Se nel buio tutto tace sentirai Mana Cerace arrivar senza rumore con il passo del terrore. Sguardo cieco e riso torvo, l’han sepolto e non è morto.
Se leggendo questo vi si sono illuminati gli occhi, o magari vi è venuto un piccolo brivido lungo la schiena, è perché avete letto il mitico numero 38 di “Dylan Dog”, vecchia serie, quella che ora (credo) chiamino Old Boy come un film di Park Chan-wook, non ne sono certo, è parecchio che non leggo più le avventure del vecchio Dylan, lo leggevo sempre dal barbiere (storia vera), ma per via di capelli troppo lunghi o troppo corti, sono vent’anni che non frequento più.
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Bei tempi, ora ti chiamano Old Boy ma resti sempre un classico. |
Filastrocche e Babau usciti dal buio, il genere Horror si è sempre abbeverato a questa fonte, partendo da Nightmare per arrivare proprio al Mana Cerace di quella bella storia di Dylan Dog. Un altro che ha pensato bene di cavalcare l’idea di una spaventosa creatura nascosta nelle tenebre è stato il regista David F. Sandberg, uno che ha firmato un’infilata di cortometraggi, prima di mandare a segno quello giusto, intitolato appunto “Light out” nel 2013.
Lo avete visto? Ve lo ricordate, girare in rete ovunque allora, non era nemmeno malissimo, era la storia di una tizia che si preparava ad andare a dormire, ma spegnendo la luce della camera, una ben poco rassicurante sagoma dalle forme ginoidi compariva nel buio. Cosa faceva la svegliona? Prima accendeva e spegneva l’interruttore (il modo migliore per bruciare una lampadina) per accertarsi che sì, al buio davvero comparisse qualcosa. Dopodiché due ottimi pezzi di nastro da pacchi sull’interruttore acceso e problema risolto. No, sul serio, faceva davvero così.
A quel punto avevo già voglia di smettere di vedere il corto che mi era stato caldamente consigliato, forse avevo capito male, si trattava di una parodia? Boh, insomma, quando poi la protagonista s’infila sotto le lenzuola con luce del comodino accesa (perché, non si sa mai), il cortometraggio di Sandberg trovava un senso e mandava a segno uno SPAVENTONE finale in grado di strappare il sorriso ai fan dell’horror più scafati e una lavatrice per la biancheria a quelli più facilmente impressionabili.
Sapete chi altro ha visto il corto? Quel furbacchione di James Wan, ormai un nome che conta nell’horror commerciale che con la sua casa di produzione, la Atomic Monster, ha staccato un assegno da cinque milioni di ex presidenti morti stampati su carta verde, dicendo a Sandberg “Fammelo diventare lungo!”, NO!! Cioè intendevo il corto, fallo diventare un lungometraggio… No! Non volevo dire fallo! Ma come mi sono ficcato in questo guaio? Boh, insomma, il film è uscito nelle sale. Il risultato? Beh, il cortometraggio era molto meglio, per favore nessuno aggiunga cose tipo: “Non importa quanto è lungo, l’importante è saper spaventare” che già non vedo la luce alla fine del tunnel di questo paragrafo, meglio parlare della trama.
La famiglia di Rebecca (Teresa Palmer) è perseguitata da una presenza che si nasconde nel buio, l’inquilina amante della tintarella di luna è una frequentazione di lunga data, ha già ucciso il papà della ragazza, si è impegnata per anni a peggiorare la depressione di mamma Sophie (Maria Bello) e nel tempo libero si diverte e tener sveglio il fratellino Martin che, in compenso, dorme durante le ore di lezione. Beh, quello lo facevo anch’io, ma davo la colpa alla matematica non agli spettri.
Diamo due coordinate: Rebecca è la pecora nera della famiglia, quindi per essere sicuri di non fare davvero nulla di originale, viene rappresentata come una ragazza Goth, Metallara dai gusti musicali parecchio confusi, la sua stanza da letto è stata messa su da uno che non sa nulla di musica e che ha pescato tutti i poster dall’aria apparentemente Rock. Il colpo di genio è far interpretare la gotica della morte alla bionda Teresa Palmer, almeno, bravi: davvero una grande idea!
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Il poster dei Ghost, film di fantasmi, band Metal svedesi, capito no? |
Giusto per continuare con la sagra del clichè, Rebecca è alla prese con un fidanzato appiccicoso che vorrebbe a tutti i costi convivere con lei e piazzare la sua roba da vestire nella cassettiera della ragazza (sarà un metafora? Nel dubbio, storia vera), questi due fenomeni, dovranno scoprire il mistero legato alla presenza che minaccia la famiglia, che ha anche un nome: Diana.
