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L’erba del vicino (1989): rapporti di (non tanto) buon vicinato

Quando Sam Simon ha proposto di festeggiare i 65 anni di Tom
Hanks, ero già pronto a gettarmi su un classico come un “Forrest Gump” (1994)
qualunque. Infatti, cos’ho fatto? Sono andato a rivedermi questo sottovalutato
e da troppi dimenticato gioiellino diretto da Joe Dante. Scusami Forrest.

Badate bene, tutto il periodo in cui Tommaso Matassa aveva
una poltroncina prenotata alla notte degli Oscar è stato incredibile, ci sono
alcuni grandi film di cui mi piacerebbe prima o poi scrivere che arrivano da
quel momento d’oro della carriera di Tom Hanks, però ogni volta che posso, io
cerco di portare “Mighty Joe” Dante su questa Bara e l’occasione qui era ghiottissima.

Avete mai avuto dei vicini di merda? Non intendo un po’
fastidiosi, quelli che magari ogni tanto spostano una sedia ad orari poco
consoni, intendo proprio dei vicini di casa di merda. Purtroppo io sì, per la
bellezza di sette anni, quindi in questo periodo non ho avuto la forza di
andarmi a rivedere tutti quei film di buon (buon?) vicinato che Tom Hanks
nella sua filmografia ha esplorato, come lo spassoso Casa, dolce casa? Anche se quello era più dedicato ad un altro tipo
di incubo degno di un horror: il trasloco in una nuova casa. Qui siamo in zona vicini sospettosi e horror, una sorta di “Ammazzavampiri” (1985) con molta più satira.

L’ultima casa a sinistra, quella con i nuovi vicini strambi.

“L’erba del vicino”, adattamento italiano del quasi
intraducibile “The ‘Burbs” (diminutivo di “suburbs” i sobborghi delle ville a
schiera con giardino 100% yankee dov’è ambientato tutto il film), è stato un
film sfortunato e maltrattato. Joe Dante, esploso con il successo planetario di
Gremlins, ha mandato a segno una
serie di titoli davvero di culto, uno migliore dell’altro, tutti uniti dal filo
rosso della tragedia al botteghino: “Explorers” (1985) ci ha fatto sognare le
stelle, ma ha portato a casa un pugno di mosche, l’antologico “Donne amazzoni
sulla Luna” (1987) è un culto credo solo per me e per pochi altri folli. “Salto
nel buio” (1987) resta il più bel rifacimento di sempre di “Viaggio
allucinante” (1966) e trovo assurdo che non sia considerato un classico.
“The ‘Burbs” non andò certo meglio al botteghino, anzi finì per beccarsi alcune
tra le peggiori recensioni del 1989, una delle ragioni per cui Dante tornò ai
suoi pestiferi mostriciattoli, carico a molla e più anarchico che mai, Gremlins 2 – La nuova stirpe ancora oggi
divide, ma il mio parere lo conoscete molto bene, dove critica e pubblico
vedeva disastri, io riesco solo a trovare grandi film di “Mighty Joe”, nel
mazzo metteteci anche “L’erba del vicino”, che meriterebbe se non proprio una
rivalutazione, almeno una riscoperta.

Mighty Joe se la spassa dirige il suo cast.

“The ‘Burbs” è stato girato nel 1988, nel pieno del primo
rumoroso (e clamoroso) sciopero degli sceneggiatori di Hollywood. Dana Olsen,
l’autore del copione nel film, come da abitudine per Joe Dante, compare in un
piccolo ruolo nei panni del poliziotto, ma sul set gli era vietato modificare
anche una sola riga della sua sceneggiatura, pena l’espulsione immediata dal
sindacato sceneggiatori, in cui è parecchio complicato entrare, ma
molto semplice uscire. Per ovviare a questo problema, Joe Dante sul set ha
chiesto ai suoi attori di improvvisare il più possibile, i risultati sono
alterni, spesso “L’erba del vicino” manda a segno momenti incredibilmente
divertenti alternati ad altri piuttosto anonimi, tra i più riusciti il
salto disperato di Tom Hanks sul retro dell’ambulanza (come un adolescente in
lacrime che corre a chiudersi in camera sua) che vediamo nel finale, oppure il
tentativo di capire l’arte di Bruce Dern che ruota e capovolge il quadro del
dottor Klopek, per cercare di coglierne il senso (storia vera).

