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Leprechaun: tutta la saga (prendi otto paghi uno)

Lo dico sempre, ci sono davvero poche feste che gradisco per davvero, una di queste per via della mia leggera fissazione con l’Irlanda è San Patrizio, quindi oggi lo festeggiamo in stile Bara Volante: dobbiamo affrontare Leprechaun.

Ci sono mostri e mostriciattoli nel cinema horror, che campano per anni vivacchiando sulla passione degli appassionati, ad Ovest dei grandi nomi come Freddy e Jason, ci sono i Pumpkinhead e i Critters di questo mondo, orrori di un culto non dico sommerso ma quasi, di cui fa parte anche la saga di “Leprechaun”.

Leprechaun (1993)

Mark Jones è uno sceneggiatore con una lunga gavetta nei telefilm, non è dato sapere quante Guinness aveva bevuto il giorno in cui gli è venuto in mente di scrivere e dirigere un horror con un leprecano al posto del vostro classico assassino da Slasher, la sua enorme fortuna però è stata quella di aver affidato questo stereotipo del folklore Irlandese ad un attore piccolo d’altezza (poco più di un metro) ma grande come Warwick Davis, uno che ha esordito nei panni di un Ewoks in Il ritorno dello Jedi per diventare l’assoluto protagonista di “Willow” (1988), primo attore affetto da nanismo a conquistarsi il ruolo principale in un film ad alto budget, qui ci starebbe una citazione a Neil Armstrong, ma non vorrei risultare irrispettoso.

Quel mito di Warwick Davis (no, il Ciak non è in scala)

Per chi non fosse in fissa con tutto quello che fa Irlanda come il vostro amichevole Cassidy di quartiere, sappiate che i Leprecani sono folletti di norma rappresentanti come piccoli ometti vestiti di verde, con i capelli rossi (come il 60% degli Irlandesi), con piccole scarpette e in fissa con la loro pentola d’oro, portare via le moneta ad un Leprecano è il modo migliore per attirarsi la sua ira.

«Pronti o no, ormai è San Patrizio e vi getterò giù dal precipizio!»

Più o meno quello che succede in “Leprechaun”, proprio il protagonista diversamente alto lo dice in rima nel prologo del film: «Tutti lo cercano per mare e per terra, ma chi ruba il mio oro finirà sottoterra!». Il primo a tentare l’impresa di accaparrarsi i soldi facili è il vecchio Dan O’Grady, emigrato negli Stati Uniti dalla vecchia Irlanda, finirà a combattere per la sua vita, al costo di un ictus e della vita di sua moglie, O’Grady riuscirà ad inchiodare l’avido folletto in una cassa con sopra un quadrifoglio, l’unico totem in grado di arginare il mostriciattolo.

“Leprechaun” rientra negli horror che cominciano con un trasloco, infatti dieci anni dopo ad affittare la casa di O’Grady per le vacanze estive ci pensano papà Redding e sua figlia Tory, interpretata dall’unica attrice minimamente famosa (presso il grande pubblico) che sia mai comparsa in tutta la saga di “Leprechaun”, mi riferisco a Jennifer Aniston, anche lei tenuta a battesimo da un horror tra i primi titoli della sua filmografia, Leonardo DiCaprio ha avuto i Critters, George Clooney i pomodori assassini e la Aniston il Leprecano.

Jennifer Aniston scopre i vantaggi della vita di campagna.

Tory è la classica ragazza odiosa di città, nel 1993 non esisteva il wi-fi quindi al massimo la sentiamo lamentarsi della polvere e degli insetti, ma il concetto è lo stesso, perché in questo senso Jennifer Aniston è perfettamente azzeccata, d’altra parte ha coperto il ruolo della snob per una vita no? A convincerla a restare sono i bicipiti del “bello figheiro” di turno addetto alla manutenzione del giardino, ma i personaggi più coloriti restano la coppia comica composta da Alex, un ragazzino di dieci anni e Ozzie (Mark Holton), grande grosso e un po’ lento di testa, un po’ il tuttofare del paesello di provincia.

Il pestifero Leprecano colpisce con trovate che stanno tra il comico e il moderatamente horror, si perché stiamo parlando di uno slasherino con uno stereotipo Irlandese come cattivo, per di più degli anni ’90, quindi scordatevi di vedere Jennifer Aniston pagare il prezzo delle giovani attrici degli horror (traduzione: niente scene di nudo), ma se può consolarvi anche il sangue tende abbastanza a latitare, in compenso Warwick Davis è uno spettacolo.

