Home » Recensioni » Linea mortale (1990): il Breakfast Club dell’aldilà

Linea mortale (1990): il Breakfast Club dell’aldilà

Qualche giorno fa, dopo una lunga lotta contro la malattia,
Joel Schumacher è andato ad esplorare il grande mistero. Sembrerà da
insensibili ricordarlo proprio con questo film, ma trent’anni fa esatti, il buon
vecchio Joel aveva radunato la sua personale versione del Breakfast Club, per mandarla in avanscoperta.

Visto che il gusto per il macabro non mi è mai mancato
(ma nemmeno a Joel Schumacher se è per questo), ho sempre scherzato sul fatto
che in troppi avrebbero aspettato la sua dipartita solo per poter dissacrare
la sua tomba, l’eterna colpa di Joel? Aver messo i bat-capezzoli a Batman.
In tutta onestà, ricordare un solido regista come Schumacher
solo per i suoi due film di Batman
(fortemente debitori di quello di Adam West, ma fuori tempo massimo), sarebbe
davvero limitante, ecco perché i trentanni di “Linea mortale” sono l’occasione
giusta per omaggiare il regista, anche perché se non fosse stato per un cast
azzeccato e in palla, ma soprattutto per il suo lavoro di regia e direzione,
col cavoletto che “Flatliners” sarebbe il titolo di culto che è ancora oggi,
garantito al limone.

Ore 10: tracciato piatto.

Michael Douglas viene ricordato sempre come figlio del
grande Kirk e ovviamente come attore, ma il suo lavoro come produttore
cinematografico è spesso dimenticato. Tra i titoli prodotti da Douglas e Rick
Bieber, metteteci anche “Linea mortale”, un soggetto nato dalla penna dello
sceneggiatore Peter Filardi, dopo che un suo amico gli raccontò la sua
esperienza di pre-morte, avvenuta sotto i ferri di un’operazione chirurgica (storia
vera).

Per la regia venne scelto Joel Schumacher, molto
interessato all’aspetto prettamente horror della trama, visto che il buon Giole
aveva già saputo dire la sua, portando aria nuova alla figura del vampiro con
un altro suo classico, Ragazzi perduti… Bat-capezzoli tzè! Questi sono i film per cui ricordare Schumacher!

Da ragazzi perduti a medici perduti, il passo è breve.

Proprio da Ragazzi perduti arriva Kiefer Sutherland, al suo secondo (ma non ultimo) film diretto
da regista (gli altri titoli? “Il momento di uccidere” del 1996 e “In linea con
l’assassino” del 2002). Il figlio del grande Donald (lasciatemi l’icona aperta
su di lui, più avanti ci torniamo) qui interpreta la parte dello spregiudicato
studente universitario Nelson Wright, convinto di poter trovare una risposta
alla più grande delle domande dell’umanità, le donne? No! La vita dopo la
morte. Nelson è un novello Prometeo convinto di poter rubare il fuoco agli Dei,
pronto a sacrificare il corpo per il suo obbiettivo («La filosofia ha fallito, la
religione ha fallito. La scienza deve dare una risposta») e se nel farlo dovesse
riuscire a diventare anche famoso, beh, tanto meglio no?

Joel Schumacher dedica proprio al suo aspirante dottor
Frankenstein il prologo del film, un’alba diretta con tutta la grazia di cui il
regista era capace e un Nelson che spavaldo afferma: «Oggi è un buon giorno per
morire». Immaginate tutto questo, con le note dell’ispirata colonna sonora di James
Newton Howard in sottofondo e posso garantirvi che ho visto film iniziare
peggio di così in vita mia, credetemi.

“Buongiornissimo! Morteeeeè?”

Il resto del “Brat Pack” di Schumacher prevede anche il
perfetto contraltare di Nelson, il personaggio pragmatico ed ateo interpretato
da un Kevin Bacon stilosissimo, fresco fresco di Tremors. Il suo David Labraccio è l’esperto in rianimazioni e
massaggio cardiaco, se il cinema e la televisione (sto pensando a serie mediche
come “E.R. – medici in prima linea”) hanno reso il defibrillatore l’attrezzo
più cinematografico a disposizione di un dottore, beh il personaggio di Gavino
Pancetta porta lo strumento a nuovi livelli di spettacolare tensione. A memoria
mia per vedere qualcuno riportato in vita con tempi più lunghi di quelli di
“Linea mortale”, bisogna andare a scomodare Ed Harris che riporta tra noi Mary
Elizabeth Mastrantonio in “The Abyss” (1989).

