William Peter Blatty è nato nel Bronx nel 1928, i suoi genitori erano arrivato a New York dal Libano con tutti i fratelli e le sorelle di Billy. La madre di Blatty, Mary “Miriam” Mouakad era una gran lavoratrice dedita alla famiglia, pare che quando fece richiesta per la cittadinanza americana, come motivo aggiunse che lo faceva per i suoi figli e alla domanda: «In caso di morte del presidente degli Stati Uniti, chi prende il suo posto?», Mary rispose «Suo figlio», al giudice tanto bastò per concederle la cittadinanza (storia vera).
Con una madre disposta anche a mettersi a vendere gelatine di mela cotogna fatte con le sue mani, lungo la Fifth Avenue nel mezzo del gelido inverno newyorkese e un padre andato a “compare le sigarette” per non fare mai più ritorno, la storia personale di Billy Blatty ricorda da vicino quella di un altro Billy, Friedkin, infatti proprio loro due hanno combinato per portare al cinema il romanzo più famoso di Blatty, “L’esorcista” (1971), ma di questo abbiamo già parlano diffusamente no?
Gli sforzi della signora Blatty hanno permesso al figlio di iscriversi e laurearsi a Georgetown, un università poco fuori Washington, un luogo che sarebbe diventato teatro di molti dei suoi romanzi perché parliamoci chiaro, William Blatty ha scritto molti bei libri, ma alla pari del suo amico e omonimo ancora oggi è ricordato solo per “L’esorcista”, infatti malgrado i suoi sforzi, tutti gli chiedevano solo un seguito di quel film, poco importa se Blatty al cinema, aveva scritto e diretto il bellissimo “La nona configurazione” (1980) sempre tratto da un suo romanzo del 1978, la storia di un gruppo di marines internati in un castello, con il cervello in tilt dopo la guerra del Vietnam è arrivato a vincere un Golden Globe come migliore sceneggiatura non originale, giocandosela agli Oscar con titoli come “The Elephant Man” e “Toro Scatenato”, quindi non proprio la pizza con i fichi.
Il vero interesse di William Blatty era quello di portare al cinema un altro suo romanzo, uno bellissimo di cui vi consiglio la lettura, ovvero “Gemini Killer” (1983) e qualcuno disposto a metterci dei soldini era anche disponibile, pensate che per un po’ persino l’altro Billy, l’amico e omonimo Friedkin era interessato alla regia, prima di passare semplicemente ad altro (storia vera), anche se una nuova collaborazione tra quei due, sarebbe stato un film in grado di vendersi da solo.
Eppure come Silvio Dante dei Soprano che imita Pacino «Tutte le volte che ne esco, quelli mi ributtano dentro!», stessa cosa per Blatty, che trovo non una, ma ben due case produttrici disposte a fare un film tratto da “Gemini Killer”, la Morgan Creek e la Carolco ma entrambe ad una condizione: il film si sarebbe dovuto intitolare “L’esorcista III”. Tutte le volte che ne esco, quelli mi ributtano dentro, infatti alla fine Blatty firmò con la Morgan Creek, solo perché la Carolco voleva anche il ritorno del personaggio di Regan e una scena dove la ragazza ormai cresciuta, doveva partorire due gemelli posseduti (storia vera).
Con il titolo di lavorazione “Exorcist: Legion” poi definitivamente convertito in “The Exorcist III” il film è un oggetto strano, fuori dal tempo, figlio di un regista con discreta esperienza ma allo stesso tempo, di uno scrittore sopraffino, per una pellicola segnata anche da notevoli compromessi, ma pur distante due e o tre metri, in termini di qualità registica dal capostipite – Billy Friedkin è tecnicamente un mostro, nel senso migliore del termine – il risultato finale è un film molto bello, se pur con tutti i suoi difetti.
“Gemini Killer” prendeva un personaggio secondario del romanzo “L’esorcista”, il vecchio tenente di polizia William Kinderman (anche lui un Bill, guarda caso) rendendolo protagonista di una caccia al serial killer davvero tesa, l’ispirazione per il libro? La lettera mandata alla polizia di San Francisco dal misterioso Zodiac (Hollywood ha fatto un paio di film su di lui) in cui scriveva nel mezzo dei suoi deliri, che l’esorcista era la sua commedia preferita (storia vera). Tutte le volte che ne esco, anche Zodiac fa di tutto per ributtarmi dentro.
Il vecchio Kinderman, che nel film del 1973 era interpretato da Lee J. Cobb, è sulle tracce di un serial killer che uccideva lasciando il marchio dei gemelli sui corpi delle sue vittime, apparentemente morto quindici anni prima sulla sedia elettrica, fino al momento in cui altri cadaveri con le stesse caratteristiche non cominciano a spuntare in tutta Georgetown, perché tanto vale scrivere di quello che si conosce come diceva il saggio, ma anche ambientare le trame in posti a te familiari.