Quando ti fai leggermente prendere la mano dall’improvvisazione.

“L’erba del vicino” è principalmente una commedia, con
vistose pennellate di umorismo nero e qualche punta quasi horror, una variante
sul tema “La finestra sul cortile” (1954) di Alfred Hitchcock virata in chiave
molto più satirica, per certi versi il padre nobile di film come Summer of ’84 e tutto un particolare tipo di
umorismo in stile “I Griffin”, ma sul celebre cartone animato creato da Seth
MacFarlane lasciatemi l’icona aperta, più avanti ci torneremo.

Il film prodotto dalla Universal Picture inizia proprio da
qui, dal logo della celebre compagnia di produzione, Joe Dante con
un’inquadratura a volo d’uccello fa un lungo zoom che parte dal globo in
rotazione della Universal per soffermarsi sugli Stati Uniti, anzi su una
cittadina a caso della provincia americana, alcune targhe delle automobili
aiutano ad identificarla più o meno fuori Chicago, ma questo non è tanto
importante i “The ‘Burbs” del titolo sono talmente generici da rappresentare un
piccolo ecosistema chiuso che ruota intorno ad una strada, alcune villette a
schiera e una piccola comunità di vicini che Dante idealmente posiziona sopra
una piastrina di Petri per studiarli come farebbe un entomologo, oppure l’occhio
dell’Onnipotente per i più timorati tra di voi. Non è un caso se proprio gli
zoom siano una delle armi più usate da Dante per raccontarci questa storia e
per entrare nelle vite dei personaggi.

Benvenuti sul vetrino del microscopio del dottor Dante.

La più brillante delle scelte di casting è senza ombra di
dubbio aver affidato il ruolo del protagonista (il nevrotico Ray Peterson) a
quel Tom Hanks che nel corso del tempo ci siamo abituati a considerare il
Mister “Bravo ragazzo” della porta accanto, ma che all’inizio della carriera
era il campione del mondo delle commedie scemone e disimpegnate, un lungo filone
che trova nel film successivo di Hanks, Turner e il casinaro, il mio preferito.

Tom Hanks aveva qualche dubbio ad accettare questo ruolo,
non tanto per dover recitare la parte di quello sposato con Carrie Fisher
(sempre sia lodata!), quanto più che altro perché per lui sarebbe stato il
primo ruolo da papà sul grande schermo, anche se il figlio di Ray Peterson ha
meno rilevanza ai fini narrativi del cane di famiglia. Tommaso temeva che una
volta fatto il passo, non avrebbe mai più potuto tornare indietro ai ruoli di
eterno ragazzino che lo hanno reso famoso, di fatto così è stato, ma il primo
passo verso i ruoli alla “Salvate l’Apollo 13 da Forrest Gump” che gli sono
valsi Oscar e l’etichetta di bravo ragazzo americano, sono arrivati anche
perché il primo passo ad Hanks è stato quel futurista di Joe Dante a farglielo
fare.

Basta poco per iniziare male la giornata.

