pochino più sporco e meno da “compitino” avrebbe aiutato, ma Mangold fa un buonissimo lavoro, anche se prima di girare questo film, avrebbe dovuto andare a rivedersi quelli con le corse d’auto giusti.

Se non altro, gli occhiali da sole li hanno presi dallo Scott giusto.

Quello che ho apprezzato davvero molto del film, è un tema a me caro: lo scontro in seno alla Ford tra i colletti bianchi, gli incravattati giacca e cravatta che decidono contro i colletti blu, quelli con le maniche arrotolate, sporchi di grasso a rischiare la vita in pista. Infatti, il film utilizza le gare automobilistiche per puntare il dito in maniera didascalica, ma feroce, sulle ingerenze che arrivano dall’alto, le richieste assurde di chi comanda, davanti a cui ci si può opporre e venire il più delle volte spezzati, oppure piegarsi per andare avanti.

Piuttosto chiaro che la difficile scelta del testardo Ken Miles, sia anche un po’ la condizione di James Mangold, uno che ha dimostrato versatilità e temi ricorrenti che gli stanno a cuore, ma più di una volta ha dovuto mordere il freno per rispettare gli “ordini di scuderia” di Hollywood.

Propongo una nuova tattica. Fai vincere il Wookiee Bale.

In questo senso, “Rush” (2013) era un film più riuscito, forse perché Ron Howard è uno che ha messo su una carriera basata sul fatto che le case di produzione sanno benissimo che lui il film lo porterà a destinazione, senza rompere tanto le balle. La sua sfida tra Hunt e Lauda risultava più avvincente perché la storia scritta da Peter Morgan era più solida e Ron Howard, della Formula uno non interessava un accidente, infatti in “Rush” si vedevano bene le cose che potrei guardare io durante un gran premio: la partenza, l’arrivo e gli schianti della automobili.

Mangold, al netto di una trama ancora più convenzionale di quella di “Rush”, non sporca il foglio più di tanto, forse più interessato a portare avanti la sua idea di cinema che il film stesso, lodevole in prospettiva futura, se mai il nostro Giacomo diventerà un autore con la “A” maiuscola, ma per ora, un po’ pochino.

«Ciao, sono quella bella Caitriona di Caitriona Balfe. Nel film non faccio molto ma Cassidy ci teneva molto ad avermi qui»

Ecco, forse il mio gradimento del film sta tutto qui, sarà che sono un po’ un deviante a mia volta, ma al cinema mi piace vedere le storie dei personaggi che sfidano l’autorità, costi quel che costi. Allo stesso modo trovo più ammirevoli quei registi disallineati al sistema, ma fedeli ai loro principi cinematografici a cui chiaramente Mangold s’ispira, ma a cui manca ancora qualcosa per raggiungere, figuriamoci superare. Anche perché prima o poi Michael Mann arriverà con il suo film su Enzo Ferrari, no? Ecco, allora forse sarà chiara cosa manca ancora a Mangold per essere un campione, uno di quelli di pura razza.

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