Il film però aveva diverse spade di Damocle puntate sulla testa, non solo doveva essere un seguito di quello di William Friedkin, possibilmente in grado di portare a casa lo stesso esorbitante quantitativo di fogli verdi con sopra facce di ex presidenti defunti stampati sopra, ma doveva allo stesso tempo prendere le distanze e far dimenticare agli spettatori l’onta di L’esorcista II – l’eretico, odiato e mal visto da chiunque, insomma un compito che sarebbe stato estremamente complicato per chiunque.
Come si gioca le sue carte Bill Blatty? Con un duro e riuscito lavoro in fase di scrittura, il compositore di fiducia di Blatty, Barry Devorzon accenna la mitica “Tubular Bells” di Mike Oldfield prima di iniziare con una colonna sonora tutta sua, mentre il regista inquadra la lunga scalinata che ha visto la fine di Padre Karras (Jason Miller) che ormai come spettatori conosciamo così bene. Poi per ovvie ragioni (Lee J. Cobb è venuto a mancare nel 1976) il ruolo di William Kinderman viene affidato ad un gigante, George C. Scott per la seconda volta in carriera dopo la sua monumentale prova in “Changeling” (1980), nobilita un film horror con una prova da attore davanti alla quale, viene voglia di togliersi il cappello e applaudire.
Kinderman è ancora amico di Padre Dyer (anche qui cambio di attore, da William O’Malley, si passa all’ottimo Ed Flanders), questa stramba coppia di opposti va ancora al cinema insieme una volta a settimana, anche a vedere per la trentasettesima volta “La vita è meravigliosa” di Frank Capra e i dialoghi? Roba che chiunque voglia fare il dialoghista al cinema, dovrebbe imparare a memoria. I personaggi parlano spesso del niente, ma lo fanno con una naturalezza tale da farli sembrare quasi persone reali. Quando Padre Dyer scherza sulla sua probabile dipendenza dal limone oppure quando Kinderman impiega alcuni minuti, a parlarci della carpa viva che sua suocere tiene nella vasca da bagno di casa sua, ai fini della trama sono dettagli che non aggiungono niente, se non farci patteggiare per dei protagonisti che non sono più giovani e forti, ma anzi sono due persone negli ultimi chilometri delle loro vite, disillusi e con ancora una grande sfida da affrontare. Il fatto che poi siano anche due cinefili aiuta, Padre Dyer si sente rispondere La Mosca, alla domanda fatta ad un altro prete sul suo film preferito, mentre Kinderman nella versione doppiata in Italiano, augura ad un’infermiera che lo sforzo sia con lei, come fai a non voler bene a questi due dai!
“L’esorcista III” è un film dove a ben guardarlo, non succede poi davvero molto, dove la violenza è quasi tutta fuori scena, raccontata dai protagonisti, in cui i cadaveri crocefissi ritrovati con “Black Face” improvvisate sono descritti più che mostrati, di fatto è chiaro che questo film sia un lavoro firmato da uno scrittore, solo uno molto ma molto bravo, perché il trucco di parlare di personaggi fuori scena prima di mostrargli, ad esempio a Nic Pizzolato nella seconda stagione di True Detective non è riuscito per niente, William Blatty invece lo domina con maestria e anche se in “The Exorcist III” si potrebbe fare l’errore di pensare che sia uno di quei film dove “non succede niente”, è quel tipo di niente che ti tiene in tensione, in cui il maligno si respira ad ogni fotogramma, non come nel film di Friedkin ma quasi.
Quello che colpisce poi di “L’esorcista III” è il suo far scivolare in modo quasi naturale all’interno della storia le imposizioni della produzione, per un film che è del 1990 non sembra nemmeno provenire dal decennio precedente, sarà per il minimalismo, per quella tensione costante sì, ma del tutto priva di budella esposte e vomiti verdi, non sembra nemmeno un film degli anni ’80 ma direttamente uno dei ’70. Pensare che solo un anno dopo ad Hollywood sarebbe arrivato il più famoso film con Serial Killer della storia del cinema, eppure “L’esorcista III” pare suo nonno, nel senso sia positivo che negativo del termine.
In alcune scene “L’esorcista III” è figlio del suo tempo, come nella famigerata scena onirica, con la stazione dei treni angelica, che sembra figlia di una notte di sesso selvaggio tra un film di Ken Russell e uno sketch dei Monty Python, non solo perché tra i cherubini compare il famoso (negli Stati Uniti) modello capellone Fabio, ma anche perché uno degli angeli più alti è il mitico Patrick Ewing, sicuramente lo avete visto perdere il talento in Space Jam, oppure giocare come centro nei New York Knicks della NBA, ma la sua lunga carriera di giocatore sapete dove è iniziata? Nell’università di Georgetown (storia vera).
A proposito di imposizioni dall’altro, una di questa è stata la presenza nel cast del ripescato Jason Miller, infatti di questo film esisterebbe anche la versione montata da Bill Blatty, in cui il folle Gemini Killer, corpo ospite e tramite del DIMONIO che ci mette ancora una volta lo zampino e la coda, interpretato da un bravissimo e scatenato Brad Dourif, si alterna in un’ideale staffetta con il ben più compassato Jason Miller.
