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L’esorcista del papa (2023): fate largo al supereroe di Dio!

Potreste averlo intuito, non sono William Friedkin, non sono un ragazzo timorato di Dio, il mio film
sulla religione definitivo, sarà sempre un altro.

Inoltre ho problemi con le storie di esorcismo, per ragioni
molto ovvie, che ci dicono già molto sulla veridicità di tali racconti, non
esistono film sul tema senza personaggi calati nella religione cattolica, ma
anche questo è un punto con cui vi avevo già annoiato.

La verità è che dal 1973 non è mai stato girato un film in grado
di uscire dall’ombra di quello, in linea di massima famosino, diretto da Hurricane Billy. Io ne sogno uno senza
ragazzine che parlano con il vocione, vomito, arrampicate e svolazzi, già solo non mettere un
personaggio legato alla testiera del letto sarebbe una rivoluzione, in tal
senso dedicare un film a Padre Gabriele Amorth poteva essere un approccio
interessante, visto che parliamo di qualcuno che ci credeva duro a differenza
mia e che secondo i suoi libri, avrebbe avuto diverse centinaia o migliaia esperienze dirette con lo DIMONIO, ma bisogna dirlo, anche qui il regista di Chicago era arrivato prima di tutti,
con il suo documentario del 2017 intitolato The Devil and Father Amorth.

Come sempre Billy, ci aveva già messo lo zampino prima di tutti, qui in posa con il vero prete esorcista.

Il potenziale per un film sugli esorcismi raccontato da un
punto di vista, non dico realistico perché proprio non posso farcela, ma almeno
differente era tutto lì da esplorare, poi cosa è accaduto? Diciamo che è accaduto
Hollywood, che come tutti i luoghi di lavoro del mondo, quando ha un compito da
svolgere, lo assegna agli specialisti.

Gli sceneggiatori di “L’esorcista del papa” sono due, Michael
Petroni che in carriera ha firmato “The dangerous lives of altar boys” (2002), “Possession”
(2009) e il moscissimo “Il rito” (2011). Il suo socio invece è Evan
Spiliotopoulos (salute!), responsabile di un sacco di roba per la Disney e di
tanta altra dimenticabile, ma soprattutto del piattissimo “Il sacro male” (di
cui vi avevo parlato un po’ QUI), insomma ci possiamo attendere l‘innovazione
da due così? Giammai! Specialmente se poi il regista si chiama Julius Avery.

«Impegnati ragazzo, siamo qui per monete come questa. Ma vanno bene anche le banconote»

Uno che quando ha un budget per lo meno sa come gettarla in
caciara, alla faccia della veridicità storica come visto fin dalla prima scena
del sopravvalutato (e già dimenticato) Overlord, ma anche
uno che quando si parla di narrazione, ha parecchie difficoltà, visto che è
riuscito a gettare alle ortiche anche il talento di zio Sly in Samaritan. Ribadisco, le mie speranze di
vedere qualcosa di fresco sul tema, si sono spente leggendo i nomi convolti nei titoli di testa del film.

Un altro dettaglio che mi manda ai pazzi è il modo in cui i
giornalisti, specialmente nei servizi alla televisione, cerchino sempre di
cavalcare la popolarità di Russell Crowe, citando ad ogni piè sospinto l’unico
film per cui il pubblico lo ricorda, ovvero “Il gladiatore” (2000), tirando sempre in ballo legami tra quel film e la città di Roma che di fatto non
esistono, visto che Ridley Scott lo ha girato a Malta e al massimo, in Toscana, per la famosa scena del campo di grano che ha fatto la gioia della Barilla. Quindi l’unico vero merito di “The Pope’s Exorcist” è che il buon Russell ha
potuto per davvero girare in Vespa sulle strade di Roma, come un novello Don
Matteo ma con il fisico e la barba di Bud Spencer invece del sodale Terence
Hill. Quindi pretendo che tutti i giornalisti italiani da oggi in poi, quando
vogliono sfornare i loro servizi acchiappa polli, utilizzino le immagini di
questo film! Almeno nei panni di Padre Gabriele Amorth, l’attore neozelandese
nella città eterna ci ha messo piede per davvero.