Ray Peterson ha davanti a sé la più agognata settimana
dell’anno per ogni uomo: quella di ferie dal lavoro. Il suo fitto programma prevede
stare in vestaglia tutto il giorno, bere birra, concedersi il lusso di essere
pigro, ma soprattutto, impegnarsi al 100% nel suo passatempo preferito: spiare i
vicini di casa, un’attività da guardone che per Ray è quasi un’ossessione,
malgrado i suoi tentativi di minimizzare. Sua moglie Carol (Carrie Fisher)
vorrebbe andare nella casa sul lago a rilassarsi, ma Ray non ne vuole sapere,
molto più interessante seguire le deambulazioni della cagnetta del signor
Walter, Queeny, che ogni mattina va a sganciare un regalino sul prato di casa
di quel fanatico militare di Mark Rumsfield (i dentoni di Bruce Dern) con la
sua moglie trofeo, quella specie di Barbie poco vestita di Bonnie (Wendy
Schaal). Nulla mi toglie dalla testa che la scelta del cognome Rumsfield, sia
stata una satirica strizzata d’occhio al famigerato segretario della difesa
Donald, invece sono certo del fatto che la cagnetta Queeney sia la stessa che in Il silenzio degli innocenti finirà ad
interpretare il ruolo di Precious (storia vera). Ho visto attori bipedi con
curriculum ben peggiori di quella cagnolina in vita mia!

“Cassidy parla ancora dei miei dentoni e giuro che li userò per morderti!”

Gli altri coloriti membri della minuscola comunità sono
l’amico di Ray, il perennemente affamato Art Weingartner (Rick Ducommun) e a
completare questo cast che per essere più anni ’80 di così avrebbe bisogno
solo della presenza dell’alieno di Ciribiribi (… Kodak!), ci pensa Corey
Feldman, tenuto a battesimo da bambino proprio da Dante in Gremlins, qui torna in un ruolo da adolescente metallaro caciarone
che non ha richiesto nemmeno troppe ore al reparto costumi, Feldman si presentò
al provino arrivando di corsa dal set del suo film precedente, “Licenzia di
guidare” (1988) provocando l’entusiasmo di “Mighty Joe” che lo prese al volo
per il ruolo (storia vera).

Gli anni ’80, riassunti in un solo casting.

Non credo che sia un caso se l’anno dopo, Tim Burton con il
suo “Edward mani di forbice”, sia finito a raccontarci la storia di una piccola
e ipocrita comunità estremamente colorata, sconvolta dall’arrivo di un
malinconico, sinistro e nero vestito figuro con forbici al posto delle dita.
Per la poetica di Burton (allora ancora artisticamente vivo) i mostri, i suoi
amati “Freak” erano i buoni, ma un sovversivo come Joe Dante, qui lavorò più di
fino, facendoci conoscere usi, costumi e manie di questa piccola comunità,
illudendoci di stare facendo il tifo per i buoni. La svolta della trama degli
ultimi cinque minuti sembra quasi una concessione agli spettatori, un modo per
mettere la museruola ad una storia che ha dei discreti dentini e nessuna paura
di usarli.

Anche in “L’erba del vicino”, una presenza estranea turba la
pace di facciata del vicinato, si tratta della famiglia Klopek che da un mese
occupa la casa più diroccata del quartiere e nessuno l’ha mai vista. Ogni
notte dal loro scantinato strane luci e inquietanti suoni, ma beccami gallina
se quegli stramboidi hanno mai messo fuori il naso o se, ancora peggio,
qualcuno dei vicini sia andato a portar loro le cortesie da buon vicinato.

“Cosa sta facendo Cassidy?”, “Scrive”, “Ma sta scrivendo da ore”, “credo sia l’unico modo per fare i post”

Joe Dante usa l’arma del cinema per mettere in chiaro quanto
“The ‘Burbs” sia una specie di esperimento sociale, la strada dove è ambientato
il film è più finta della neve sparata, tutte le case sono state ricostruite
sui set della Universal dove di solito venivano girate le sit-com prodotte
dalla casa di produzione, infatti ogni casa ha le sembianze di chi la abita, se
i Rumsfield hanno il palo per il patriottico alzabandiera, gli Klopek abitano
in una catapecchia al numero 669, pronto a diventare 666 visto che cade a pezzi
anche il cartello che indica il civico. I Klopek sembrano la famiglia Addams e
anche qui, Dante anticipa di pochi anni l’arrivo della celebre famiglia al
cinema, raccontando l’ipocrisia americana (quindi occidentale), quella paura
del diverso che di facciata nessuno è pronto ad ammettere di avere, ma una volta
chiusa la porta di casa, dietro alle tende del proprio soggiorni, si manifesta
prontamente.