“Quasi quasi mi fate rimpiangere i Graboidi”

Per il ruolo di Rachel Mannus, Joel Schumacher ha dovuto
incassare il due di picche da Nicole Kidman (che avrebbe poi comunque diretto
in “Trespass” del 2011), ma ha avuto l’intuizione di pescare Julia Roberts, un
attimo prima del suo botto grosso con “Pretty Woman” (1990). Scelta molto
azzeccata perché in questo modo, anche io ho avuto nella mia vita, un film con
la sorella di Eric che posso guardare senza smaronarmi, considerate anche
questa ulteriore tacca sulla cintura di Joel.

Pretty woman, walkin’ down the street / Pretty woman the kind I like to meet.

Per la parte di Joe Hurley, lo stracciamutande con la
mania dei filmini amatoriali, Schumacher pesca un Baldwin a caso che non si
chiami Alec (impegnato ad inseguire l’Ottobre Rosso), tra i tanti intercambiabili fratelli gli viene affidato
William, stoccafisso che sull’essere credibile come belloccio ci ha tirato su
una carriera. Completa il quadretto Oliver “spalla comica” Platt, nella parte di
quello che riesce a far sembrare un attore brillante anche Baldwin. Il che è tutto detto.

Un Badlwin. Uno dei tanti, alla fine sono quasi tutti identici.

Il gruppo di studenti guidato da Nelson unisce i suoi
talenti per provocare la morte al loro biondo leader, solo per poterlo riportare
in vita. Clinicamente morto per un lunghissimo minuto e mezzo, che Joel
Schumacher ci fa passare in tensione aggrappati ai braccioli della poltrona. Il
suo modo di far ruotare la macchina da presa attorno al suo cast nei momenti
più concitati, funziona alla perfezione e tiene alto il ritmo.

Ma quello che vede Nelson nell’aldilà, sembra (non si sa
bene come) trovare il modo di farsi largo anche nell’aldiquà. In cerca di
risposte i ragazzi non si fermano ed osano sempre di più, a turno ognuno di
loro viene “ucciso” e riportato in vita, dopo una morte cerebrale sempre più
lunga ed è proprio qui che iniziano i problemi, sia per i protagonisti che per
il film.
Parto dalla precisazione doverosa sul titolo: l’originale “Flatliners” fa riferimento al tracciato piatto dei macchinari, la
roulette russa con cui i protagonisti sfidano la Signora in Nero, l’equivalente italiano “Linea mortale” non è altrettanto tosto, fa pensare ad un collegamento
telefonico, tipo la storia di un poveretto che cerca di parlare con il supporto
remoto, per un guasto sulla linea Internet (quei momenti che fanno paura per
davvero!). Ma il problema di “Linea mortale” non è limitato al titolo, quando
più che altro ad alcuni passaggi della storia non proprio limpidi.

Mi ha detto mio cuggino Kiefer Sutherland che una volta e’ morto (quasi-cit.)

Dopo il primo ritorno in vita di Nelson, il film si fa
inevitabilmente un po’ ripetitivo nella struttura, quello che non è molto
chiaro resta come mai anche i personaggi che ancora non hanno affrontato
l’esperienza di pre-morte, si ritrovino improvvisamente ad avere strane
visioni, molte delle quali nemmeno legate alla morte.

La coperta spessa, insieme al bicchierone di caffè fumante, la risposta americana a tutti i traumi.

Nelson è perseguitato da un defunto ragazzino con
cappuccio di nome Billy Mahoney (vi ricordate che voi ed io abbiamo un’icona
lasciata aperta? Ecco, vi chiedo ancora un momento poi ci torneremo), mentre Julia
Roberts ha visioni del padre, ex soldato anche lui passato malamente a miglior vita. Alec Stephen William Baldwin, invece, quello decisamente più
vivo e attivo del gruppo, inizia ad essere perseguitato dalle visioni delle
ragazze che ha orizzontalizzato e ripreso di nascosto con la telecamera,
tradite nella fiducia e magari anche nell’onore, però vive a tutti gli effetti.
Esattamente come la ragazzina nera che inizia a prendere a male parole Gavino
Pancetta in metropolitana (perché tutti i grandi film meritano una gran scena
in metro e “Flatliners”, non è certo da meno).