Se hai una Vespa Special che ti toglie i problemi demoni (quasi-cit.)

Anche se va detto che “L’esorcista del papa” inizia a Tropea
nell’anno 1987, con una scena di esorcismo che prevede l’uso alternativo di un
maiale, che però non risulta epico come la capra di Sam Raimi in “Drag me to
hell” (2009). Di davvero epico solo la recitazione in italiano di Russell Crowe:
carica di un accento fortissimo e fino qui, nessun problema, quasi timida nel
cercare di scandire le parole, sicuramente gentile, una “vocina” allegra che
risulta ancora più simpatica visto che viene fuori da quel corpaccione, ma
tanto chissenefrega, noi al cinema ci siamo beccati il vocione impostato di
Luca Ward, che deve far funzionare anche le righe di dialogo più imbarazzanti,
come quando Padre Amorth, insofferente ai regolamenti interni al Vaticano,
rimette al loro posto i giovani preti che cercando di minimizzare la questione esorcismo,
dicendo loro: «parlane con il mio capo, il papa!» trovo ironico che questa
trovata tragicomica, sia anche la frase utilizzata per lanciare in film nella
martellante campagna pubblicitaria con cui ci hanno bombardati.

Già perché dalla sua Padre Amorth ha davvero solo la vecchia
scuola Vaticana, rappresentata dal Santo Padre in persona, interpretato da Franco
Nero, attore che non appena compare in scena, mi ha fatto subito sperare di
vedere il pontefice trascinare una bara e poi scoperchiarla, solo per tirare
fuori un Super Liquidator caricato ad acqua santa, oppure dire cose come: «Mi
chiamo Dpapa. La “D” è muta», anche se la vera rivelazione mi ha folgorato, non
proprio sulla via di Damasco ma quasi, “L’esorcista del papa” è un film
rivoluzionario perché ha il coraggio di potare in scena il primo papa Nero!

Sarà vero, dopo Miss Italia aver un Papa Nero, non me par vero (cit.)

Padre Amorth gode di totale fiducia presso il Santo Padre,
che gli affida di persona l’incarico di un ragazzino in Spagna, malamente
posseduto. Il nostro protagonista cosa fa? Nella scena successiva arriva sul
luogo dove il ragazzo si è trasferito con la famiglia a bordo della sua Vespa.
Ma come ci è arrivato, su due ruote direttamente da Roma? Grande Julius Avery,
quante finezze di montaggio sai sempre regalarci!

Da qui in poi la solfa è sempre la stessa, l’adolescente
passa dall’essere muto e intento ad ascoltare in cuffia She Sells Sanctuary dei The Cult ad essere un chiacchierone legato al letto che
parla con il Vocoder e dice le parolacce. Quando scopre la pancia per mostrare
la parola “ODIO” incisa sopra, ho capito che ancora una volta, non si esce vivi
da Billy Friedkin, nemmeno questa volta vedremo qualcosa di originale a tema esorcismo.

«Tranquillo Cassidy, tra poco uscirà il Gladiatore 2, lì si che vedrai qualcosa di origi… Ehm, no»

Padre Amorth si trova un giovane prete a fargli da spalla
durante l’esorcismo (Daniel Zovatto) e non mancano arrampicamenti sulle pareti, personaggi
insospettabili che si esibiscono nelle solite svomitazzate, insomma, tutto il
campionario, la borsa dei trucchi del regista esorcista, a cui ci si appella
dal 1973 ad oggi. L’unica novità del film? Proprio la figura di Padre Amorth.

Chiaro che la volontà del film o meglio, una delle sue
direttive, sia quella di rendere un minimo di giustizia al personaggio di Padre
Amorth, quindi si pesca dai suoi libri e dalla sua biografia in maniera molto,
ma molto libera, per cercare di tratteggiarlo. Ecco quindi l’inevitabile
flashback bellico, che vede il giovane Amorth tra le fila dei partigiani, che
altro non è che l’ennesima scena mutuata da film come L’esorcista – La genesi (ovviamente più la versione di Renny
“Esplodo le cose” Harlin rispetto a quella di Paul Schrader) quindi un titolo che
era già ultra derivativo rispetto al lavoro di Hurricane Billy.