“Usa la forza… Tom”

In questa realtà di plastica, tutto è posticcio, persino le
musiche di un gigante come Jerry Goldsmith, salito a bordo all’ultimo minuto e
di nuovo al lavoro per la colonna sonora di un film di Dante, sembrano messe
insieme alla rinfusa, perfette per sottolineare quell’atmosfera di sinistra
gentilezza del vicinato, ma volutamente citazioniste: quando Mark Rumsfield
entra in scena, Goldsmith fa il verso alla colonna sonora di “Patton generale
d’acciaio” (197°) che era stata composta da, vediamo se mi ricordo bene, ah
sì… Jerry Goldsmith.

Goldsmith, poi, sottolinea alcuni dei momenti più “Pop” del
film strizzando anche l’occhio (o l’orecchio?) ai temi musicali western di
Ennio Morricone, la scena in cui Dante si diverte a trasformare in una sfida
degna di uno spaghetti-western Leoniano, il momento in cui Ray e Art
coraggiosamente (si fa per dire…) accettano la sfida di andare a suonare alla
porta dei Klopek, risulta una delle tante trovate memorabili di un film che
sembra un grosso cartone animato (genere di cui Joe Dante è da sempre grande
estimatore), voltato in chiave satirica.

Scusate, non riesco a scrivere una didascalia decente perché questa scena mi fa ridere anche in GIF.

Quando si tratta di “Mighty Joe”, il citazionismo, anche
quello bello spinto che oggi definiremmo post-moderno, non manca mai. Corey
Feldman introduce il tema sottilmente horror nel film, paragonando la casa dei
Klopk a quella del vecchio di “The Sentinel” (1977), state tranquilli che con
quell’enorme studioso di cinema che è Joe Dante, gli omaggi al cinema classico
e di genere non mancano mai, ma non sono mai fini a loro stessi, nei titoli del
buon vecchio Joe la televisione è lo specchio dell’anima dei suoi protagonisti,
se in L’ululato l’indizio sui licantropi arrivata da una replica notturna di
L’uomo Lupo, qui i timori sui Klopek di Ray sembrano trovare conferma nel
palinsesto televisivo che passa prima “L’esorcista” (1973) e poi “Non aprite
quella porta – Parte 2” (1986) film che finiscono per dare materiale
all’inconscio del protagonista.

Forse Hooch non era tanto male, vero Tom?

La classica scena dell’incubo horror del protagonista, qui è
virata in chiave comica, si vede che Dante era ancora caldo dalla sua
esperienza con l’ultra-pop e citazionista “Amazon Women on the Moon” perché
l’incubo di Ray è uno spasso, tra gelatai assassini e sacrifici umani, la
trovata che mi fa morire dal ridere ogni volta è Walter e la sua cagnetta,
entrambi con un’ascia piantata in testa. Poi dicono che i cani non somigliano
ai padroni eh?

Lascia l’ascia e accetta l’accetta.

Trattandosi di “Mighty Joe”, non possono mancare i suoi
attori feticcio, infatti qui nel ruolo dei due netturbini troviamo il
leggendario Dick Miller e Robert Picardo, impegnati a battibeccare
sulla monnezza e l’assurdità degli abitanti («Qui le donne vanno in giro
nude!») aumentando il livello di satira del film.

Troppo mito per una foto sola, troppo!

Joe Dante si diverte a raccontare tutta l’ipocrisia dei
vicini di casa, con trovate visive da cartone animato, come la serie di zoom
sulle facce urlanti di Ray e Art quando il cane porta loro un femore umano
ritrovato scavando in giardino. La paranoia dei protagonisti si alimenta sul
sospetto e sulla diversità dei Klopek e nel confronto tra le due comunità Dante
tira fuori tutta l’ironia.

