Tra i grandi Maestri della New Hollywood del Horror, Tobe
Hooper è sempre quello più controverso, che faccia parte di quel ristretto club
di grandi nomi che hanno fatto fare un salto quantico al genere è un dato di
fatto, ma mi capita spesso di parlare con tanti appassionati che considerano
Hooper figlio di un Dio minore, almeno per tutto quello che ha diretto ad Ovest del Texas.
Per me le chiacchiere stanno a zero, eppure credo che le
discussioni su Hooper andranno avanti ancora a lungo, perché il buon Tobe non è stato ancora
oggetto della rivalutazione che merita (anche se io ho provato a contribuire nel mio piccolo), eppure sempre sulla base
della mia esperienza, c’è un titolo che pare mettere tutti d’accordo, quello
che ogni volta che viene nominato provoca luccichio negli occhi e sorrisoni, mi
riferisco ovviamente al film di oggi, “Le notti di Salem”.
L’ho rivisto da poco senza sapere che a stretto giro, sarà
oggetto di un nuovo adattamento firmato da James Wan nei panni di produttore,
quindi l’occasione è ottima per scrivere di questa miniserie televisiva che è
stato uno dei primi romanzi di Stephen King a trovare nuova vita fuori dalle
pagine stampate, anche perché parliamo del secondo romanzo dello scrittore del
Maine, uno di quelli che vengono citati sempre troppo poco ma che ha un
indubbio valore, anche solo per una ragione banalissima: mette addosso una
notevole strizza.
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Non ascoltarli Tobe, questa Bara ti vuole bene. |
“Le notti di Salem” adattamento italiano dell’originale “Salem’s
Lot” rappresenta l’idea di King di romanzo Gotico, un modo per portare il mito
di Dracula nel suo Maine, scommessa ardita ma vincente al netto del risultato,
anche se bisogna dirlo, non riesco a pensare a niente di più anti
cinematografico di “Salem’s Lot”, un romanzo che ha diverse scene madri, tutte
in grado di farvi aggrappare al libro leggendo con gli occhi sgranati e il culo
strettissimo. Si può dire culo strettissimo sulla Bara Volante? Vabbè è il mio
blog posso dire quello che mi pare e poi è un’espressione che rende bene l’idea
di come si legge “Le notti di Salem”.
Parliamo di un romanzo dove non succede nulla, ma quel nulla
mette una paura fottuta, le suddette scene madri sono di una staticità del
tutto anti cinematografica, gli operai che consegnano la grande cassa e devono
spingersi nel buio della cantina di casa Marsten per prendere i lucchetti
lasciati sul tavolo, oppure ancora peggio (in termini di fifa), la frase
simbolo del libro per me resta l’efficacissima «L’inferno è una porta
socchiusa», come fai a rendere paurosa una porta socchiusa? Facile, lo fai
scrivere al King dei tempi d’oro e poi buona pelle d’oca a tutti.
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Il problema vero è quello che sta oltre la porta socchiusa. |
Capite che rendere sul grande schermo un libro del genere e
la sua atmosfera non è per niente facile, ci hanno provato in tanti, il primo
candidato anche George A. Romero, grande amico di King ma anche il regista che
prima di dirigere un adattamento Kinghiano,
ha lavorato a tantissimi soggetti, tutti spesso scartati dai produttori (storia
vera). Altri a provarci sono stati il produttore Stirling Silliphant,
lo sceneggiatore Robert Getchell e il regista e scrittore Larry Cohen, respinti
con perdite dallo stesso King che ha considerato poca roba la loro versione,
anche se Cohen è in qualche modo rimasto a bordo, basta dire che è stato
proprio lui a dirigere il seguito del film nel 1987, “I vampiri di Salem’s Lot”,
rititolato per la tv “Il ritorno delle streghe di Salem”.