Da oggi con il 100% di teste ruotate e crocefissi in meno.

Il risultato è un film che vorrebbe essere rispettoso nei
confronti della figura del protagonista, ma lo ritrae usando il linguaggio che
il pubblico conosce, quello dei film di super eroi e ovviamente, con la
direttiva di essere quando più friedkiano possibile, risultato? Un film che
vorrebbe piacere ai cattolici ma parla con un linguaggio che non potrà far
altro che irritali, com’è puntualmente accaduto, visto che il Vaticano ha
prontamente preso le distanze (storia vera).

Il cinema non ha il dovere di essere realistico, figuriamoci
su una questione la cui verità non è mai stata verificata per davvero come gli
esorcismi, ma il modo in cui Julius Avery, narratore piuttosto scarso,
fa a pugni con il materiale scritto da Petroni e Spiliotopoulos (salute!) balza
agli occhi. La sceneggiatura prevede un Padre Amorth contrito, mentre il
regista lo ritrae come l’unico tra i corridoi del Vaticano a conoscere la
verità, un atteggiamento finto dimesso che lo fa sembrare Dirty Harry quando si
approccia ai superiori, il più delle volte sfottendoli apertamente, sicuro di
essere nella ragione più totale.

Molte penne stipendiate stanno cercando di vendervi questo film come un
disastro, badate bene, bello non è, innovativo ancora meno, eppure è un film
che se ne fotte e porta in scena di nuovo la stessa zuppa di piselli
riscaldata, con effetti in CGI già scarsi visti al cinema oggi (figuriamoci tra
cinque anni), per un atteggiamento generale che sembra tutto un grosso “Fotte
sega”, perché l’unico elemento che funziona in questo pasticcio è proprio Russell
Crowe.

«Cassidy esci da questo corpo!», «Ma è il mio, poi dove vado?»

Sorriso beffardo sempre sul volto, occhiale alla moda, l’aria
di uno che lo sa che genererà mille meme girando con la sua Vespa, ma se ne
frega e smarmitta lo stesso felice, per un personaggio che più che l’esorcista
del papa, sembra proprio il supereroe di Dio. Crowe sembra il primo a divertirsi (o
a fottersene, la linea è sottile) ma anche quello che ha capito meglio di tutti
questa bizzarra operazione.

Piccolo suggerimento per le penne stipendiate che parlano di
classici istantanei della bruttezza, guardatevi The exorcism of God e di colpo “L’esorcista del papa” vi sembrerà,
non dico un film di Hurricane Billy, quello mai nella vita, ma almeno un cugino
per approccio ai vari titoli del Conjuringverse: un personaggio reale come
spunto di partenza, affidato ad un attore molto amato che fiuta l’odore di
assegno fisso per un ruolo ad alto potenziale di seguiti, raccontato con tanta
caciara, poche idee nuove e un me ne frego dentro al cuore che lo rende bello
no, però almeno simpatico, se come me mi aspettavate meno di niente, anche
perché tanto di più questo il film non lo offre.

«Questa Bara è stata pacificata. Ed ora datemi il mio assegno»

Il finale poi è puro linguaggio da cinecomics, una
porticina lasciata aperta per un potenziale seguito, in cui Padre Amorth il
supereroe di Dio, aderente ai fatti e realistico come l’Ip Man di Donnie Yen, si prepara ad affrontare il suo arci nemico,
il suo Joker o il suo Green Goblin, che però come minimo, sarà più rosso che
verdastro. Una roba talmente ignorante che viene quasi voglia di sperare veda
la luce, vogliamo mica negare a Russell Crowe la gioia di fare scarpetta in
tutte le piole e i ristoranti tipici di Roma? Eddaì su, sarebbe una cattiveria!

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