Usare la macchina da presa come in un cartone animato, Joe Dante sa come farlo.

Ci vogliono le donne della comunità per ottenere risultati
più concreti, una delegazione pacifica ed armata di biscotti apre le porte di
casa Klopek, tipi strani capitanati dal Dr. Werner Klopek (Henry Gibson) con strani gusti anche in fatto di tartine, la scena
in cui Tom Hanks ingoia Pretzel e sardine per cortesia, facendo buon viso a
cattivo aperitivo è uno dei momenti più spassosi del film.

“Buona questa cadrec!” (cit.)

Proprio il nostro Tommaso Matassa è vero mattatore, la sua
prova è del tutto in linea con le sue prime commedie stupidone, ma considerando
che dopodomani sarebbe diventato la faccia pulita del bravo ragazzo d’America,
Joe Dante ha davvero trovato l’attore più azzeccato del mondo per il ruolo di Ray
Peterson e anche il finale del film è reso ancora migliore da Hanks.

Non tutti gli eroi hanno un mantello, alcuni stanno in vestaglia tutto il giorno.

Poco prima della svolta (smaccatamente horror) che serve
più che altro a fornire una scappatoia alle coscienze del pubblico, Hanks si
lancia in uno dei monologhi più sottovalutati della storia del cinema (un po’
come tutto questo film), quando riuscirò a tirar giù quel post che minaccio
sempre sui monologhi meno famosi, aspettatevi di trovarlo, perché per certi
versi rappresenta il vero finale di “The ‘Burbs”, un ribaltamento di fronte
degno di un episodio di “Ai confini della realtà” (non a caso Dante ha preso
parte al film tratto dalla serie), in cui Ray Peterson consumato dalla sua
ossessione, urla al mondo quanto la stranezza, la vera follia sia in tutti
quegli abitanti della provincia, impazziti a furia di tosare il prato per la
milionesima volta. Attraverso le parole del suo protagonista Joe Dante mette in
chiaro chi siano i veri mostri del film e tutta la sua carica sovversiva, la svolta finale è solo un modo per rendere meno acuminati i dentini
aguzzi di questo titolo.

Un giorno farai un discorso ad un tale di nome Ryan, intanto questo è un ottimo riscaldamento.

Vi ero debitore di un’icona da chiudere, lo faccio subito
perché mi serve a sottolineare l’importanza del film nella cultura popolare che
va ben oltre le brutte recensioni del 1989 e il disastro al botteghino.
L’umorismo assurdo, caustico e sopra le righe di “The ‘Burbs”, quello con cui
Joe Dante metteva alla berlina le idiosincrasie dell’America (e quindi di tutto
l’occidente), ha trovato negli anni pochi, ma appassionatissimi estimatori, se
amate “I Griffin”, vi ritroverete moltissimo nell’umorismo nero di Dante, anche
perché Seth MacFarlane è da sempre un enorme fanatico di questo film, volete la
prova? La bella e bionda Francine di “American Dad!” è doppiata da Wendy
Schaal, che MacFarlane a voluto a tutti i costi, quasi come ideale
continuazione del ruolo di Bonnie Rumsfield nel film di Dante (storia vera).

See vabbè! Io vi tiro fuori questi punti di contatto e voi vi distraete, grazie eh!

Insomma, se conoscete questo film, quasi sicuramente anche
per voi è un piccolo culto che meriterebbe una riscoperta, specialmente in
questi anni di #Andrà tutto bene (seee proprio!), se non lo conoscete, vi
invito caldamente a festeggiare il completano di un grande attore americano,
con una sua grande prova poco famosa, appoggiate anche voi l’occhio sul
microscopio del Dottor Joe Dante, sono sicuro che finirete anche voi a ripetere
la frase di Corey Feldman, fortemente voluta dal regista come ideale
conclusione: «God, I love this street!».

That’s all folks! Ricordatevi vi fare gli auguri al vecchio Tom.
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