Abbandonata l’idea di farne un film per la Warner Bros. il
produttore Richard Kobritz decise che forse la televisione poteva essere la
via, così è stato, la mossa vincente è stata affidare l’adattamento a Paul
Monash, forte della sua esperienza con “Peyton Place” (d’altra parte “Salem’s
Lot” non è un po’ “Peyton Place” incontra Dracula, tutto in salsa Gotica?), una
versione che piacque moltissimo a Stephen King e che venne affidata dal
produttore alla regia di Hooper, dopo aver visto Non aprite quella porta, il che ha senso visto che nel capolavoro
del regista Texano, la violenza è più percepita che davvero mostrata e l’atmosfera
malsana a farla da padrona.
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«Preferivo di gran lunga dare la caccia ai criminali con Starsky!» |
In uno strambo Paese a forma di scarpa, il film per la
televisione di Hooper ha vissuto mille vite, la versione integrale della miniserie
dura 184 minuti ed uscì qui da noi anche con il titolo di “Gli ultimi giorni di
Salem”, ma esiste anche una versione cinematografica accorciata di 112 minuti
(che io ricordo di aver visto almeno una volta anche in tv, chissà che qualche
Barista non ne conservi memoria), in attesa di un Blu-Ray che non arriverà mai,
intanto mi tengo stretto il vecchio DVD, anche se per me “Le notti di Salem”
sarà eternamente il film da seconda serata sulle reti private, dove lo vidi la
prima volta quando venne a bussare alla finestra della mia stanza, o al vetro
della tv di casa, fate voi.
“Le notti di Salem” è in parti uguale lungaggini e belle
trovate azzeccate, un mucchio di attori di talento più variegato del gelato all’amarena,
in cui spuntano il tutto fare Geoffrey Lewis e i due protagonisti, lo scrittore
Ben Mears interpretato dal biondo David “Hutch” Soul e Susan Norton,
una delle migliori prove di Bonnie Bedelia prima di impelagarsi con il matrimonio con John McClane.
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«Non ci sono grattacieli qui nel Maine, vero?» |
La storia è quella dello scrittore che arriva nella
cittadina del Maine Jerusalem’s Lot, ribattezzata dai locali Salem’s Lot per
poter lavorare al suo libro, ma nemmeno il tempo di toccare terra, il nostro
mette gli occhi su casa Marsten, decadente abitazione signorile che domina la
cittadina dall’alto della sua collina che senza saperlo, ha in qualche modo
messo a sua volta gli occhi sul nuovo arrivato.
La casa è già stata affittata dal misterioso Kurt Barlow (Reggie
Nalder), proprietario di un negozio d’antiquariato che però nessuno pare aver
mai visto, considerando che tutti trattano con il suo socio, Richard Straker (James
Mason). La trama si complica con l’arrivo a casa Marsten di un’enorme cassa – in
una scena che non allaccia nemmeno le scarpe a quella del romanzo – ma soprattutto
quando cominciano le sparizioni e le apparizioni, qualcuno muore, qualcuno
ritorna e molti, svolazzano davanti alle finestre chiedendo il permesso di
entrare, perché ammettiamolo, zio Stevie aveva fatto i compiti e questo romanzo
rispetta molte delle regole classiche che la letteratura ha imposto sui
vampiri, ma forse sono state le differenze ad aver fatto la fortuna dell’adattamento
di Tobe Hooper.
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«Sono il Conte Dracula, minchia!» (cit.) |
Nel romanzo Barlow è la versione Kinghiana di Dracula, nella
sua eccezione più classica per altro, difficile non pensare a Bela Lugosi anche leggendo, la prima di
tante intuizioni azzeccate è stata quella di riportare il vampiro un passo
indietro, alle sue origini teutoniche, l’iconico succhia sangue di “Le notti di
Salem” di fatto è un enorme omaggio a Nosferatu,
che ha saputo imprimersi nella cultura popolare, marchiato a fuoco nell’immaginario
del pubblico, basta dire che ancora oggi capita spessissimo di incontrare
vampiri ispirati a quello di Hooper anche nei film horror contemporanei.