Il primo a divertirsi a snocciolare frasi perennemente in rima nemmeno fosse uno degli House of pain, le sue apparizioni sostengono un film dalla regia molto (tanto) televisiva, in cui Jennifer Aniston è ben poco credibile anche come abbozzo di “Final girl”, nell’unica scena in cui le mettono in braccio un fucile a pompa, sembra la principessa del Galles che si è ritrovata tra le mani uno scopettone per spazzare il pavimento, e vaga cercando qualcuno a cui sbolognarlo.

Sembra che sia il fucile a portate in giro lei.

Non è un caso se a risolvere la situazione sia Ozzie, l’uomo-bambino forse quello più pronto ad abbracciare la stranezza, che con un colpo di quadrifoglio rispedisce il “Leprechaun” dritto nel pozzo. In compenso se volete saperlo questo film è perfetto per un gioco alcolico di San Patrizio: ogni volta che nel film qualcuno usa la parola “Leprechaun” si beve. Sarete sbronzi come Irlandesi il 17 marzo entro fine primo tempo.

“Leprechaun 2” (1994)

Il primo film incassa abbastanza, forse complice l’effetto sorpresa legato ad un soggetto così matto deve aver sortito il suo effetto, prima che a tutti passi la sbronza, Mark Jones scrive di getto un secondo film e la regia passa a Rodman Flender, regista con lo stesso curriculum di Jones, solo appena più raffinato, anche se la trama questa volta è di una stupidità abissale, cioè ancora più scema del primo film.

«Amo difendere il mio patrimonio, ma oggi celebreremo un bel matrimonio»

Un prologo in Irlanda ci racconta di come il nostro Leprecano questa volta voglia trovarsi una sposa, la discendente del solito poveretto che ha tentato di rubare la pentola piena d’oro. La promessa sposa, cento anni dopo vive a Los Angeles ed è fidanzata con uno sfigatello che organizza visite alle ville degli attori defunti nella città delle stelle, tra i polli che decidono di farsi spennare con questo giretto compare anche il faccione di Clint Howard e della segretaria svampita di Twin Peaks, giusto per ricordarci che questo è stato l’ultimo film della saga di Leprechaun ad uscire al cinema, prima di finire dell’abisso del direct-to-video.

“Leprechaun 2” si gioca metà degli omicidi fuori campo, come il ragazzo triturato dalle lame di un tosaerba, di cui noi spettatori ci meritiamo di vedere giusto l’ombra, tutto quello che ho da segnalarvi è la gara di bevute al Pub tra il Leprecano e l’ubriacone Morty, un momento goliardico in un film che risulta palloso e dimenticabile anche quando il pestifero mostriciattolo evoca con i suoi poteri uno scheletro, se nemmeno il momento alla Ray Harryhausen può risollevare un film dall’oblio della noia, allora niente può farlo.

Pesi massimi dell’alcolismo (don’t try this at home)

“Leprechaun 3” (1995)

Diretto da Brian Trenchard-Smith su soggetto del solito Mark Jones, il terzo film della saga di “Leprechaun” è il primo ad uscire per il mercato dell’home video e questo spiega come mai, grazie al potere di esaudire i desideri del mostriciattolo Irlandese, da un televisore ad uno dei personaggi spunta una popputa spogliarellista, che è anche uno dei pochi momenti interessanti del film.

“Elvis Finger” a pioggia, come se non ci fosse un domani.

Nella lunga sfilza di film di questa saga, questo non potete mancarlo perché è l’unico ambientato a Las Vegas, la città del peccato dove vivono Tammy (la bellissima Lee Armstrong, che purtroppo dopo questo film non ha mai più recitato, anche perché dopo un titolo così chi ti farà mai recitare altrove?) e Scott (John Gatins), anche se metà della vicenda ruota attorno ad uno dei tanti Casinò della città.

Lee Armstrong resta la parte migliore del film.

Quindi tra il laido gestore del casinò, un aspirante mago che finirà segato a metà dal Leprecano (ma senza trucchi magici), trova un piccolo spazio anche Loretta, interpretata dall’indimenticata Caroline Williams di Non aprite quella porta – Parte 2 e in quanto tale, malgrado la parrucca e le finte poppe finte scese, diventa chiarissimo che entro la fine del film la Williams esprimerà il desiderio di tornare una strappona, come puntualmente accede prima che il Leprecano la punisca per eccesso di egocentrismo.