Chi è il fenomeno che ha scritto questa roba originalissima? Eric Heisserer, già autore di robe meravigliose come il remake di “Nightmare” (A Nightmare on Elm Street, 2010), il remake de “La Cosa” del 2011, quello firmato da Matthijs van Heijningen Jr. (Salute!), insomma una garanzia di qualità, giusto per stare sereni, Heisserer è anche lo sceneggiatore del prossimo film di Denis Villeneuve, “Arrival”… Ecco, giusto perché avevo voglia di vederlo quello!
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Ciccia fuori il fantasma che soffiando sulla candela grida “Buon compleanno!”. |
“Light Out” ci prova, parte con la scena iniziale dove il padre di Rebecca, deve vedersela con Diana nel magazzino in cui lavora, un posto non ideale per affrontare una figura femminile che compare nel buio, per due ragioni: la prima è che il posto è pieno di manichini, la seconda è che la luce del corridoio è temporizzata e si spegne sempre nel momento sbagliato (ma dai? Che idea originale!). Il risultato è che il povero paparino deve zompettare da un cono di luce all’altro, illuminato dalle lampade secondarie del corridoio, un’idea che sarà una costante di tutto il film. Se il tuo avversario scompare solo accendendo una luce, il film s’impegna per tutto il tempo a mostrarci tutte le soluzioni possibili, dall’APP torcia dello Smartphone all’auto di lusso che accende i fari dal telecomando di apertura, se la cosa più interessante del film sono questo tipo di dettagli, figuratevi com’è il resto.
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Soliti Nerd, vedono una spada laser e non capiscono più niente. |
Ora, se io mi trovassi perseguitato da un essere che scompare con la luce, penso che correrei a comprarmi un generatore elettrico portatile, fari alogeni da montare in tutta la casa, torce elettriche magnum, scorte di batterie e magari un bel casco da minatore tanto per stare sicuro. Giusto per farci tifare per Diana, i protagonisti del film, una volta giunti alla conclusione che l’unica arma contro la presenza infestante è la luce si armano a loro volta, oh bravi! Cosa usano? Avete presente quelle torce con la dinamo a manovella, che devi girare per quarantasette minuti come un forsennato finchè non ti scoppiano le vene del collo, per avere ben due minuti di luce, oh! Ma due minuti pieni! Ecco, usano quelle, quelle e un mucchio di candele da mettere intorno al letto. Ma volete scacciarla la creatura, oppure organizzarle una festa di compleanno a sorpresa? No, sul serio, questi sono troppo scemi per arrivare fino ai titoli di coda.
In compenso, David F. Sandberg farcisce tutto il film di inutili e fastidiosi “Salto Paura” o come dicono gli yankee Jump Scare, silenzio, silenzio, personaggio entra nella stanza, silenzio, silenzio, MUSICA A CANNONE! Diana che spunta dal buio, tempo per lasciare che il pubblico in sala ridacchi dicendo “Mamma mia che paurone! Speriamo che le sedie del cinema siano lavabili”.
Insomma, una cosa tediosa, il film dura appena 81 minuti ed oltre ad essere una noia mortale, ti lascia anche il tempo di riflettere sui massimi sistemi, a costo di passare per monotematico (lo sono) e magari pure malinconico, guardandolo ho pensato a film come Il signore del male, a cui bastava la musica per farti cagare sotto e tenerti incollato allo schermo. La musica, così importante nel cinema (in particolar modo in quello horror) che qui è completamente assente, non discuto i gusti del pubblico, ma di quanti altri horror da vedere in compagnia solo per prendere per il culo chi del gruppo ha fatto il salto più alto della sedia avete ancora bisogno in vita vostra?
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«Tenere lontano dalla portata dei bambini» (Cit.) |
Il bello di “Lights out” (cortometraggio) era la sua capacità di essere essenziale, facendo leva su una paura ancestrale come quella del buio che accompagna l’uomo dai tempi in cui i nostri avi si nascondevano nelle caverne: semplice, dritto, lineare. “Lights out” (lungometraggio) si perde cercando di creare una nuova maschera Horror, il tentativo di dare un passato, ma soprattutto una spiegazione (ma perché!? Non fa più paura qualcosa che non si conosce?) alle origini dei poteri, anziché alimentare il mito, come succedeva ad esempio con Freddy Kruger o con Mike Myers, lo demolisce deprivandolo del fattore sorpresa. Cosa resta, quindi? Niente, volume sparato a palla e qualcuno che ancora si spaventa.
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Vuoi usare la musica per sentirmi urlare? Prova con un pezzo di Povia. |
Evidentemente basta, perché il film ha incassato soldoni, David F. Sandberg è già stato confermato alla regia del seguito di “Annabelle 2” (in programma nel 2017), quindi va bene così… Sarà… Ma un film del genere dovrebbe farti temere il buio dalla sala alla macchina, dovrebbe farti rientrare a casa con la fretta di accendere la luce, o di farti muovere per l’appartamento accendendo anche le luci dello sgabuzzino e una volta a letto, dovrebbe tornare a perseguitarti. Sarà chiedere troppo ad un Horror di fare anche paura?