Nella versione di Blatty, mai uscita su nessun supporto e di cui purtroppo, sono andate perdute intere scene girate, lasciate sul pavimento della sala di montaggio, Brad Dourif si caricava sulle spalle il personaggio. Scelta ideale se ci pensate, un cattivo a tutto tondo in un manicomio, che sembra il punto di equilibrio della carriera del mitico papà di Fiona, uno che ha volato sul nido del cuculo, che ha pugnalato Saruman alle spalle e che per altro, era già stato un Serial Killer in salopette nei film di Chucky, la bambola assassina. A ben guardarlo ben più adatto per questi lungi monologhi sul bene e sul male, rispetto a Jason Miller, attore ben più intimista che però doveva garantire la continuità con il primo film, quindi Blatty ha dovuto trovare il modo di farlo recitare per forza con un trucchetto di trama.
Si perché le imposizioni della produzione hanno avuto il loro bel peso nella riuscita finale di questo film, per un po’ Blatty ha provato anche a convincere John Carpenter a dirigere questo film, ma quando il Maestro fiutò che il vecchio Bill voleva fare tutto da solo, si rifiutò ma per tutti i dettagli, ho un post intero su questo argomento.
Carpenter tra le altre cose pensava che un film intitolato “L’esorcista III”, senza una scena di esorcismo sarebbe stato una mezza fregatura per il pubblico, infatti l’esorcismo apocalittico da camera chiusa finale, Blatty non lo voleva, quella scena nel libro non è affatto presente, il romanzo termina in modo diverso anche per l’arco narrativo di Gemini Killer, ma il regista e sceneggiatore ha dovuto dirigerla contro voglia. La scena di suo è anche piuttosto evocativa anche se cambia quasi totalmente il tono, aumentando il livello di orrore grafico, in un film che funzionava piuttosto bene grazie a piccoli tocchi horror sparsi qua e là.
Non mi riferisco tanto alla celebre (ma non invecchiata troppo bene) scena della signora ragno, che si fa una camminatina sul soffitto alle spalle di George C. Scott, comunque una delle sequenze più ricordate del film, mi riferisco più che altro al bus in piena faccia (nel senso concepito da Jacques Tourneur del termine) che becca in pieno il pubblico in una scena, LA scena di “The Exorcist III”.
William Blatty non aveva certo le capacità tecniche e lo stile del suo amico e omonimo autore del primo capitolo, ma bisogna riconoscergli per lo meno di aver avuto abbastanza occhio da sapere dove piazzare la macchina da presa, infatti la scena con l’infermiera nell’ospedale psichiatrico è un po’ come la tortura della goccia, un’inquadratura fissa estenuante, che mette in chiaro quel “non succede niente ma ho strizza lo stesso” che caratterizza tutto il film. Il trucco del ghiaccio del bicchiere è una finta di corpo per cercare di farci abbassare la guardia, prima di colpirci tutti con quello che se fossi in vena di semplificazioni estreme, potrebbe essere uno dei “Salti paura” (anche noti come “Jump scare”) più spaventosi della storia del cinema, responsabile di più di un capello bianco per tanti spettatori.
I difetti certo non mancano, ad esempio il personaggio dell’esperto esorcista tanto decantato, Padre Morning, si riduce a mera macchietta di poco conto, per altro con una curiosità Cassidiana che contribuisce a far diminuire i gradi di separazione tra questo film e il suo predecessore: ad intrepretare Padre Morning è l’attore Nicol Williamson, quello che in uno dei film di John Boorman – si, quello del secondo capitolo – che io preferisco ovvero Excalibur interpretava il ruolo di Merlino, ma che io per anni, guardando quel film, ho sempre creduto essere un giovane Max von Sydow (storia vera di mia confusione mentale). Quindi colgo l’occasione per chiedere ufficialmente scusa a Bill Blatty, per aver fatto a mia volta del “Tutte le volte che ne esco, quelli mi ributtano dentro”.
Ma forse la parte che apprezzo di più di “The Exorcist III” è quella in cui mi riconosco di più, perché malgrado le imposizioni della produzione in contrasto con i desideri di Blatty, alla fine questo film è la storia di un ateo che non solo non crede all’esistenza del Diavolo, ma si trova costretto a combatterlo per un bene più alto, un sacrificio in nome di quello che è buono in questo mondo, quello per cui vale ancora la pena combattere, che poi era la frase tormentone di Morgan Freeman in “Seven” (1995), uno dei più famosi film sui Serial Killer di sempre, che hanno tutti come papà, se non proprio nonno ideale il film di William Blatty. Insomma forse con tutti i distinguo del caso, quella moderata riscoperta e rivalutazione di questo film che da tempo sembra iniziata, non è campata in aria ma anzi, del tutto meritata, anche solo per conoscere meglio un autore come William Blatty che al genere horror ha dato tantissimo.
Sepolto in precedenza giovedì 28 ottobre 2021
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