Sorvolo su tutta la parte del medaglione, un deus ex machina narrativo introdotto ad inizio film, che torna solo nel finale e salva i protagonisti che in teoria non ne hanno mai sentito parlare, ma sanno benissimo come utilizzarlo per distruggere il Leprecano, salvando anche Scott dalla sua trasformazione in folletto, si perché questo è l’unico capitolo della saga in cui scopriamo che un morso di un Leprecano può trasformarti in uno di loro. Ma non erano i Vampiri quelli che facevano così? Meglio non farsi domande.

Tutti migliora con una motosega (anche i numeri di magia)

Leprechaun 4 – Nello spazio (1997)

Dopo lo scempio del terzo capitolo, Brian Trenchard-Smith torna a completare l’opera e questa volta come si può intuire dal titolo, si va tutti nello spazio, perché ormai la Guinness in corpo ha superato per litri il sangue e gli effetti sono questi.

Effetti collaterale di un tasso alcolico fuori controllo.

Il Leprecano è alle prese con una non ben precisata principessa spaziale, vestita come una Cosplayer spiantata di Leila in Il ritorno dello Jedi (forse un omaggio agli esordi di Warwick Davis? Chi lo sa). A salvare la ragazza viene mandato un gruppo di Colonial Marines ancora più pezzenti, vi prego non chiedetemi di aggiungere altro, perché tanto “Leprechaun 4 – Nello spazio” è tutto così, citazioni a casaccio di film famosi, utilizzate male e applicata ad un senso dell’umorismo che definire grossolano sarebbe riduttivo.

«Siete potenti?», «Abbastanza», «Siete fetenti?», «Nella media», «Chi siete?», «Marines da discount!»

Basta dire che compare anche uno scienziato pazzo che entro la fine del film si trasformerà in una versione aracnide di Sethbrundle. Sulla carta sarebbe anche tutto bello e divertente, se non fosse gestito da degli incapaci con il senso dell’umorismo orientato sul livello: buzzurro Yankee con tasso alcolico fuori scala. L’unico modo per questa saga di essere ancora più scema era di passare dalle birre Irlandesi alle droghe leggere, che poi è quello che succede con i prossimi due capitoli, talmente scarsi che si meritano il minimo sindacale di parole.

Non so voi, ma io Yoda lo ricordavo un po’ diverso.

Leprechaun 5 (2000)

Anche noto con il titolo originale di “Leprechaun: In the Hood”, il film di Rob Spera è l’occasione per vedere il Leprecano alle prese con Ice-T e con il bong con cui stonarsi, una roba che per essere apprezzato probabilmente richiede di aver fumato almeno quanto i protagonisti, ma la diffusione dell’erba nel mondo forse spiega l’esistenza del capitolo successivo.

Le droghe leggere non hanno effetti dannosi a lungo termine eh?

Leprechaun 6 – Ritorno nel ghetto (2003)

Fatemi riassumere così: uguale al capitolo precedente, solo che questa volta persino Ice-T si è vergognato a prendere parte all’operazione. Ma se questo vi sembra troppo, grattiamo il fondo del barile.

Leprechaun – Origins (2014)

Nemmeno il pestifero Leprecano può scappare dalla maledizione del “reboot”, che in questo caso ha la pretesa di essere anche un “prequel”, giusto per farci davvero male. A produrre è la WWE, questo spiega forse perché nei panni del Leprecano questa volta troviamo il Wrestler affetto da nanismo Dylan Postl. Sarebbe lecito pensare che la WWE abbia sfruttato il film per fare un po’ di pubblicità al suo lottatore, come fatto con Kane per “Il collezionista di occhi” (2006) e il suo pallosissimo seguito, ma non è così.

«Lascia sHare la mia lingHa, bashhhtardo!»

No, “Leprechaun – Origins” rientra nella categoria degli horror in cui gli Yankee ci tengono a ricordare al mondo quando ogni luogo della terra, fuori dai confini degli Stati Uniti di Yankleelandia, sia pazzo, folle e incivile, anche in Irlanda il solito gruppetto di giovinastri americani (tra cui Brendan Fletcher, uno dei preferiti di Uwe Boll), si ritrovano massacrati da un Leprecano che non è più un nanetto vestito da folletto, ma un generico mostro percepito anche di altezza media, quindi mi chiedo: perché farlo interpretare ad Wrestler nano come Dylan Postl? Misteri della WWE, in ogni caso il film è il più moscio degli horror con generico mostro con vista termica alla Predator, roba da rivalutare immediatamente il capitolo spaziale. Quelli nel ghetto no, quelli proprio non posso farcela a rivalutarli.