“Linea mortale” nel secondo atto sembra durare più dei
suoi 115 minuti e si avvia mesto verso il destino di una storiella
sulla redenzione, quello che i protagonisti portano indietro dalla loro
esperienza di pre-morte sono solo i sensi di colpa per qualche carognata (o
presunta tale) fatta in vita, insomma, la trama viene ripassata con due mani di
vernice al Karma e via così.

Architetture belle ne abbiamo? Direi di si.

Tanto che il finale risulta una sorta di (teso e tirato
quanto volete) ego te absolvo forse
non all’altezza delle premesse da Prometeo dei protagonisti. Insomma, “Flatliners”
è una storiella che non mantiene proprio tutto quello che promette, ma, in
compenso, non si gioca grossolani fantasmi del tutto fuori luogo, come invece accade nel remake
di questo film uscito nel 2017, una cosettina del tutto dimenticabile perché a
parità di storia un po’ traballante, non poteva contare su un fattore chiave: Joel
Schumacher.

Quello che rende “Linea mortale” ancora un film molto
riuscito (anche più della sua trama), è proprio l’atmosfera messa su da Joel
Schumacher che, grazie alla sua regia, abbinata al comparto tecnico del film, rende questo gioiellino una storiella goticheggiante ancora unica nel suo
genere. La fotografia vivida di Jan de Bont insieme alle scenografie di Eugenio Zanetti creano un’atmosfera
quasi da film in costume, Kiefer Sutherland sembra un perfetto John Constantine, ma se mai dovesse entrare in scena
conciato da vittoriano dottor Frankenstein, non ci sarebbe alcun problema di
credibilità.

Constantine, altro che Keanu Reeves!

Le architetture, fotografate alla grande da Jan de Bont, sono ispirate al rinascimento e allo stile dell’antica Grecia, una vecchia
fissazione di Joel Schumacher che proprio dalle statue greche aveva preso
ispirazione per i famigerati Bat-capezzoli che hanno segnato a fuoco tutta la
sua carriera. Senza i continui richiami alla medicina greca, questa storia di
novelli Prometeo non avrebbe avuto la stessa gravitas necessaria per diventare un titolo di culto, al resto ci
pensano i momenti genuinamente horror che Schumacher fa filare alla grande.

Le apparizioni di Billy Mahoney sono spettrali, ma visto
che ci ho girato attorno a lungo, fatemi chiudere quell’icona che avevo aperto
lassù da qualche parte: in questo film Kiefer Sutherland è perseguitato da uno
spaventoso ragazzino con cappuccio rosso ben calato sulla testa che idealmente va
perfettamente a braccetto con la bimba con impermeabile rosso che, in visioni
altrettanto orrifiche, perseguitava sua papà Donald Sutherland nel classico di Nicolas
Roeg, “A Venezia… un dicembre rosso shocking” (1973).

A Chicago… un Halloween rosso shocking.

Avrei voluto festeggiare i primi trent’anni di questo
film di culto in circostanze più liete, ma è chiaro che senza la regia e
l’impronta visiva forte, data proprio dal lavoro di Schumacher, “Linea mortale” non
sarebbe ricordato con affetto da così tante persone ancora oggi, di questo
potete starne certi, quindi se dobbiamo ricordare Joel Schumacher per qualcosa,
meglio farlo per un film come questo, piuttosto che per i Bat-capezzoli, no?

Ho avuto il grande onore di inaugurare le pagine di Netflix Magazine proprio con questo post qualche giorno fa, fate un salto a trovarli!

0 0 voti
Voto Articolo
Iscriviti
Notificami
guest
0 Commenti
Più votati
Recenti Più Vecchi
Inline Feedbacks
Vedi tutti i commenti
Film del Giorno

Star Trek – Section 31 (2025): Michelle Yeoh, dall’universo dello specchio a Paramount+

La maledizione dei numeri dispari, sembra che la saga di Star Trek non possano svincolarsi da questa piaga, anche se tecnicamente il film di oggi, dopo un breve conto, dovrebbe [...]
Vai al Migliore del Giorno
Categorie
Recensioni Film Horror I Classidy Monografie Recensioni di Serie Recensioni di Fumetti Recensioni di Libri
Chi Scrive sulla Bara?
@2025 La Bara Volante

Creato con orrore 💀 da contentI Marketing