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Un bel sorriso per le lettrici e i lettori della Bara. |
Iniziamo dai difetti? Da lettore le scene che mi hanno fatto
affondare le dita nella copertina flessibile della mia copia tascabile del
libro, nel film sono una pallida imitazione, la già citata consegna della cassa,
oppure altri momenti statici e anti cinematografici che su carta King sapeva
rendere terrorizzanti, nel film sembrano scene di raccordo generiche, le
percepiamo come passaggi chiave solo forti della nostra esperienza di lettori,
ma per fortuna Tobe Hooper fa dell’atmosfera un punto di forza anche di questo film televisivo diventato di culto.
Le musiche efficaci di Harry Sukman fanno il loro dovere, al
resto ci pensa Hooper capace di farci calare nell’aria pesante di Salem’s Lot
perché ammettiamolo, quando si tratta di portare in scena il malsano, il
vecchio Tobe sapeva il fatto suo, non è un caso se le apparizioni dei vampiri
facciano ancora la loro porca figura.
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«Posso salire a bordo della Bara?», «No, sparisci e non lasciarmi le ditate sul vetro» |
Geoffrey Lewis sconvolto dopo la sua visione, oppure lo
scontro tra fedi tra il vampiro e Padre Callahan (James Gallery) un momento
iconico nella miniserie e nel libro, per certi versi forse più su carta, perché
se come me siete appassionati del ciclo Kinghiano della “Torre Nera”, sapete
quanto sia importante Padre Callahan nell’universo espanso composto dai romanzi
dello scrittore del Maine, giusto per restare in tema di prodotti Kinghiani che
non verranno mai adattati come si deve per il grande schermo.
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Didascalia dedicata ai lettori della “Torre Nera” (tutti e dodici) |
Anche se la scena madre del film resta l’apparizione alla
finestra della camera di Mark Petrie (Lance Kerwin) il ragazzino che di fatto
rappresentava un po’ noi spettatori, quando da piccoli guardavamo “Le notti di
Salem” nelle repliche televisive, anche perché con i suoi modellini ispirati ai
mostri classici e la cameretta piena di poster di film horror, di fatto
rappresentava noi spettatori solo con un ruolo (per altro chiave) all’interno
della storia, forse anche per quel motivo la sua visita notturna si è guadagnata
un posto nella memoria collettiva, contribuendo alla buona fama di questa
miniserie, roba rara per la filmografia di Hooper questo livello di benevolenza
generale, ci tengo a ribadirlo.
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La cameretta dei sogni di ogni piccolo fanatico di horror. |
Pur tradendo il materiale originale, Tobe Hooper ha saputo
cogliere il male nell’aria nella cittadina creata da King, il risultato è
ancora oggi molto amato ed efficace, malgrado alcune lungaggini e i segni di
Padre Tempo, che non sono stati certo caritatevoli con la miniserie di Hooper,
che però ha il cuore dal lato giusto e per certi versi, rappresenta ancora uno
dei migliori adattamenti Kinghiani in circolazione, basta fare il paragone
diretto con gli altri che hanno tentato l’impresa.
Nel 2004 il romanzo di King ha avuto un altro adattamento
televisivo, intitolato “Salem’s Lot” diretto da Mikael Salomon, con
protagonisti Rob Lowe, Donald Sutherland e il grande Rutger Hauer, non ve lo
ricordate? Oppure meglio, ora che ve l’ho citato vi pare di ricordare il
mitico Rutger in una parte del genere? Bene perché sono solo i nomi degli
attori coinvolti a dare prestigio ad un adattamento tedioso e molto più che
dimenticabile, tutto questo per ribadire che forse Tobe Hooper, meriterebbe ben
più considerazione (anche senza forse, la merita e basta) e per fare tanti cari
auguri al produttore della nuova versione: James Wan la palla è nel tuo campo, adesso
tocca a te.