Leprechaun Returns (2018)

Avete presente la moda recente di lanciare seguiti diretti, pronti ad ignorare i seguiti meno riusciti di una saga? Anche il Leprecano ha avuto la sua parte, infatti “Leprechaun Returns” comincia con il mostrino che cade giù nel pozzo da cui riuscirà ad emergere solo 25 anni dopo, perché questo film è un seguito diretto del “Leprechaun” del 1993 e insieme al capostipite, anche l’unico che mi sento di consigliarvi, perché dalla sua parte ha un’arma segreta: la regia di Steve Kostanski!

«Kostanski è il suo nome e se non fai la rima sei un… mattone»

Proprio lo Steve Kostanski degli Astron-6, il regista di quella figata di “Manborg” (2010) e di “The Void”, insomma uno con il cuore dal lato giusto cha ama il cinema di genere con cui siamo cresciuti, infatti il suo “Returns” è un omaggio al film originale, ma anche il capitolo più spigliato di tutta la saga.

La figlia di Jennifer Aniston (che ovviamente non compare, perché questa saga non la toccherebbe più nemmeno con un bastone appuntito) si chiama Lila ed è interpretata dall’azzeccata Taylor Spreitler. Una studentessa che torna sul luogo del delitto materno e non a caso, ritrova Ozzie (nuovamente interpretato da Mark Holton) che la accompagna alla vecchia casa dove la madre passò l’estate, ed ora è la sede di una confraternita di studentesse impegnate a ricollegare le tubature al pozzo tentando di sistemare pannelli solari, per la loro ricerca sulle piante da utilizzare come tesi di laurea.

Ozzie non è invecchiato per niente, cioè, più o meno.

Anche se è evidente che si tratta di una scusa per mettere nel film alcune ventenni o giù di lì, più o meno in shorts, più o meno simpatiche a seconda dell’archetipo che incarnano: la secchiona, la festaiola, la tipa nera e così via. Sterotipi che se non altro dialogano con battute riuscite, la stessa Lila a suo modo è molto tenera, avendo passato al vita a occuparsi di una madre malata e paranoica, che sosteneva di essere stata perseguitata da un Leprecano, alla nostra protagonista mancano un po’ di chilometri di vita vissuta, quindi la purezza tipica della “Final girl” tutto sommato è giustificata, al resto ci pensa Steve Kostanski, che non solo migliora (di molto!) il trucco sul volto del Leprecano, ma ci regala ammazzamenti variopinti e finalmente grondanti sangue, quello con i pannelli solari ad esempio è fantastico!

Selfie con Leprecano, non so quale sia il più mostruoso tra i due.

Purtroppo il Leprecano qui non è interpretato da Warwick Davis, perché nel frattempo l’attore è diventato papà e ha ritenuto che recitare nei film horror non fosse una scelta da bravo padre (non aggiungo niente per stima nei confronti di Davis), quindi qui è stato sostituito dall’azzeccato, Linden Porco, che è anche quello che hanno fatto i fan storici della saga quando hanno sentito dell’assenza di Davis: hanno tirato un porco.

“Leprechaun Returns” non cambia molto della formula, ma migliora le battute, si gioca un’insperata citazione riuscitissima a L’armata delle tenebre e in generale, porta alla storia tutto il divertimento davvero simpatico che in sette film è mancato, ad esempio la reazione del Leprecano da sempre in fissa con le scarpe, davanti ad un paio di inguardabili Crocs è davvero uno spasso.

Potrebbe essere uno dei pochi seguiti nato per ignorare i capitoli meno riusciti, quasi riuscito.

Certo la sensazione generale è che Steve Kostanski abbia fatto un po’ il compitino, ma pur con le marce basse uno come lui, ha saputo svettare mille metri sopra tutti gli altri capitoli della saga, inoltre non mi preoccupo molti, Kostanski ha dimostrato di avere ancora tanta benzina nel serbatoio con PG – Psycho Goreman, quindi va bene così, tutta roba che fa curriculum Stevie.

Insomma, direi che per questo San Patrizio sapete che cosa fare, in alto le pinte e auguri a tutti, se per caso doveste vedere un Leprecano, ricordatevi di lasciar perdere il suo oro!

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